Migrazioni di massa nella letteratura di viaggio

Testi come quelli di Buscalioni e Malavasi costituiscono la prova di prima mano su come era governato il viaggio migratorio verso le Americhe alla fine del XIX secolo esprimendo la denuncia delle pessime condizioni in cui erano costretti i passeggeri di terza classe

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Nel clima post-unitario impregnato dalle idee positiviste penetrate anche in Italia, la nuova mentalità sociale, volta ora verso il progresso e la modernizzazione, determina la nascita di una produzione libraria di tipo industriale. Una tappa dello sviluppo dell’editoria italiana è rappresentata dalla letteratura di viaggio, che meglio di altri generi risponde alle esigenze di informazione, di acculturazione scientifica, di acquisizione di esperienza.

L’importanza che le relazioni di viaggio potevano assumere nell’immaginario italiano viene subito avvertita dalle case editrici milanesi Treves e Sonzogno, attente a percepire mutamenti ed evoluzioni dell’industria culturale. Così, sulla scia dei giornali di viaggio francesi e inglesi nacquero anche in Italia una serie di riviste e di collane destinate a conquistare e ad allargare il nuovo pubblico sulla base di una formula che rispondeva ai principali bisogni del momento, fra i quali ampliare i propri spazi conoscitivi, manifestare un certo gusto per l’avventura e ribadire la superiorità dei valori culturali europei.

All’interesse italiano per la letteratura di viaggio concorrevano anche altri fattori. In primo luogo lo sviluppo della scienza geografica con la costituzione anche di istituti geografici (come la Società Geografica Italiana, fondata nel 1867), che promossero e sovvenzionarono viaggi scientifici di tipo economico-commerciale oltre che d’esplorazione. Inoltre, il nuovo clima volto verso il progresso favorì anche lo sviluppo dell’industria navale e, con essa, la ripresa dei viaggi di circumnavigazione realizzati sempre per motivi scientifici e commerciali. Infine, non va dimenticata l’alluvione migratoria verso le Americhe, un fenomeno che tra il 1880 e il 1915 ha coinvolto circa nove milioni di italiani, di cui oltre cinque diretti in America Latina (in particolare in Argentina, Brasile e Uruguay). È in questo periodo che si incrementa il numero di viaggi di intellettuali italiani (politici, turisti, religiosi, medici, esploratori, ufficiali, giornalisti, scrittori) diretti ai paesi latinoamericani oggetto del fenomeno migratorio.

Le loro relazioni di viaggio divennero spesso un canale di propaganda per appoggiare le ambizioni coloniali italiane, rispondenti alle esigenze di entrare nel novero delle nazioni potenti europee. Infatti, se inizialmente lo sguardo era stato rivolto verso l’Africa, in un secondo momento, e soprattutto dopo la sconfitta di Adua (1896), la classe dirigente al governo individuò nel fenomeno dell’emigrazione di massa verso l’America Latina il mezzo per un’eventuale penetrazione coloniale italiana in quei territori. In sintesi, all’interno del dibattito apertosi in Italia fra contrari e favorevoli all’emigrazione, un ruolo importante è stato svolto proprio dagli intellettuali viaggiatori. Questo perché le loro relazioni erano frutto di una concreta esperienza di viaggio, aspetto che conferiva loro il prestigio della validità tanto da influenzare non solo il dibattito sull’emigrazione, ma anche l’opinione pubblica italiana su cui si faceva presa con il ricorso a motivi di civiltà e di superiorità etnoculturale (che trovavano un equivalente ideologico nella sociologia positivista), così come si ricorreva all’osservazione della realtà americana – tema quanto mai “esotico” e pertanto di grande attrazione – come stimolo alla lettura.

Per riassumere, si tratta quindi di una letteratura che offre motivi di analisi per lo studio del clima culturale e sociale dell’Italia post-unitaria, dello sviluppo della scienza geografica e dell’industria navale e della storia dell’emigrazione di massa italiana nell’America del Sud. Su quest’ultimo aspetto sarà incentrato il presente contributo, con l’obiettivo di attribuire ai testi in esame un valore di letteratura testimoniale, soprattutto per quello che riguarda la denuncia delle pessime condizioni igieniche e sanitarie a cui erano costretti gli emigranti sulle navi dirette ai porti dell’America Latina, condizioni che potevano anche dar luogo al propagarsi di malattie infettive.

È proprio a partire dai problemi sanitari che si possono verificare durante la traversata oceanica che qui si presentano due relazioni di viaggio, pubblicate alla fine del XIX secolo, i cui autori sono in un caso il medico di bordo Luigi Buscalioni, autore di La disastrosa traversata del Carlo R. (Torino 1894) e, nell’altro, il passeggero di terza classe Cesare Malavasi, autore di L’odissea del piroscafo Remo ovvero il disastroso viaggio di 1500 emigranti respinti dal Brasile (Mirandola 1894). Entrambi affrontano situazioni epidemiche a causa delle quali le navi vengono respinte dai porti latinoamericani di destinazione e sono costrette a rientrare in Italia. Si tratta di casi per nulla infrequenti in anni in cui interessi commerciali determinavano l’imbarco di un numero di emigranti enormemente superiore alla capienza della nave e, al contempo, nei porti italiani i controlli sanitari erano ridotti al minimo, tanto che sintomi riconducibili a malattie come difterite, morbillo e colera venivano ignorati o minimizzati. Quest’ultimo aspetto è ancor più grave se si considera che nella seconda metà dell’Ottocento in Italia scoppiarono diverse epidemie di colera, in particolare a Napoli, nel cui porto le navi per le Americhe, il più delle volte partite da Genova, facevano scalo per imbarcare ulteriori passeggeri.

Su entrambe le navi da subito dopo la partenza scoppia un’epidemia di colera (nel viaggio di ritorno del Carlo R. si avrà anche una di morbillo) con la sepoltura in mare di oltre trecento persone. Quali le cause? Sulle navi vi sono spazi di terza classe ristretti per troppi passeggeri, poca areazione, scarse condizioni di igiene (generali e personali) anche per quanto riguarda i rifornimenti d’acqua (spesso inquinata perché contenuta in barili sporchi), cibo malsano se non addirittura avariato. E poi vi sono i topi, manca il ghiaccio (utile contro il vomito e per impedire la putrefazione delle carni macellate), e il pane è mal cotto. Tutto ciò forse già basterebbe a giustificare la presenza di malattie come il colera. Ma negli autori di queste relazioni di viaggio subentra anche il loro punto di vista esterno e carico di pregiudizi. Buscalioni cerca di ammantare le proprie considerazioni di una certa scientificità e di un atteggiamento da moderno ermeneuta, appoggiandosi a resoconti di viaggio e studi sull’emigrazione precedenti al suo: così, segnala che la mortalità a bordo non ha nulla di straordinario se paragonata al numero di decessi verificatisi in occasione di epidemie di colera in alcuni comuni italiani, dove le condizioni igieniche erano senz’altro migliori; che la malattia ha fra le sue caratteristiche la tendenza a rimanere circoscritta (e ciò giustificherebbe l’assenza di contagio in prima e seconda classe e fra l’equipaggio); e, infine, che all’inizio il colera ha colpito solamente i napoletani per poi estendersi agli italiani settentrionali e ai tirolesi. Il suo accanimento nei confronti degli italiani meridionali, più volte manifestato, è il segnale di come la nave diventi anche il palcoscenico di pregiudizi e ideologie corrispondenti al clima sociale, politico e culturale di fine Ottocento con l’ormai aperta “questione meridionale”. Va però aggiunto che forse per Buscalioni non si tratta solo di pregiudizi dettati da una mentalità anti-meridionale ormai diffusa. Come già detto siamo a fine Ottocento, ovvero nell’epoca del positivismo, dell’igienismo, dell’eugenetica e di un generale scientifismo su cui si stanno facendo molti passi avanti. I turbamenti di Buscalioni, il suo insistere sull’igiene collegando la pulizia personale alle malattie infettive potrebbero derivare da questa nuova sensibilità che lo spinge a porsi come esponente della nuova modernità scientifica e in quanto tale sa che certe situazioni possono e devono essere cambiate.

Testi come quelli di Buscalioni e Malavasi costituiscono testimonianze di prima mano su come era governato il viaggio migratorio verso le Americhe alla fine del XIX secolo esprimendo la denuncia delle pessime condizioni in cui erano costretti i passeggeri di terza classe. Fra i testi ascrivibili a questa linea vi sono Sull’Oceano (1889) dello scrittore Edmondo de Amicis e L’Europa alla conquista dell’America Latina (1894) del giornalista ed ex deputato Ferruccio Macola. Entrambi i testi hanno goduto di un successo editoriale che ha senza dubbio favorito l’interesse dell’opinione pubblica per il viaggio migratorio, e devono aver rappresentato un modello per Buscalioni e Malavasi. Non è dato sapere, invece, quale fortuna editoriale abbiano avuto i loro libri, scritti allo scopo di essere di aiuto e monito nella gestione della rotta transatlantica. La loro testimonianza diretta (come già quella di De Amicis e di Macola) deve comunque aver destabilizzato quell’orizzonte d’attesa del pubblico dell’epoca, lettore di relazioni di viaggio in cui, come si è detto, si cercavano prevalentemente elementi “esotici”, intendendo con questo termine una realtà del tutto diversa da quella europea, dove la natura, varia e meravigliosa, è pervasa da un’atmosfera fantastica e l’elemento etnico è immaginato primitivo e selvaggio. Buscalioni e Malvasi, invece, danno voce al silenzio, restituiscono presenza all’assenza delle voci dei migranti sconosciute all’opinione pubblica, offrendo versioni alternative e critiche allo svolgersi di un evento storico di così grande portata, quale è stato il fenomeno migratorio verso l’America Latina. Nei loro testi, insomma, è insita una volontà di memoria nonché il desiderio di presentare il proprio libro come “prova” in nome di una verità a cui entrambi dichiarano di essersi attenuti.

Camilla Cattarulla

Professore ordinario di Lingua e Letterature ispano-americane presso l’Università Roma Tre. È direttore della sezione ispanoamericana della rivista Letterature d’America e del Centro di Ricerca Interdipartimentale in Studi Americani (Università Roma Tre). Si è occupata di letteratura di viaggio, dell’emigrazione e dell’esilio, di diritti umani, dei rapporti tra iconografia e letteratura e tra letteratura e politica, di pratiche e rappresentazioni del cibo, temi sui quali ha pubblicato monografie e saggi su riviste e volumi collettivi in Italia e all’estero.

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