Un’occasione di incontro per non subire la storia

La sfida di RQ: accorciare le distanze e riaprire spazi di analisi e dibattito

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Alan Turing si pose il problema di capire se un computer potesse pensare e ideò un test per provarlo. Se la macchina/computer fosse riuscita a convincere chi la interrogava da un altro luogo, attraverso una telescrivente, di essere in collegamento con un essere umano, la prova sarebbe stata superata e la macchina si sarebbe potuta definire “pensante” o anche “intelligente”. Il celebre logico e matematico, considerato tra i padri dell’informatica, delineava così, più di 70 anni fa (è scomparso nel 1954), i prodromi dell’intelligenza artificiale, che tanto attrae e inquieta in questi giorni. Ma il test non ebbe grande fortuna. Sarebbe bastato attenersi a istruzioni rigorose per superare l’esame, bypassando anche il fattore lingua, senza tuttavia capire cosa passi veramente per la “mente” di un computer. Un semplice software può riuscire a ingannare l’esaminatore informatico, anche se attraverso un campione sempre e comunque limitato di espressioni e contesti significativi, non essendo possibile formalizzare l’universo espressivo della gestualità umana, con i suoi toni di voce, i modi di dire, i rumori semanticamente rilevanti, come lo schiocco di una lingua accompagnato dal gesto di una mano che scivola sotto al mento e che equivale a un sarcastico “no”. Lo stesso Turing fu costretto ad ammetterlo. Questo per dire che la rivoluzione digitale ha modificato le modalità di approvvigionamento di notizie, la possibile manomissione delle informazioni raccolte, moltiplicando le fonti e comprimendo gli spazi e i tempi di azione; ma ha anche fortemente limitato il potenziale espressivo del giornalismo, spingendolo verso un fatale quanto mortale “copia e incolla”. Un rischio involutivo, che si aggiunge al neoconservatorismo intellettuale, divenuto in questi ultimi anni intollerabile, con l’aumento esponenziale di quelli che, un tempo, si sarebbero definiti “sepolcri imbiancati”.

Il matematico e logico Alan Turing

Nel nostro secolo, in cui la platonica “caverna” della rappresentazione ha più peso della realtà del mondo, è sotto gli occhi di tutti lo stato letargico in cui versano molti dei soggetti che lavorano con le idee, tutti accomodanti e anche timorosi di esporsi raccontando la propria ricerca, la vita vissuta e il mondo che li accoglie. Si salvano in pochi e non fanno eccezione gli accademici di professione, o perlomeno quelli tra loro che non amano affacciarsi al balcone della vita e misurarsi con le esperienze che maturano, i sentimenti che nascono o muoiono, le paure che dilagano, gli orizzonti che si accorciano, fino a restringersi nella parete dello spazio abitato. Esiste, però, una solida rappresentanza di persone pensanti che non rimpiange la cultura intellettuale di un’epoca trascorsa, né si sforza di resuscitarla a ogni costo. A queste persone non interessa verificare il declino o meno della loro passata “funzione”, perché più forte è la tentazione di non indugiare nei rassicuranti spazi protetti, ormai popolati di rovine. Nessuna ideologia universalistica li seduce, ma li guida il tentativo – questo il filo di fondo del loro impegno – di ravvivare fermenti, riattivare colloqui, al di là dell’elitarismo di antico conio e della frammentazione dei giorni nostri, divenuta preoccupante già dagli albori del ventunesimo secolo.

RQ (Resistenze Quotidiane) è perciò un’area di traslazione della vocazione intellettuale non più istituzionalmente appoggiata, nella quale non c’è traccia né di lamenti nostalgici né di prospettive messianiche. È piuttosto l’offerta di uno spazio aperto verso un ignoto “rizomatico”, per citare Deleuze e Guattari, in cui proporre e sempre rimettere in discussione idee e frammenti del proprio lavoro, lasciarli insaporire in una salsa condita con umori altrui, accostarsi a pensieri altri e lontani, senza che l’atto di annullare o restringere le distanze sia richiesto o favorito dall’autorità di appartenenza. In breve, un gioco per (con)dividere un luogo di produzione, povero di mezzi ma ricco di propositi. Purtroppo la contiguità, la koinè e la compartecipazione, negli anni recenti, sono apparse revocate da un sapere sensibile al solo dogma di “dover” appartenere, di guardare verso orizzonti tranquillizzanti, racchiusi tra solidi e invalicabili punti cardinali.

RQ ha spalancato, perciò, alcune porte affinché si oltrepassassero le barriere della contrapposizione fine a sé stessa, riaprendo, come un tempo, gli spazi della parola. Un’operazione, se si vuole, semplice perché in grado di fornire solo un’occasione di incontro, ma spiazzante se si considera l’intento di ricreare un universo critico, lontano dagli antagonismi tra favorevoli (a cosa?) e contrari (a chi?) o tra irriducibili di sinistra e cassandre di destra, per dirla con le parole dell’attivista Andrew Ross.

Per questi motivi, la nostra sarà una casa non elitaria né populista, ma aperta verso le aree della frontiera e del confronto. L’unico interesse collettivo che inseguiamo è di includere, estendere, connettere per poter appassionare, incuriosire e attirare un pubblico di lettori sin troppo assuefatto e annoiato dall’informazione prevedibile dei figuranti e burattini di un canovaccio precostituito. Troppo cinismo abbiamo visto scorrere sotto i ponti del nuovo secolo, distillato da istituzioni e organi di informazione distanti dalla verità e inclini a sterili antagonismi, che hanno determinato apatia e disimpegno. Intellettuali e pubblico devono invece tornare a parlarsi. Per farlo, occorre allestire nuovi spazi neutrali e dinamici, tribune contemporanee senza vedute e interessi programmati, ma allestite solo per il gusto di creare un diario collettivo e pubblico, che non racconti gli eventi, ma il “prima” di essi, cioè il tempo in cui la riflessione innesca i fatti, li determina o li impedisce, senza veder passare la storia. Quando si è spettatori e non attori del proprio tempo, inevitabilmente arriva il destino. E non è proprio il caso.

Andrea Manzi

Coordinatore di RQ. È stato redattore capo de Il Mattino, fondatore e direttore del quotidiano La Città (Gruppo l’Espresso), vicedirettore del Roma, condirettore del Quotidiano del Sud. Insegna Teoria e tecniche della Comunicazione giornalistica presso l’Università di Salerno, della quale è stato consigliere d’amministrazione. Presiede “Ultimi. Associazione di legalità ODV”. Collabora alle trasmissioni culturali della notte su Raiuno. Scrive per il teatro, al suo attivo pubblicazioni poetiche, narrative e saggistiche

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