«E gli occhi dei poveri riflettono, con la tristezza della sconfitta, un crescente furore. Nei cuori degli umili maturano i frutti del furore e s’avvicina l’epoca della vendemmia.»
John Steinbeck
Che questo libro sia scritto intingendo la penna nel furore (del dolore, dell’orgoglio, la rabbia, la sconfitta e la speranza) lo si capisce presto. Steinbeck sin dalle prime pagine ci porta in una storia corale tremenda, di quelle che ti stampano dentro il marchio di fuoco del reale e il puzzo di bruciato dell’iperreale.
Pubblicato dal premio Nobel (1962) americano il 14 aprile del 1939 a New York, viene dai più considerato il romanzo simbolo della Grande depressione degli anni trenta.
Titolo originale: The grapes of wrath (I grappoli dell’ira).
Per la stesura del romanzo, Steinbeck impiegò appena cinque mesi: da maggio a ottobre del 1938, e nemmeno, in quanto asserisce che molti giorni di questo periodo li dedicò ad “amici, distrazioni varie e pigrizia”. Dunque quelli di effettivo lavoro sarebbero solo cento, ma di grande fatica. La moglie Carol, nonostante l’aperta crisi coniugale, lo aiutò.
E lo aiutò anche l’uso di materiale giornalistico pubblicato nell’ottobre del ’36 sul San Francisco News. Gli articoli descrivevano le difficili condizioni di vita di centinaia di migliaia di contadini del Midwest, che dopo aver vissuto il dissesto delle tempeste di polvere che dispersero l’humus dei terreni coltivabili, dovettero fronteggiare un altro dramma: vedere sostituito il loro lavoro manuale da macchinari agricoli ed essere costretti a emigrare verso la California per cercare nuove opportunità lavorative. Le terre si erano impoverite, e ciò che rendevano, secondo i proprietari bastava appena per pagare i mezzadri. I debiti con le banche crescevano, dunque la soluzione doveva attingere ai progressi tecnologici. Il lavoro di un operaio su un trattore, sostituiva quello di dodici famiglie, e poco importa che quel trattore mandasse in miseria cento persone. Erano le nuove leggi di mercato, i proprietari non potevano farci nulla, e nemmeno le banche assetate di denaro potevano farci nulla.
La storia narrata da Steinbeck ha come protagonista una famiglia di dodici persone, con a capo Tom Joad e sua moglie (tutti li chiamano Pa’ e Ma’), i genitori anziani di lui, nati e cresciuti in quelle terre, lo zio John, i sei figli di Pa’ e Ma’. La femmina più grande, Rosa Sharn, all’inizio della storia è incinta. Ci sono poi Connie, marito di lei, e il predicatore Jim Casy.
Una famiglia contadina tipica di quegli anni, con all’interno ben salda la sua gerarchia. Il vecchio, brontolone sparaparolacce, traballa sulle gambe. Non è più in grado di “cavalcare il materasso di notte”, e nemmeno riesce più ad abbottonarsi la patta dei pantaloni. Ma’, tra un rimbrotto e l’altro, gliela sistema, senza che lui perda per questo la sua autorevolezza.
La famiglia impiega tutto il denaro che ha, frutto di annosi sacrifici, per comprare un camion su sui sale con ogni masserizia si riesca a caricare, direzione la terra promessa della California, dove pare ci sia lavoro per tutti (così è scritto su volantini ingannevoli ovunque distribuiti, che servono ad attirare più persone, nell’intento di creare una competizione che renda possibile paghe bassissime).
I Joad sognano ad occhi aperti di trovarvi la soluzione ai loro problemi. Raccoglieranno frutta, anche i bambini (la California ne è piena), potranno poi acquistare una casetta bianca e finire lì la loro esistenza.
Quando stanno per salire sul camion, il nonno realizza che non ce la fa a lasciare la ‘sua’ terra, quella che liberò dagli indiani, dalla gramigna, le pietre e i serpenti, e si rifiuta di partire,
“Come potremo vivere senza le nostre vite? Come sapremo di essere noi senza il nostro passato?” ma appena si addormenta (uno strano sonno preludio di malattia), lo caricano a tradimento e si parte.
Questo viaggio sarà una drammatica epopea, piena di vicissitudini peggiori di quelle che li hanno indotti a partire. La prima, è la morte del vecchio, che nemmeno dichiareranno, pena pagare le tasse. Dunque scavano una fossa e lo seppelliscono, senza scriverci il nome per non essere scoperti. Di cosa è morto il vecchio? Forse un colpo apoplettico, o forse è solo morto di dolore.
Dopo la sua pubblicazione, il libro riceve molte critiche, dubbiose circa la veridicità di quanto raccontato sulle disumane condizioni di vita dei contadini che emigrarono durante quell’esodo. In pratica, il romanzo spacca in due l’America di lettori, critici letterari e giornalisti. Tra chi ‘non crede’, il giornalista Frank J. Taylor, che conduce due inchieste nelle zone raccontate da Steinbeck. Secondo lui, le condizioni di vita dei contadini non erano propriamente quelle descritte da Steinbeck. Di contro, la commissione La Follette, guidata dal famoso progressista che le diede il nome, avalla quanto sostenuto dallo scrittore.
Sta di fatto che l’interesse suscitato dal libro va oltre il contenuto letterario, intercettando quello sociologico, storico, antropologico.
Ritornando al romanzo, non c’è una tappa dove la famiglia Joad non debba affrontare le prove più ardue della sopravvivenza. Eppure tra poveri ci si capisce bene e non mancano reciproci gesti simbolici di aiuto attraverso la preghiera, ma anche concreti di solidarietà. Chi in famiglia veglia su tutti, annullandosi per questo, è Ma’, che viene così descritta:
“Le braccia forti e lentigginose, le mani pienotte e delicate come quelle di una bambina paffuta. La sua faccia carnosa non era dolce: era risoluta, garbata. I suoi occhi nocciola sembravano aver vissuto ogni tragedia possibile, salendo come gradini il dolore e la sofferenza fino a raggiungere una comprensione sovrumana e un sommo equilibrio. Sembrava conoscere, accettare, gradire il suo ruolo di cittadella della famiglia, di roccaforte inespugnabile. E poiché il vecchio Tom e i figli non potevano conoscere sofferenza o paura se lei non denunciava sofferenza e paura, aveva imparato a rinchiudere l’una e l’altra dentro se stessa. E poiché quando succedeva qualcosa di lieto, loro la guardavano per vedere se in lei ci fosse gioia, si era abituata a trarre motivo di riso da faccende che non ne avevano. Ma meglio della gioia era l’equilibrio. Il senso della misura dà affidamento. Il suo ruolo di risanatrice aveva dato alle sue mani sicurezza, nerbo, sapienza; il suo ruolo di arbitra l’aveva resa remota e infallibile come una dea. Sembrava sapere che se lei avesse vacillato, l’intera famiglia avrebbe tremato, e che se un giorno si fosse trovata a cedere o a disperare davvero, l’intera famiglia sarebbe crollata…”
Nella agognata California, i Joad non trovano lavoro, se non quello stagionale di sfruttamento e malapaga. Si imbattono inoltre nella diffidenza e il razzismo degli abitanti del posto, che vedono in loro, come nelle altre persone povere e malvestite che arrivano, invasori del proprio magnifico territorio.
“Cercavano spasmodicamente la felicità del lavoro. Terra e cibo, erano un’unica cosa. Speravano in un focolare, trovarono invece solo odio.” Baricco.
Ma loro su quel camion malandato continuano a viaggiare, verso ovest, viaggiare.
“E così cambiarono la loro vita sociale; la cambiarono come solo l’uomo sa fare in tutto l’universo. Non erano più contadini, erano emigranti. E i progetti, le attese, i lunghi silenzi contemplativi che un tempo avevano dedicato ai campi, adesso li dedicavano alle strade, alle distanze, all’Ovest. L’uomo che aveva imparato a ragionare in ettari, viveva di anguste miglia d’asfalto. E i suoi pensieri e le sue ansie non riguardavano più la pioggia, il vento e la polvere, il maturare del raccolto. Gli occhi guardavano gli pneumatici, le orecchie ascoltavano lo sferragliare del motore, e il cervello s’ingegnava con l’olio, la benzina, l’assottigliarsi della gomma tra l’aria e la strada. Perciò un ingranaggio saltato era una tragedia. Perciò la speranza era per un corso d’acqua la sera, e un po’ di cibo sul fuoco.”
Anche se questo libro risale a ben 86 anni fa, per le problematiche trattate risulta quindi estremamente attuale.
Pure la vecchia nonna muore, vessata dagli sforzi del viaggio, gli stenti, la sofferenza per la morte del marito. Connie fugge dalla famiglia e le sue responsabilità, lasciando la moglie incinta. Il giovane Noah se ne va lungo il fiume alla ricerca della sua strada. Se ne va il predicatore Jim Casy, se ne va il giovane Tom (che ha lo stesso nome del padre), personaggio fortemente rappresentativo di questa storia di povertà e schiavitù. Egli lascia la famiglia per unirsi ai ribelli che manifestano contro gli sfruttatori. Dalla storia è tratto il film di John Ford del 1940, con protagonista un giovane Henri Fonda, ha inoltre ispirato numerosi artisti, tra cui Bruce Springsteen, che nel 1996 compose ‘Il fantasma di Tom Joad’ come inno alla libertà e al senso di giustizia. Il testo della canzone riprende il discorso di commiato di Tom a sua madre.
The ghost of Tom Joad
Now Tom said:
“Mom, wherever there’s a cop beatin’ a guy
Wherever a hungry newborn baby cries
Where there’s a fight ‘gainst the blood and hatred in the air
Look for me Mom I’ll be there
Wherever there’s somebody fightin’ for a place to stand
Or decent job or a helpin’ hand
Wherever somebody’s strugglin’ to be free
Look in their eyes Mom you’ll see me.”
“Mamma, dovunque un poliziotto picchia una persona/ dovunque un bambino nasce gridando per la fame/ dovunque c’è una lotta contro il sangue e l’odio nell’aria/ cercami, e ci sarò/dovunque qualcuno lotta per essere libero/ guardali negli occhi, e vedrai me”.
All’editore Valentino Bompiani si deve il titolo Furore e l’unica versione italiana dell’opera sino al 2013, con una traduzione che per via della censura fascista ed alcune libere interpretazioni non le rende giustizia. Finalmente nel 2013, la nuova traduzione di Sergio Claudio Perroni avviene su testo integrale e ridona al romanzo la sua autenticità e potente espressività, per le quali oggi è considerato in tutto il mondo un’opera epica tra i migliori classici.