Le nostre vite prigioniere di cupa incertezza esistenziale da società globale

La mercificazione di ogni ambito sociale e la cultura consumistica di una comodità senza fatica hanno liquefatto le solide dimensioni spazio-temporali sia pubbliche che private

Tempo di lettura 5 minuti
Il neoliberismo e la deriva consumistica global pongono problemi sul ruolo dello Stato e dei cittadini e sulla crisi dell'etica nel pubblico e nella finanza

Secondo Walter Benjamin «non c’è mai stata un’epoca che non si sia sentita a suo modo moderna con la lucida coscienza di stare nel mezzo di una crisi decisiva». Con la fine delle grandi narrazioni del secolo scorso la società globale contemporanea, sull’onda della spinta individualistica incoraggiata dal paradigma del neoliberalismo, ha vissuto una fase di profonda e caotica transizione da un passato “certo” ad un futuro prossimo sconosciuto, incerto. È l’incertezza la condizione esistenziale che oggi governa le nostre vite. Questa nuova fase globale, contrassegnata da un’etica dei rapporti sociali e del lavoro centrata sull’individualizzazione, è governata dal perseguimento della gratificazione e della autorealizzazione individuale, secondo un processo in cui l’unica misura che soddisfa le aspettative esistenziali e di obiettivi a breve termine è la capacità dell’oggetto, dell’emozione, del bene di consumo o dell’aspirazione sociale di attrarre il più a lungo possibile il nostro interesse. Il XX secolo è stato grandioso quanto drammatico per lo sviluppo e la trasformazione della società globale. Quelle che Lyotard aveva definito «grandi narrazioni metafisiche», le interpretazioni del mondo che avevano per secoli influenzato il pensiero e l’agire collettivo di uomini e donne, si sono progressivamente dissolte di fronte al dispiegarsi di una nuova fase della storia dell’umanità.

Dall’etica ottocentesca del progresso

allo sfaldamento radicale di un modello

La grande narrazione dello sviluppo, che aveva reincarnato l’etica ottocentesca del progresso, aveva scritto la sua ultima pagina in concomitanza dello sfaldamento del modello di società e di Stato a cavallo degli anni Settanta e Ottanta. La crisi dell’ordine tradizionale mostra i suoi primi effetti con il capovolgimento del modello interpretativo welfarista, soppiantato dalla visione spietata del carattere di necessità imposto dal paradigma tatcheriano del “There is no Alternative”. Alla degenerazione politico-economica causata dalle politiche neoliberiste, dall’avvento della globalizzazione, dalla caratterizzazione in chiave economicistica di ogni funzione dello Stato e della società – inclusi i diritti sociali – è conseguita la degenerazione sociale, del lavoro e del capitale umano. Quel che prima era connotato da un credito di insindacabile certezza – il progresso, l’etica del lavoro e dei rapporti sociali, i rapporti di produzione, la materializzazione del capitale – ora rientra nella sfera del calcolo della probabilità. L’emergere della separazione tra potere e politica ad ogni livello della sfera pubblica smaschera la crisi delle funzioni e del ruolo dello Stato, intesi come capacità di assolvere al tradizionale ruolo di protettore dei cittadini e di riduttore delle disuguaglianze sociali, oltre a ridefinire nuovi parametri di funzionamento delle scelte politiche, dal governo imparziale secondo i criteri della giustizia sociale alla governance faziosa secondo gli orientamenti della giustizia di mercato, al fine di allineare i tempi della politica e della società ai tempi dell’economia finanziaria. Il carattere disgregante di ogni forma di interpretazione collettiva del mondo e delle sue problematiche opera quindi una azione disciplinatrice e pedagogica sull’individuo della post-modernità.

In crisi politica e società del Novecento

Percorso dal welferismo al neoliberismo

D’improvviso, la normalità – o quella che secondo le categorie interpretative della società del secondo Novecento era tale – assume le forme di una lotta individualistica, con tratti nichilistici, per l’autorealizzazione di sé, alla ricerca della propria identità, con una fame di “vita piena”, che non fa più ricorso alle categorie convenzionale del successo, un lavoro fisso, decentemente remunerato, una stabilità sentimentale ed esistenziale, e via discorrendo, ma si basa su una etica del principio dei «doveri verso sé stessi» – tutto è finalizzato a soddisfare il proprio ego, il proprio bisogno di sentirsi realizzato, apprezzato. La lotta per il miglioramento della qualità della vita diventa un conflitto polarizzante e perenne tra il «vivere umano» dell’etica tradizionale, che persegue l’armonizzazione dell’agire del singolo con l’agire collettivo sul vincolo della solidarietà, e il «vivere disumano» dell’etica del consumo, che foraggia una tendenza individualistica e narcisistica allo sfilacciamento del legame sociale e alla disaffezione alla vita pubblica. La ricerca di una categorizzazione storica dell’epoca presente ha prodotto una gamma di definizioni ad opera di critici e pensatori delle dinamiche contemporanee: società post-moderna, società liquida, società dell’incertezza, società del rischio, modernità riflessiva o seconda modernità, all’interno delle quali possono poi essere ravvisati elementi di post-democrazia (Crouch), di de-democratizzazione (Tilly), di detradizionalizzazione o post-tradizionali (Giddens). La crisi della politica e della società di stampo novecentesco comincia con il cambio di paradigma culturale e politico dal welfarismo al neoliberismo, secondo un avvicendamento, sul piano socio-economico, della formula del primato del mercato sulla società con la formula progresso tecnico=pace sociale e, sul piano politico-istituzionale, della concezione dello Stato neoliberista hayekiano con la concenzione dello Stato welfarista keynesiano. Il risultato ultimo nel quale sfocia il processo irreversibile della separazione della politica istituzionale dall’economia è la finanziarizzazione di quest’ultima con la conseguente dinamica della globalizzazione.

Stiamo vivendo una grave crisi

sia del corpo sociale che dello Stato

La globalizzazione produce, tra le altre, una crisi dell’identità collettiva del corpo sociale e del ruolo dello Stato. Muta la scala valoriale dei rapporti umani e mutano anche le direttrici che guidano i processi di innovazione politica. Mentre il processo di accumulazione della ricchezza non si arresta, ed anzi prosegue a piè sospinto verso l’alto, come estrema conseguenza di esso e della precaria condizione di mobilità dell’individuo cresce l’esposizione dello stesso ai rischi che derivano dalla logica mai sopita del profitto. I legami interpersonali si fanno fugaci, si svestono della logica della collaborazione e abbracciano invece la logica della competitività. In altre parole, la dissoluzione (politica) del welfare state è causa di una dissoluzione (sociale) di un presente senza nome, di una società anonimizzata, dove la logica predatoria della rapina ai danni dell’altro per puro istinto di sopravvivenza si accompagna all’individualizzazione antagonista ed edonista delle biografie personali di ciascuno di noi.

Tentare di promuovere una cooperazione

internazionale per risolvere problemi global

Quale prospettiva? Se la globalizzazione è un destino ineluttabile del mondo che ha vincolato gli Stati nazionali e la società umana agli impulsi ingovernabili e autopropulsivi degli affari mondiali (Bauman), lo sforzo ultimo e superiore a cui è chiamato l’individuo è trasformare lo Stato e la società nel tentativo di sviluppare una cooperazione a livello internazionale per la risoluzione di problematiche globali (Beck). Il taglio antropologico della speculazione del sociologo polacco sottende alla drammatica caratteristica della condizione postmoderna della globalizzazione che non è una scelta, ma un destino. La mercificazione di ogni ambito della vita sociale e la cultura consumistica di una comodità senza fatica hanno liquefatto le solide dimensioni spaziotemporali della vita pubblica e della vita privata. Gli attori individualizzati non sono più interessati al bene comune (e ai beni comuni), ma a vivere in un mondo fatto di propri desideri. In questo contesto di un “tutto” non più capace di soggettività politica, risulta complesso il lavorio di raccoglimento delle forze e di organizzazione delle stesse per “rispondere” alla globalizzazione e gestire le istanze del globalismo, al fine di evitare il disordine mondiale e il proliferare del caos post-moderno. L’individualizzazione è lo scardinamento lento e costante della comunità politica e della categoria del cittadino e tale processo, nella post-modernità, ha trasformato il cittadino politico in un consumatore perennemente insoddisfatto, slegato dai doveri verso la società e anestetizzato dalle passioni comunitarie. E di quelle promesse legate ad una idea di progresso illimitato e di un consumo per tutti e in tutto non si trasogna più. Che fare?

Previous Story

Smart Contract e Intelligenza Artificiale

Next Story

Kernberg dal marxismo all’anticomunismo, alla psicoanalisi, al rebus di Dio