Musto, la legge ultima dell’esistenza è la lotta

In un capitolo iniziale della sua “biografia intellettuale” dell’ultimo Marx, il più profondo conoscitore del pensatore e rivoluzionario di Treviri, secondo Étienne Balibar- ricorda l’incontro di Karl con John Swinton, un influente giornalista statunitense che si recò a Ramsgate, una cittadina balneare del Kent per un’intervista da pubblicare sul “Sun”, il quotidiano da lui diretto e tra i più venduti in Nord America. Tedesco di nascita, Marx era diventato apolide, dopo essere stato espulso dai governi francese, belga e prussiano, che erano riusciti a sconfiggere i movimenti rivoluzionari nati nei loro paesi tra il 1848 e il 1849. Quando, nel 1874, aveva presentato domanda per un certificato di naturalizzazione in Inghilterra, questo gli era stato negato perché un rapporto speciale dell’ufficio investigativo di Scotland Yard lo aveva etichettato come “un famigerato agitatore tedesco, propugnatore di princìpi comunisti, che non era stato leale né verso il suo re, né verso il suo paese”. Corrispondente, per oltre un decennio, del “New-York Tribune”, nel 1867 Marx era stato l’autore di una vasta critica del modo di produzione capitalistico e per otto anni, a partire dal 1864, la principale guida teorica dell’Associazione internazionale dei lavoratori. Il suo nome era apparso sulle pagine dei più diffusi giornali europei, allorquando, nel 1871, dopo aver difeso la Comune di Parigi nel suo scritto “La guerra civile in Francia”, la stampa più reazionaria gli aveva conferito il soprannome di “dottore del terrore rosso”

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Nell’estate del 1880, Marx si trovava a Ramsgate con la sua famiglia, obbligato dai medici ad astenersi da qualsiasi lavoro e a curare i suoi nervi con il “far niente”. Le condizioni di salute di sua moglie erano peggiori delle sue. Jenny von Westphalen era malata di cancro e il suo stato si era aggravato, in modo tale da minacciare un esito fatale. Fu questo il contesto nel quale Swinton, che per tutti gli anni sessanta era stato caporedattore del “New York Times”, conobbe di persona Marx e ne tratteggiò un profilo partecipe, intenso e accurato. Sul piano privato, egli lo descrisse come un “gentile uomo sulla sessantina, con la testa massiccia, il fare magnanimo, cortese, con una massa cespugliosa di capelli grigi lunghi e ribelli”, che conosceva “l’arte di essere nonno non meno bene dell’opera di Victor Hugo”. Egli aggiunse che il modo di conversare di Marx, “così libero, travolgente, creativo, incisivo, autentico”, gli “ricordava Socrate (…), per il tono ironico, i lampi umoristici e la giocosa allegria”. Notò anche una persona “scevra da qualsiasi brama di esibizione e di successo, alla quale non importava nulla delle fanfaronate della vita e della messinscena del potere”. Tuttavia, nell’intervista stampata sulla prima pagina del “Sun”, il 6 settembre del 1880, Swinton presentò ai lettori nord-americani soprattutto il Marx pubblico. A suo avviso, egli era “uno degli uomini più straordinari del tempo, colui che aveva giocato un ruolo imperscrutabile, eppure poderoso, nella politica rivoluzionaria degli ultimi quarant’anni”. Di lui scrisse: Non ha fretta e non conosce riposo. È un uomo dalla mente possente, ampia ed elevata; sempre alle prese con progetti ambiziosi, metodi logici e obiettivi pratici. È stato e tuttora è l’ispiratore di molti dei terremoti che hanno sconvolto nazioni e distrutto troni. Egli oggi minaccia e fa inorridire le teste coronate e i ciarlatani matricolati più di chiunque altro in Europa (…).
Marx lo impressionò perché capace di passare in “rassegna il mondo europeo paese per paese, evidenziandone le peculiarità, gli sviluppi e le personalità, tanto quelle che agiscono in superficie quanto quelle che operano al di sotto di essa”. Egli lo intrattenne parlandogli delle forze politiche e dei movimenti popolari delle varie nazioni d’Europa: dell’ampia corrente dello spirito russo, dei movimenti della mente tedesca, dell’attivismo della Francia, dell’immobilismo inglese. Era pieno di speranze rispetto alla Russia, filosofico mentre parlava della Germania, allegro accennando alla Francia e cupo riguardo all’Inghilterra, riferendosi sprezzantemente alle “riforme atomistiche” con le quali i liberali del parlamento britannico passano il loro tempo. Swinton fu sorpreso anche dalle conoscenze di Marx sugli Stati Uniti. (…) Nel pomeriggio, Marx “propose di fare una passeggiata lungo la battigia”, così da potersi ricongiungere con la sua famiglia, descritta da Swinton come “una deliziosa comitiva di una decina di persone circa”. Calata la sera, a tenere compagnia ai due rimasero Charles Longuet e Paul Lafargue, i generi di Marx: “si parlò del mondo, dell’uomo, del tempo e delle idee, mentre i bicchieri tintinnarono sullo sfondo del mare”. Fu in uno di quei momenti che il giornalista americano, pensando “alle incertezze e ai tormenti dell’epoca presente e di quelle passate, colpito dalle parole udite e immergendosi nella profondità del linguaggio ascoltato”, decise di interrogare il grande uomo che aveva di fronte a sé circa “la legge ultima dell’essere”. Fu così che, durante un momento di silenzio, interruppe il rivoluzionario e filosofo con questa fatidica domanda: “Quale è?”. Per un attimo, ebbe la sensazione che la mente di Marx “si stesse rivoltando su sé stessa, nel mentre ascoltava il ruggire del mare e osservava l’irrequieta moltitudine sulla spiaggia. “Quale è questa legge?” – gli aveva chiesto”. Dopo aver rivolto lo sguardo verso Swinton, Marx, con tono profondo e solenne, rispose: “La lotta!”

[Marcello Musto. L’ultimo Marx: Biografia intellettuale (1881-1883)]

 

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