The Whale, un film claustrofobico che apre la mente

Il cinema di Aronofsky è la descrizione perfetta del cinema d’autore che arriva anche al grande pubblico per la forza con cui vengono raccontate le storie. Il suo ultimo lavoro ha emozionato le sale.

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Il cinema di Aronofsky è la descrizione perfetta di quel cinema d’autore che riesce ad arrivare anche al grande pubblico per la forza con cui vengono raccontate le sue storie. Il suo ultimo lavoro, The Whale, ha fatto parlare moltissimo e ha emozionato le sale.

Adattamento cinematografico dell’opera teatrale di Samuel D. Hunter, “The Whale” è un film drammatico diretto da Darren Aronofsky uscito nel 2022 e distribuito dalla casa A24 nel novembre dello stesso anno in America, mentre è arrivato nelle sale cinematografiche italiane solo a febbraio 2023. Nel 2012, fu messo in scena per la prima volta il dramma di Hunter a Denver, per poi approdare sui palchi dell’Off Broadway a fine anno. Lo spettacolo suscitò l’ammirazione del regista statunitense Aronofsky che si mobilitò per realizzarne un film. The Whale segna, dunque, l’apice di un lavoro decennale del regista che culmina con la sua presentazione alla Biennale di Venezia 2022 con un applauso della durata di sei minuti da parte del pubblico. Ovviamente, la sceneggiatura è stata curata da Hunter che ha seguito Aronofsky in questo lungo processo. Scegliere l’attore per un progetto simile non è stato facile; difatti, la ricerca è stata lunga finché nel 2021 non è stato annunciato che il ruolo da protagonista sarebbe stato affidato a Brendan Fraser, una star degli anni ’90 e inizio 2000 famoso per aver preso parte alla trilogia colossal La Mummia. Sono state le luci della ribalta per Fraser: dopo un periodo in cui ha sofferto di depressione e dopo aver recitato in ruoli marginali, è tornato sul grande schermo brillando sul palco degli Oscar con la statuetta per miglior attore protagonista per la sua performance impeccabile e partecipata. Il cast del film conta, d’altronde, di altri nomi noti e molto amati, come Sadie Sink (Maxine in Stranger Things), Hong Chau (conosciuta per Vizio di forma e la serie Big Little Lies) e Ty Simpkins (Guerra di mondi e Insidious).

Trama tra realtà e finzione

La trama è, in realtà, molto lineare ma profondamente autobiografica. In Charlie si rintracciano le esperienze di vita di Hunter: in un’intervista rilasciata all’IOWA, ha raccontato di essere stato cacciato dalla scuola superiore religiosa a Mosca dopo il suo coming out e di aver sofferto di disturbi alimentari; inoltre, è anche diventato professore di scrittura e ha incoraggiato i suoi studenti a scrivere qualcosa di “onesto” (come nel film). Seguiamo, dunque, il protagonista Charlie, insegnante universitario di letteratura e scrittura online, nella sua ultima settimana di vita. Infatti, Charlie è un uomo gravemente obeso che cerca di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente dopo averla abbandonata per anni. Sapendo di essere prossimo a un addio, vorrebbe conoscerla meglio. Mentre vediamo giorno dopo giorno il decadimento di Charlie, si intrecciano intorno a lui altre tematiche importanti grazie all’introduzione di personaggi impelagati nei propri problemi quali l’omosessualità, il rapporto padre-figlia, la religione e i disturbi alimentari. La grande maestria del regista si manifesta proprio nell’aver fatto interagire tematiche così complesse tramite i soli dialoghi avvenuti in un unico ambiente, ossia il salotto di Charlie. Non si esce mai dal salotto se non per spostarsi nella stanza da letto, il film è girato interamente in un unico spazio.

Obesità e body positivity a confronto

In pieno stile aronofoskyano, anche qui il body horror è il centro del racconto. Non è la prima volta che Aronofosky usa il corpo per descrivere i disturbi mentali e i disagi interiori, basti pensare al Cigno Nero con Natalie Portman. In questo caso, il regista usa il corpo enorme di Charlie per denunciare la sanità americana, troppo soffocante nei confronti dei meno abbienti, ma critica fortemente anche la body positivity, ormai un trend. Stare bene nel proprio corpo è un messaggio meraviglioso da seguire, non nei casi in cui, però, la salute della persona ne risente. Usare i primi piani mentre il protagonista si abbuffa o i campi totali per mostrarci quanto sia grande il suo corpo tanto da ingombrare la scena, è un modo per farci provare disgusto e disagio ma anche tenerezza e compassione. Per realizzare il grasso, sono state usate delle protesi di nuova tecnologia così da rendere credibili i movimenti di Fraser e restituire allo spettatore il giusto ritratto della sofferenza di chi vive una condizione simile.

Omosessualità, il fil rouge da Melville a Charlie

Fin dalla prima scena del film veniamo a conoscenza dell’omosessualità di Charlie: lo vediamo mentre pratica autoerotismo davanti a un porno gay. L’omosessualità è il filo conduttore di tutti gli eventi perché Charlie ha lasciato la moglie quando ha capito di amare un altro, ha iniziato a prendere peso dopo che quest’ultimo è morto a causa dell’oppressione religiosa che lo aveva condannato per il suo orientamento sessuale. La sofferenza per la perdita dell’amore della sua vita ha permesso al cibo di impossessarsi di lui, il binge eating è stata ed è la sua unica consolazione. Inoltre, Hunter riprende l’opera letteraria Moby Dick di Melville nella duplice accezione. In un primo momento, si può pensare che il titolo dell’opera teatrale (e del film) “The Whale” si riferisca solo alla grandezza della balena bianca di Melville, anche perché è il primo titolo anche del romanzo (poi intitolato “Moby Dick or The Whale”, 1851). Invece, vi è un secondo significato nascosto che lega Melville, Hunter e Charlie, ossia l’omosessualità. Melville era omosessuale, molte lettere lo confermano e si pensa che sia stato innamorato di Hawthorne (autore della Lettera scarlatta). In Moby Dick c’è un passo del libro che fa intendere che tra Ismael e il nativo Queequeg ci sia più di un rapporto amicale, dormono insieme abbracciati, e in questo si può dedurre il sentimento di Melville nei confronti della società del suo tempo ancora troppo intollerante.

La presenza della religione in Melville e in Aronfosky

La religione entra in questo discorso sia perché il romanzo melvilliano è ricco di riferimenti religiosi, lo stesso capitano Achab e la balena rappresentano la lotta tra il Bene e il Male, sia perché il regista critica una presa di posizione della Chiesa radicale, retrograda sugli argomenti che riguardano la comunità LGBTQ+. Il personaggio che si fa portavoce del pensiero cattolico è Thomas (Ty Simpsink), un missionario della setta religiosa New Life Church. Quest’ultimo, convinto della sua fede, cerca di aiutare Charlie per portarlo verso la salvezza, ma è fermamente convinto che la sua obesità sia una punizione divina per la sua vita sessuale peccaminosa. Il dialogo tra i Charlie e Thomas è il più intenso e mostra quanto sia positivo il protagonista rispetto agli altri. Non lo rimprovera duramente, ma sottolinea che l’amore non è una colpa e che, anche se la pensa in quel modo, non significa che sia quello giusto. È l’ultima scena di Thomas, dove il contrasto tra religione e omosessualità non ha una risoluzione, al contrario, ci troviamo in una fase di stallo. Indubbiamente, il racconto ci mostra la posizione del regista al fianco di Charlie, perché lui dopotutto è un personaggio positivo che vede sempre il bello e il buono negli altri. Quest’aspetto è evidenziato dal rapporto che l’uomo ha con la figlia ribelle e scontrosa Ellie; lui non demorde e cerca di farle capire di essere speciale e meravigliosa nonostante i suoi modi fastidiosi e spesso cattivi nei confronti degli altri.

Rapporto padre-figlia

Il confronto con la figlia è pregnante per comprendere il film, perché Charlie vorrebbe recuperare il tempo perduto con lei e rimediare all’errore di averla abbandonata. Nonostante Ellie si dimostri poco incline a riallacciare i rapporti con lui, Charlie non smette di provarci conscio del fatto che a breve lascerà questo mondo. Un rapporto genitoriale molto complicato, lacerato da una separazione e dalle decisioni prese in passato dal padre. Ellie ha sofferto per il divorzio dei suoi genitori, per l’abbandono del padre, non riesce a comunicare con gli altri senza il sarcasmo e le verità scomode dette in maniera schietta. Charlie è il primo a comprendere a pieno il dolore della figlia e vede in lei, però, del potenziale che potrebbe esprimere se si lasciasse amare. Gli ultimi giorni del protagonista sono incentrati su Ellie, sul farle capire quanto le vuole bene e quanto lei possa dare al mondo se solo fosse meno arrabbiata con i genitori. Ed è nella luce finale in cui verrà avvolto Charlie negli ultimi istanti di vita, nell’ultimo atto di amore per la figlia, che vediamo finalmente il dolore svanire e la speranza entrare prepotente nelle vite di chi è stato vicino a Charlie.

La letteratura tra realtà e finzione

La letteratura si intreccia tra i dialoghi di questi personaggi rendendo il richiamo a Melville ancora più importante. Partendo dalla professione di Charlie, il leitmotiv del film è una recensione su Moby Dick che lui rilegge spesso e che, in parte, riassume la sua ultima settimana di vita. È un passo in particolare a essere ripetuto più volte nel corso delle scene, quello in cui l’autore (anonimo fino alla fine) descrive il capitolo lunghissimo sui crostacei e lo definisce un “momento di pace” prima della tempesta, prima della tragedia, come se Melville stesse cercando di risparmiare al lettore quella sua triste storia rimandando gli eventi. Analogamente, sembra che il regista ritardi l’inevitabile. Sono diversi i momenti in cui lo spettatore crede che il protagonista stia morendo, l’ansia è un sentimento costante alimentata dalle sfumature blu delle scene. Il blu non è solo il colore del mare, quindi un rimando alla balena, ma è anche il colore tipico della depressione e della tristezza, dei sentimenti negativi. L’intenzione del regista è proprio quella di trasmetterci la tristezza e la sofferenza del protagonista insinuando l’ansia della sua dipartita con momenti di tensione (quali il soffocamento per le ali di pollo o le continue abbuffate). Ancora una volta, la letteratura è d’ispirazione, crea un dialogo tra il passato e il presente, viene fagocitata per creare qualcosa di nuovo e di attuale. La balena non è più simbolo del Male, come in Melville, ma è il simbolo della gentilezza e dell’umanità che cambia. The Whale è un film volutamente claustrofobico ma che apre, al contrario, la mente verso nuovi orizzonti e confronti.

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