L’ipocrisia comunicativa degli Agnelli

La scelta arrogante dei profitti a scapito dell'indotto automobilistico. I risultati? Fabbriche chiuse e settore in ginocchio

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La Dr del Molise
Elkann

La fusione della Fiat in Stellantis, gruppo automobilistico francese, segna un punto di svolta significativo nell’industria automobilistica europea ed un arretramento doloroso del settore automotive italiano. John Elkann, erede maximo degli Agnelli, è da qualche tempo denominato all’estero Coupe-tête italien o Italian head cutter (qui da noi si guardano bene dal farne traduzione), in quanto ha ceduto le redini di Fiat Chrysler Automobiles in un affare che promette implicazioni profonde nel tessuto industriale e sociale italiano, tra le quali l’aspetto più rilevante è la chiusura di numerose fabbriche dell’indotto torinese ed italiano e il conseguente taglio di decine di migliaia di teste, appunto.

Tutto l’indotto storicamente legato al marchio Fiat-FCA si trova di fronte a un futuro incerto, con una prospettiva di ulteriori falciate occupazionali e di ridimensionamento delle attività produttive. La ristrutturazione delle operazioni industriali comporterà inevitabilmente conseguenze sociali ed economiche per le comunità locali, evidenziando la necessità di strategie di transizione efficaci per mitigare gli impatti negativi sul lavoro e sull’economia locale.

In particolare si pongono interrogativi sul destino delle storiche fabbriche di Pomigliano e Termini Imerese, da sempre pagate a carissimo prezzo dallo Stato italiano agli Agnelli, oltre -se avete memoria- al cadeaux “Alfa Romeo” a zero lire benché la Ford nel ‘85 fosse molto interessata a rilevare il marchio, lasciarlo in Italia e a pagarlo finanche.

Ma non basta, addirittura la riduzione dei numeri di Maserati che dalle 23 mila auto del 2021 è crollata a 8.600 nel ’23 rappresenta un’altra conseguenza rilevante di questa transizione. Il prestigioso marchio italiano, facente parte del gruppo Fiat Chrysler Automobiles, ora incorporato in Stellantis, vedrà probabilmente una ristrutturazione e una revisione della sua strategia produttiva.

Tavares

Buona parte della produzione di diversi modelli Fiat-FCA sarà trasferita in Paesi dove si pagano stipendi ancor più da fame che qui da noi: ma ciò non solleva domande riguardo l’immagine del marchio e del made in Italy tanto strombazzato?… e qui l’A.D. Tavares ha avuto una clamorosa idea: ha detto “basta grigio e colori scuri per le auto italiane, l’Italia è la terra del sole e del mare..: avranno tutte colori solari!!!”, sarà così preservata l’italianità di auto fatte in Marocco, Serbia, Romania e con la nuova 600 e la Topolino costruite in Polonia… ideona! Bravò bravò.

È evidente che l’Italia, con la sua tradizione nel settore automobilistico, si debba adattare con agilità e visione d’insieme a questa nuova realtà competitiva, ma i posti di lavoro pagati cari e amari da 70 anni alla Fiat? Je m’en fous risponde Elkann, sempre in francese però; ma noi abbiamo un governo con gli attributi: il ministro Urso ha preso di petto la cosa in mano e, se non è di troppo fastidio a qualcuno, vorrebbe chiedere a qualche marchio cinese -già presente in Italia attraverso la DR in Molise- di venire a investire in Italia: ma se poi non viene nessuno? Beh sarà colpa dei Cinesi, mica possiamo pagare anche loro… Giusto!

L’arroganza degli Agnelli: profitti a scapito dell’indotto automobilistico italiano

Morto Marchionne nel 2018, che in prima persona non solo salvò Fiat, vuota di modelli e di idee, sull’orlo del precipizio, ma comprò pure la Chrysler nonostante la famiglia… e questa -consapevole di non aver mai capito molto di auto- si sono totalmente dati alla finanza sollevando una tempesta di indignazione e frustrazione in Italia: nonostante abbia ricevuto miliardi di finanziamenti pubblici nel corso degli anni e detenga la quota più grande in Stellantis (con Exor ha il 14% che passerà a breve al 25%), sembra mostrare un atteggiamento strafottente nei confronti delle difficoltà delle imprese dell’indotto automobilistico in Italia.

Quello che sconvolge è l’ipocrisia della comunicazione, la situazione è lampante: da un lato, gli Agnelli prima di dar seguito all’operazione ufficiale a gennaio ‘21 -attivata subito dopo la morte di Marchionne- hanno rassicurato politici e sindacati che essendo i maggiori azionisti avrebbero sicuramente bla, bla, bla, chiedendo allo Stato ancora supporto per Pomigliano e Termini Imerese, niente di nuovo, tutto come sempre… dall’altro -tralasciando di star per passare addirittura al 25% di Stellantis– si sono disinteressati ad avere un A.D. di interesse italiano e poi ora sembrano infischiarsene anche alle conseguenze delle decisioni sulle comunità e sulle persone che dipendono da questo settore per il sostentamento, praticamente stanno affossando il Piemonte e buona parte dell’Italia.

Risultato? Fabbriche chiuse e indotto in ginocchio

La razionalizzazione ha portato alla chiusura di diverse fabbriche in Italia, tra cui lo stabilimento di Mirafiori a Torino e migliaia di posti di lavoro persi nell’indotto. Futuro incerto per Pomigliano e Termini Imerese e questa produrrà davvero batterie per auto elettriche? Tutto da vedere, intanto Maserati ridimensionata e trasferimenti all’estero dove ci sono costi di produzione vicino ad un obolo caritatevole… tutto ciò porterà a un ulteriore impoverimento del tessuto industriale italiano.
Nonostante detengano la maggioranza gli Agnelli sembrano concentrarsi esclusivamente sulle loro prospettive finanziarie a breve termine, ignorando le implicazioni sociali ed economiche delle loro azioni. Questo atteggiamento spietato e miope evidenzia una totale mancanza di responsabilità sociale da parte della famiglia che più ha drenato soldi dallo Stato italiano.

La DR molisana, pur tra mille difficoltà finanziare, dà lavoro a tante famiglie con l’assemblaggio di auto cinesi a prezzi ancora abbordabili per la gente comune… e noi ancora facciamo questione di Italian Style, di prodotti d’eccellenza italiani quando Elkann ha già affossato l’automotive italiano?
Personalmente non sono per le auto elettriche a batteria, è un palliativo in attesa della vera elettrificazione ecologica con le auto a celle di idrogeno (è il segreto di Pulcinella) ma se hanno deciso che il business per i prossimi dieci anni deve essere quello a batterie, allora i cinesi su questo sono avanti anni luce.

E allora? Il ministro sta ancora a chiedersi se deve invitare i cinesi a investire qui? 🤬

Carlo De Sio

Laurea in Scienze Politiche ed Economiche, Master in Psicologia sociale e P.R, ha lavorato nella Comunicazione d’impresa e nelle Relazioni Pubbliche per oltre 40 anni; dal 2015 è impegnato in attività di Lobbying indipendente in Italia e all’estero. Ha fatto parte dei direttivi di Organismi nazionali quali ACPI-Milano, FERPI-Milano e Confindustria. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1999

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