Ci sono notti in cui la poesia sembra alzarsi prima del sole. Nel silenzio dorato del 21 giugno, il Palazzo D’Avossa ha spalancato le sue finestre su un incontro intimo, eppure vastissimo, come le “molte lune” che accolgono il nuovo volume di Ralph Pite. Dove la parola non consola, ma scava. Ospite d’onore Ralph Pite, massimo esponente della eco-poetry, poeta inglese attento ai mutamenti del paesaggio terrestre e umano, accompagnato dalla professoressa Linda Barone, traduttrice e interprete delle sue parole in lingua italiana. A moderare e illuminare la conversazione, il critico letterario e docente Vincenzo Salerno, voce lucida e raffinata del pensiero poetico contemporaneo.
“La poesia non deve essere solo consolatoria.’’
— Alfonso Gatto, inciso su un muro, ma sembrava parlasse a noi.
Un poeta tra terra e parola
Chi è Ralph Pite? Poeta, saggista, studioso. Ma anche geografo dell’anima e cartografo del disastro ambientale. Professore all’Università di Bristol, ha dedicato anni allo studio della poesia del Novecento — Robert Frost, Edward Thomas — e al pensiero poetico di Thomas Hardy, figura a cui ha dedicato saggi fondamentali. La sua ricerca lo porta a esplorare la relazione fra ecologia e letteratura, passando attraverso le voci limpide e urgenti di Jorie Graham e Mary Oliver.
Ma non solo: Pite si muove con agio nel Romanticismo, con una particolare attenzione alla letteratura anglo-italiana e ai concetti di “luogo” nella scrittura del XIX e XX secolo. Le sue ricerche toccano anche la letteratura vittoriana e i ponti invisibili che uniscono i suoni delle lingue e delle piante. Non a caso, ha collaborato con BBC Radio 4 per la serie Natural Histories, un viaggio tra poesia e natura, tra ascolto e intuizione.
Nel 2022 ha ricevuto il Premio Internazionale Alfonso Gatto, segno di un legame profondo con l’Italia e con l’idea di una poesia che agisce, che denuncia, che abbraccia.
L’incontro che nacque prima della rete
A raccontarlo è Vincenzo Salerno, critico, docente, amico: “Pite e io ci siamo conosciuti oltre vent’anni fa, quando preparavo la mia tesi di dottorato. Era un tempo pre-internet, in cui per incontrare un libro dovevi viaggiare, cercarlo, rincorrerlo.’’
Proprio Salerno è stato il tramite fra il poeta inglese e la traduttrice Linda Barone, docente presso l’Università di Salerno, con una lunga esperienza nella traduzione poetica e una profonda passione per Edgar Allan Poe: “Sono onorata di aver preso parte a questa esperienza. Già nel 2021 avevamo lavorato insieme con un gruppo di studenti, ed è stato chiaro da subito quanto le poesie di Pite siano difficili ma anche immensamente ricche. Tradurre è abitare, ed è quello che ho cercato di fare.”
Tradurre è abitare
Il volume curato da Barone si intitola:
“Translating Ralph Pite. A Linguistic, Stylistic, and Pragmatic Approach”, edito con la prefazione dello stesso Salerno. Otto poesie compongono il corpus, e ogni verso è un atto di ascolto, di mediazione, di immersione:
“La prima poesia si intitola Many Moons. L’ho tradotta come Lune su lune, perché non volevo solo essere letterale. Volevo viverla.”
Così Barone ha reso anche Ghostly Ghastly in un italianissimo e fantasmatico morto, smorto. Traduzioni che hanno toccato il cuore di Pite, il quale ha risposto con una mail commossa.
Una voce che ascolta la terra
Nella poetica di Pite si avverte il peso del presente. La sua eco-poesia è un grido e un sussurro. Nella poesia Man in the Moon, la luna è un volto impassibile di fronte al disastro che stiamo creando. C’è scienza nei suoi testi, immagini stratificate, ossimori, una dialettica tra linguaggi alti e parole basse — “spazzatura” che si mescola con echi danteschi ed eliotiani. La poesia non cerca equilibrio, ma intensità emotiva. Il contrasto è l’elemento che amplifica.
Pite ha scritto della foresta pluviale, dei ghiacciai, del silenzio delle specie estinte. La sua è una poesia con l’esigenza di arrivare.
L’intervista: quattro domande a Ralph Pite
Nel corso dell’incontro, ho avuto l’onore di rivolgere alcune domande al poeta. La sua voce, lieve e misurata, ha dato vita a risposte dense di significato.
Do you believe poetry should comfort us or awaken us?
Pite non risponde subito. Mi guarda, poi mi invita a voltarmi. Sul muro, la frase di Gatto: “La poesia non deve essere solo consolatoria. A volte deve essere un’arma, costringerci a vedere ciò che non vogliamo. Il dolore, l’autonomia.’’ Forse non siamo qui per essere cullati, ma per essere svegliati.
Do you ever write a poem and feel that it is wiser than you?
“Sì. Ci sono poesie che mi hanno sorpreso, come se sapessero più di me. Come se fossero nate già più grandi del mio pensiero. Ed è lì che si scoprono cose nuove, mondi che non avevi previsto.”
Your poems speak of destruction, but also of silence. Is silence a friend in your writing?
“Siamo troppo rumorosi. L’umanità fa chiasso, ma non sa ascoltare. Eppure, nel silenzio succedono le cose più importanti. La poesia nasce anche lì, nel vuoto denso delle parole non dette.”
When you write your poems, do you feel like you’re speaking to the Earth, or listening on it?
“Penso che i miei versi siano come il canto degli uccelli. Non spiegano, ma accadono. Per secoli abbiamo creduto che solo noi avessimo un linguaggio. Ora sappiamo che la natura ci parla. Dobbiamo solo rieducarci ad ascoltarla.”
Il 21 giugno, al Palazzo d’Avossa, la poesia non è stata celebrazione, ma urgenza. Grazie a Vincenzo Salerno, che ha tenuto insieme rigore e passione, e a due voci – Pite e Barone – che hanno mostrato quanto ancora ci sia da dire, e da tradurre. E forse non è un caso se proprio il poeta inglese, al termine dell’incontro, ha sussurrato: “Il mondo ha bisogno della letteratura.”