“Non è il tempo della cautela, è il tempo del coraggio. Il primo coraggio, è quello del dialogo.”
“La guerra è una violazione del diritto umano.”
(Castellina, pacifista)
È di cattivo gusto menzionare l’età delle signore. Tuttavia credo che questa regola possa non valere per Luciana Castellina, scrittrice, giornalista (laurea in Giurisprudenza alla Sapienza), e soprattutto attivista politica. Lei continua ad essere una bella ed elegante signora, sagace e lucidissima, nonostante i suoi 96 anni.
Novantasei anni vissuti senza risparmio. Intanto, a chi le chiede qual è il suo ruolo preferito, nonostante la lunga militanza comunista e i molteplici incarichi presso il Parlamento italiano ed europeo, risponde decisa: quello di Presidente dell’Arci.
Vive da sempre in una casa ereditata, dunque “un privilegio che non scelsi”, in zona Parioli, un quartiere borghese nella Roma “moderata e riccastra che si incistò qui dagli anni trenta. Poi nel tempo i ricordi e le abitudini me l’hanno resa vicina, quasi una parte di me”.
La casa trabocca di libri, come se non fossero loro ad abitarla, ma la casa ad abitare loro. Si trovano in ogni stanza, e così le numerosissime foto, con tutti quegli occhi testimoni di incontri e rapporti importanti (Sandro Pertini, Enrico Berlinguer e tanti altri, gli inquilini del Quirinale Luciana li ha conosciuti tutti), nonché dei momenti topici della sua vita politica e dei tanti viaggi (da ragazza diceva di voler fare il facchino alla stazione Termini, tanto amava guardare la gente partire…).
Una donna che ha attraversato buona parte del Novecento, ma nonostante il tempo trascorso, afferma di continuare a sentire forti le sue radici. Suo padre, Gino Castellina, rappresentante di commercio milanese, era un uomo inconsistente. La madre, di origine triestina, per metà ebrea, lo sposò credendolo ricco. Quattro anni dopo si separarono e otto anni dopo lei, che aveva beneficiato dell’annullamento della sacra Rota, poté risposarsi, tra l’altro avendo pagato profumatamente sotto banco un avvocato che l’aveva arianizzata. Si trasferirono a Verona prima, a Roma dopo. Qui Luciana si iscrive al Liceo classico Tasso, e diviene amica di Anna Maria Mussolini, figlia del Duce. Frequenta anche donna Rachele e Benito, avendo l’opportunità di essere ricevuta a Villa Torlonia. Ma il protocollo di casa è rigido. La merenda viene portata solo ai figli.
Anna Maria è una ragazza dal carattere forte, esuberante, ma aggressivo per via di una poliomielite che la costringe a portare un busto che le procura dolore. Quando invita Luciana a casa sua, ascoltano insieme alla radio il bollettino e lei lo commenta scimmiottando le parole di suo padre. Eppure Luciana sostiene di avere imparato da Anna Maria molte cose, ad esempio che la politica ha tante facce. È anche molto schietta Anna Maria: “Professore, perché ho preso 8 al compito e la mia amica 4? Io ho copiato tutto da lei!”
Il 25 luglio 1943 (Liliana ospite di Anna Maria), le due compagne sono insieme a Riccione a giocare a tennis. Alcune guardie ingiungono ad Anna Maria di dover immediatamente rientrare a Roma. È caduto il fascismo, e Luciana afferma di avere sempre apprezzato che si dica così. Perché caduto e non rovesciato, aggettivo che sembrerebbe più consono? Perché secondo lei fu marginale la volontà di coloro che contribuirono alla fine di quel regime.
Comunque, è allora che Luciana, mentre tutti sono impegnati a smantellare la casa del Fascio, sul retro di un vecchio quaderno di scuola inizia il suo diario politico, che si apre proprio così: “Ieri è caduto il fascismo”. Questo testo, scritto tra i 14 e i 18 anni, parla della sua iniziazione politica. Più tardi diventerà un libro pubblicato da Nottetempo e intitolato ‘La scoperta del mondo’. Numerose saranno le altre sue pubblicazioni e tra una cosa e un’altra Luciana più tardi troverà anche il modo di diventare manager di industria cinematografica.
Luciana ed Anna Maria si incontrano poi per caso dopo la guerra. La frase che colpisce Castellina: “Papà ha fatto male a fidarsi di quel cretino del re:”
Finita la guerra Luciana, pur attratta dal Partito d’Azione, a soli 18 anni sceglie di iscriversi al Partito Comunista, dove milita per lungo tempo, sino a quando anni dopo ne viene espulsa. Insieme a Rossanda, Pintor, Parlato, Natoli, Lucio Magri ed altri, ha fondato Il Manifesto. “A quei tempi, il Partito era molto totalizzante!”
“Noi fummo i primi a creare un dissenso vero nei confronti di un partito che ormai consideravamo immobile. Fu una battaglia che iniziò nei primi anni sessanta e preparò il 68. Quando ci hanno cacciati, ho molto sofferto. Mi sono sentita come buttata dalla finestra, però devo anche dire che nel PC ho dialogato con persone intelligenti. Da mio marito Alfredo Reichlin, intellettuale del Pc, quando fui espulsa mi ero già separata da una decina d’anni. Nella circostanza dell’espulsione, il partito si comportò in maniera orribile, con Pajetta che ci gridava contro: chi vi paga? Solo Nilde Iotti ed Emanuele Macaluso ci trattarono con umanità. E, cosa non marginale, Berlinguer fece di tutto per non espellerci. Ma dovette farlo.”
Nella vita di Luciana, poi, un lutto gravissimo, che la precipita nell’ angoscia: la morte dell’amico Lucio Magri, anche lui comunista. A lui, politico e saggista, era stata anche legata sentimentalmente. Morte sopraggiunta per un suicidi oda lui programmato, per una forma di infelicità e depressione non più sostenibile. Questa scelta provoca qualche scontro tra Luciana e Rossana Rossanda, che non solo lo appoggia, ma lo accompagna anche a morire a Bellinzona, in una clinica svizzera specializzata. A lei Luciana rimprovera: ”E a noi non ci pensa? Non pensa che ci lascia in un mare di dolore?”
Luciana, dentro e fuori dai partiti, si è fatta sempre il mazzo. Quando era segretaria della sezione del PC, insieme alle altre compagne più attive aiutava le donne ad abortire clandestinamente, nella convinzione, che è di tanti paesi civili, che la decisione dell’aborto sia un diritto della donna. E grande fu la gioia di veder passare il referendum quarant’anni fa.
Purtroppo ora si vive un Sessantotto al contrario, con le porte aperte alle associazioni anti-abortiste e anti-gender, che prendono soldi che potrebbero servire per cause sanitarie e/o umanitarie importanti. Comunque il suo impegno per l’emancipazione femminile fu sempre prezioso. Ha ricoperto anche la carica di presidente nazionale dell’Unione Donne Italiane.
Tra tante difficoltà, è andata avanti per la sua strada, incurante delle accuse di veteromarxismo che le sono sempre piovute addosso da più parti, anche negli ultimi anni.
Insiste nell’auspicare forme nuove di democrazia diretta, organizzata, contro quelle che Gramsci chiamava ‘Casematte’, costui sostenendo che “per prendere il potere bisogna occupare le casematte dello Stato, cioè gli apparati della società civile come la scuola, i partiti, i sindacati, la stampa, che hanno il compito di inculcare nelle menti delle grandi masse i valori della classe dominante”.
E non è vero secondo Castellina che i nostri giovani sono spoliticizzati. È solo che nel contesto politico e sociale attuale, non possono offrire un contributo adeguato.
Più di una volta, Luciana Castellina è stata incarcerata. In particolare nel 1963, quando partecipa a una manifestazione degli edili romani. Viene arrestata insieme a 32 operai e per due mesi rimane a Regina Coeli. Del carcere dice che è un posto terribile, lesivo di ogni dignità umana. Motivazione dell’arresto: ha preso ad ombrellate i poliziotti, il che, oltre che da lei e dai testimoni, viene anche smentito da sua figlia durante un tema in classe: impossibile, mia madre non ha mai posseduto un ombrello, semplicemente lei non li usa.
A chi le chiede se dovesse lasciare in eredità una parola ai giovani d’oggi, quale sarebbe questa parola: “La parola rivoluzione, naturalmente. Intendendo che bisogna cambiare questo mondo che non va bene per nulla; siamo arrivati ad un punto dove c’è bisogno di un cambiamento profondo e radicale perché il ritmo della distruzione sociale, culturale e ambientale è velocissimo. La vera sconfitta è essere convinti che non cambierà nulla, dobbiamo avere fiducia, è indispensabile. E non serve cambiare i Trattati, ma il modo di vivere. Da sempre la mia proposta è di istituire l’Erasmus non solo per gli studenti ma per tutti, iniziando dagli spazzini; ad esempio, la città di Roma dovrebbe mandare ogni anno uno spazzino a Berlino, altrimenti girano solo le élite.”
E ancora: “Occorre un vero senso di comunità: finché i tedeschi pensano che i greci non vogliono lavorare, e i greci pensano che i tedeschi sono tutti nazisti, non ci sarà speranza. Bisogna fare una vita europea per creare una cultura europea, che purtroppo non esiste, esistono ancora le culture nazionali. Attualmente l’unico leader intelligente di sinistra, è stato Papa Francesco. Sosteneva infatti, che non serve una politica per i poveri ma una politica dei poveri e che non basta la carità ma serve la politica. Quando vedo nelle manifestazioni per la pace le bandiere rosse della Cgil insieme a quelle blu delle Acli e di Sant’Egidio penso a quanto saranno contenti Gramsci e Togliatti.”
Al giornalista che la interroga sul suo rimpianto più grande, risponde: “Di non avere insegnato a usare il pc a mia madre, che in punto di morte me lo rimproverò: non mi hai insegnato a usare il pc, mi sarei tanto divertita.”
Infine: “Sono ancora qui. Dopo gli 80 anni, forse un po’ più frivola. Ma pensando di essere ancora quella ragazza che nel ’45 cambiò vita. Sì, malgrado tutto, resto la solita inossidabile comunistaccia. Che continua a viaggiare, a indignarsi e a scrivere.”