Tempi duri per l’informazione, sovrastata e calpestata dalla comunicazione

Un’inchiesta di Striscia la notizia svela le falle di un sistema sempre più vicino al business e meno alla morale. Dalla comunicazione alla propaganda, passando per le notizie dietro pagamento: la crisi del giornalismo appare sempre più etica

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I tempi cambiano, la comunicazione on line e off line (con la maschera della de-mediatizzazione) imperversa e l’informazione soffre, a prescindere dalla crisi. Accade, così, che nell’era digitale la fortissima attenzione per la comunicazione finisca per calpestare letteralmente l’informazione e i giornalisti stessi. Le difficoltà economiche c’entrano poco; forse la crisi diventa un paravento, una scusa dietro cui nascondersi e dietro cui nascondere pratiche di fatto contrarie all’idea stessa di democrazia: l’informazione che si maschera e si trasforma fino al punto da diventare megafono della comunicazione (o del potere). In tutti i campi. Ecco, almeno su questo c’è democrazia: il fenomeno interessa tutti i generi, dalla politica alla cronaca passando per lo sport.

Cosa accade in pratica? Il giornalismo resta schiacciato tra pacchetti “chiavi in mano” che uffici stampa e responsabili della comunicazione preconfezionano e notizie da pubblicare previo compenso. Due estremi, chiaro. Ma neppure tanto lontani dalla realtà, o confinati solo a testate di nicchia, come ha evidenziato anche una recente inchiesta a puntate di “Striscia la notizia”, che ha coinvolto una delle principali agenzie di stampa italiane.

Dalla comunicazione alla propaganda. I pacchetti informativi “chiavi in mano” sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti e vanno dallo sport (ricordate la conferenza stampa di presentazione dell’allenatore Antonio Conte a Napoli? Accesso impossibile per tutti i giornalisti e via all’autoproduzione di contenuti), alla politica (le vacanze di Giorgia Meloni in Puglia e le notizie che trapelano dai social ma non dai giornalisti presenti in loco. Ma pure Donzelli che si rifiuta di parlare con la stampa), passando per la cronaca (il naufragio dello yacht Bayesan e la gestione delle testimonianze dei sopravvissuti affidata a una società specializzata in post disastri e mediata solo da una conferenza della Procura). Sfogliando la recente storia, i casi da enumerare sono tanti.

La comunicazione sembra propendere per una disintermediazione delle notizie, salvo poi far ricorso a comunicati stampa e a video preconfezionati da offrire in pasto a un giornalismo che – vuoi per la paura di “bucare”, vuoi per la comodità, vuoi per un tornaconto economico – accetta passivamente la realtà. È così che il giornale viene assimilato a un social: le notizie che arrivano in redazione sono spesso quelle che passano dalle piattaforme on line. Il giornale diventa uno strumento per costruirsi una buona reputazione on line e off line, proprio come quando si acquistano fan e follower sui social. O no, forse un po’ meglio, visto che il giornalismo – nonostante il periodo di crisi – riesce a conservare ancora un po’ di quella autorevolezza che ne ha caratterizzato gli anni migliori.

Le notizie a pagamento. C’è poi l’amaro capitolo delle notizie a pagamento. In un mondo in cui quasi nessuno sembra più essere abituato a pagare per leggere, c’è chi paga per la pubblicazione di una notizia (o presunta tale). Il riferimento non è ai vecchi “publiredazionali” (le informazioni a pagamento ben divise dall’area delle notizie) che hanno sempre caratterizzato la vita dei giornali. La vicenda tirata fuori da “Striscia la notizia” è un caso particolare; ma il fenomeno, in determinati contesti, è più diffuso di quanto si possa pensare. E il confine tra informazione e pubblicità – in barba a ogni codice deontologico della professione – appare sempre più labile.

Ci sarebbe poi il discorso della “comunicazione istituzionale”, dei fondi che, per legge, sono a disposizione delle pubbliche amministrazioni per attività di informazione e comunicazione: si tratta di elargizioni che dovrebbero consentire ai cittadini di essere informati di più e meglio sulle attività delle pubbliche amministrazioni che, però, diventano spesso solo palcoscenici per i politici di turno e fonte di sostentamento per organi di informazione addomesticati. In fondo, si sa, informazione e comunicazione sono complementari, hanno punti di sovrapposizione ma – e questo bisognerebbe tenerlo ben presente – di certo non sono intercambiabili.

E in tutto questo, il giornalismo che fine fa? Se non riesce a fornire analisi, riflessioni, chiavi di lettura, oscilla pericolosamente tra la propaganda e la rimasticatura di contenuti già noti a tutti. È così che l’informazione resta compressa in un mondo sempre più vicino al business e meno alla morale, in cui conta raggranellare denaro per far fronte a una crisi che da economica diventa sempre più etica.

Barbara Ruggiero

Coordinatore del magazine, giornalista professionista, PhD student presso il Dipartimenti Studi Umanistici dell'Università di Salerno, è laureata in Comunicazione. È stata redattrice del Quotidiano del Sud di Salerno e, tra le altre esperienze, ha operato nell’ufficio comunicazione e rapporti con l’informazione dell’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni). Già docente di progetti mirati a portare il giornalismo nelle scuole, è stata anche componente e segretaria del Consiglio di Disciplina dell’Ordine dei giornalisti della Campania.

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