Ra di Spina, il canto come vocazione

Il Sud si intreccia con culture ancestrali, un richiamo che attraversa secoli e appartenenze. L'album è un voto, una dichiarazione di legame profondo con la terra e con la storia.

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Vocazioni è il primo album ufficiale di Ra di Spina: un intreccio di Sud e culture ancestrali, un richiamo che attraversa secoli e appartenenze. Qui il canto è più di un dato artistico: è un voto, una dichiarazione di legame profondo con la terra e con la storia. Ogni brano, cesellato con cura etnomusicologica (e qui troviamo la profonda competenza di Laura Cuomo) è un filo che tesse la memoria collettiva e la riporta a vibrare nel presente. Vocazioni, a nostro giudizio, s’inserisce in quel capitolo della sperimentazione contemporanea (a partire da Roberto De Simone e attraversando il lavoro di Canio Loguercio, Rocco De Rosa, Maria Pia De Vito o il primo Pino Daniele o l’ultimo Fabrizio De André) che ha smesso di guardare avanti con occhi vuoti e si è voltata, di scatto, verso ciò che l’ha generata. Non per nostalgia, ma per fame. Fame di senso, di appartenenza, di verità non negoziabili. In questo lavoro musicale, le tradizioni non sono più scenografie polverose: diventano materia viva, si piegano senza spezzarsi, si reinventano senza tradirsi. Ciò che credevamo morto torna a pulsare, più forte e pretende ascolto viscerale. Perché in quei riti, in quelle consuetudini testarde, c’è la mappa della nostra pace e la grammatica della nostra gioia. Sradicarle sarebbe amputarsi: un atto che nessuna modernità potrà mai giustificare.

Ma riavvolgiamo il nastro e ricostruiamo la breve ma già avvicente storia di questo gruppo che ha fatto della sperimentazione e della tradizione un unico sentire il mondo. Dal primo EP omonimo del 2022, Ra di Spina non ha mai smesso di crescere. All’epoca, sotto la guida di Ernesto Nobili, si intrecciavano tessiture elettroniche e polifonie raffinate, con le voci di Laura Cuomo, Francesco Luongo e Sonia Totaro. Poi il 2023 e la finale del Premio Andrea Parodi. Ora, con Vocazioni (Agualoca Records) il progetto cambia pelle: due voci in primo piano (Cuomo e Alexsandra Ida Mauro) sostenute da chitarre più affilate e una percussività robusta, senza rinunciare ai battiti digitali che ne hanno plasmato l’identità. Con loro, Nobili alla produzione e alle corde, e Francesco Paolo Manna a scandire il tempo con precisione rituale. Voci che si rincorrono, che si sognano, che raccontano amori umani e divini. Voci che si arrampicano sulle melodie arcaiche e ne restituiscono la potenza primordiale, radicata nei cantori popolari. Il disco rilegge parte dell’EP del 2022, adattandolo alla nuova formazione, e chiama a raccolta ospiti d’eccezione: Alfio Antico al tamburo in Canti dei salinari, Rocco De Rosa al pianoforte in Nananà tarantella, oltre al ritorno di Luongo e Totaro. Il Sud è la bussola, ma non come cartolina: è geografia emotiva, radici profonde, canto come rito comunitario. La copertina di Paolo Montella ritrae due ex voto (un volto e un cuore sacro) attraversati da vene e radici: simboli di devozione e vitalità. “Il canto è il nostro ex voto”, dice Cuomo, etnomusicologa che ha prestato la voce a progetti che vanno da Eugenio Bennato alla colonna sonora di Dante di Pupi Avati. Le tracce attraversano il Meridione evitando il folclore di maniera: dalla sospensione sensuale di Madonni quant’è jirti stu palazzo alla preghiera campana Sant’Anna ereditata da Biagio De Prisco; dalla poesia siciliana di Rosa Balistreri in Ciuriddi du lu chianu alla calabrese Matajola, scintillante dialogo voce–corde; fino alla Procidana, omaggio a Roberto De Simone e Concetta Barra, proposta anche “dal vico” per catturarne la forza dal vivo.

Ci sono anche incursioni nel Gargano (Ninna Nanna di Carpino), in Irpinia (Nananà Tarantella), nei canti di lavoro siciliani (Surfarara, Canti dei salinari) e nella “questua grottesca” di Antonio Infantino. Le voci, scolpite da loop e delay, si intrecciano con la precisione chitarristica di Nobili e la pulsazione ipnotica di Manna, in un continuo equilibrio tra acustico ed elettronico.

Dal vivo, Ra di Spina spinge ancora di più sull’elettronica e sull’improvvisazione, creando paesaggi sonori densi, dove le voci restano radice e faro. “Il mio approccio  – ha dichiarato in una recente intervista Cuomo – si basa su un’obbedienza totale alla corporeità del suono vocale. Cosa intendo? Significa dedicare una ricerca e un’attenzione continue all’autenticità, per arrivare a ‘essere voce’ in modo profondo e viscerale. Allo stesso tempo, è una disobbedienza ferma a qualsiasi tipo di canto che si limiti all’imitazione.

In Vocazioni, la tradizione non è reliquia ma materia viva. Le fonti (da Lomax a Carpitella, da De Simone a Balistreri) diventano terreno fertile per una reinvenzione che tiene insieme rigore di ricerca e libertà creativa. Perché cantare insieme, oggi, è ancora un gesto necessario.

Insomma, nel cuore di Ra di Spina non c’è ricerca fine a sé stessa ma c’è urgenza del cercare. Ra di Spina non è soltanto produzione sonora ma è scavo. Scandaglio nella voce, nel corpo in scena, nella strumentazione ibridata, nella memoria emotiva (dove ritroviamo non solo i padri della ricerca meridionale ma anche gli sguardi fondativi di Demetrio Stratos e Antonin Artaud). Ra di Spina non si racconta, ma si lascia attraversare dall’altro da sé, aprendo varchi tra vissuto privato e visioni collettive. E la vera musica accade quando l’azione “intellettuale” si esaurisce nel contatto vivo, nell’urto necessario tra forma e istinto. Quando diviene una sezione totale, che non cerca di imitare i maestri, ma ne ha profondamente assimilato la precisione: ritmo, suono, battito, verso. Ogni singola sonorità ha un peso, ogni silenzio un senso. Nulla è casuale, tutto è costruzione lucida e visionaria al contempo. È sensibilità incarnata. E poi la voce conduce il gesto, plasma la visione, canta a “piena voce” (urlerebbe Majakovskij). In Ra di Spina nulla è ornamento, ma tutto è detonazione. E nel momento che ci immergiamo nell’ascolto la musica vibra, antica e nuovissima. E riaccende la lingua, reinventa la tradizione e ci consegna, magnificamente, al “pensiero dell’origine” (direbbe Carlo Serra) e quindi all’ignoto, al misterico e ancora una volta all’ineffabile.

Alfonso Amendola

Professore di Sociologia dei processi culturali presso l’Università degli Studi di Salerno. Dirige gli incontri d’Ateneo “Open Class. Le professioni della comunicazione” e co-dirige i “Dialoghi sociologici”. È docente nel Collegio del Dottorato di Politica, Cultura e Sviluppo (ciclo XL) dell’Università della Calabria. È responsabile scientifico e Key staff member di diversi progetti internazionali. Il suo percorso di ricerca si muove lungo un crinale di 5 punti: visual studies, culture d’avanguardia, consumi generazionali, innovazione digitale e mediologia della letteratura (temi su cui ha pubblicato numerosi libri, monografie e saggi scientifici). Dirige per le Edizioni Rogas di Roma la collana di sociologia della cultura “La sensibilità vitale” e co-dirige per Cambridge Scholars la collana “Multidisciplinary Approaches to Discourse and Sociology”. Accanto all’attività universitaria è consulente e cultural manager di numerosi festival e rassegne. Scrive sul quotidiano “Il Mattino” e il periodico “CostoZero”, cura la sezione “Nuovi sguardi critici” per RQ e collabora con la Rai.

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