Kernberg dal marxismo all’anticomunismo, alla psicoanalisi, al rebus di Dio

LA LETTURA / Il più grande psicoterapeuta vivente, a 95 anni, non oltrepassa la soglia, ma lascia aperta la porta sull’infinito incomprensibile ma reale. L'avvincente colloquio con Manfred Lutz

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Otto Kernberg, il più grande psicoterapeuta vivente (95 anni): dal periodo marxista all'avversione per il comunismo, alla psicoanalisi, all'irrisolto percorso verso la divinità

Otto Kernberg è il più famoso psicoterapeuta del mondo, massimo esperto in fatto di disturbi narcisistici della personalità ed è un’emozione rileggerlo, anche a distanza di poco più di un anno dall’uscita di un colloquio rivelatore con un collega molto più giovane. Non si dà arie, il professor Kernberg, e a 95 anni suonati vive con composta intensità l’espansione intelligente della sua sapienza antica e porta in giro per il mondo il tratto di una personalità rivelatrice.

Dal limite della trama pulsionale di Freud

ai nuovi percorsi sui disturbi della personalità

Austriaco con cittadinanza americana, passato per il Cile con la sua famiglia di origine ebraica per sfuggire alla furia nazista del 1939, ha trovato il tempo per ritagliarsi e proporre, nelle pieghe della sua innovativa teoria psicoanalitica (dal “limite” della trama pulsionale di Freud, ha rielaborato percorsi alternativi sui disturbi della personalità), una riflessione su Dio, partendo dagli scotomi della neurobiologia e dall’ateismo che lambì la sua esistenza giovanile. Lo ha fatto nella forma del colloquio amichevole con Manfred Lutz, autore sessantenne di origini tedesche, anch’egli psichiatra e psicoterapeuta oltre che raffinato teologo divulgatore. Il loro confronto vive nel libro “Dottor Kernberg, a cosa serve la psicoterapia – Riflessioni e ricordi di un grande clinico” (Raffaello  Cortina Editore), riuscito tentativo di risalire alla radice del fascino di un terapeuta “che lotta strenuamente con i suoi pazienti severamente disturbati”.  Una confessione aperta che connette le schegge di un’esistenza inimitabile – dall’avventurosa fuga da Vienna e dai nazisti agli innumerevoli approdi in accoglienti laboratori del pensiero, fino al suo studio-simbolo di New York, a pochi passi dalla Trump Tower – e che trova, in uno dei capitoli più densi e intriganti, uno spazio per Dio e la vita eterna.

Il libro nel quale Kernberg racconta, tra l’altro, il suo irrisolto rapporto con la metafisica e l’altrove

Kernberg divenne ateo senza rendersene conto. Faceva parte, da giovane, di un’organizzazione sionista marxista della quale non condivise la visione anti-religiosa aggressiva. Visse un’impostazione scientifica della morale, della storia e della sociologia, ma con una variante significativa che lo portò ad essere radicalmente non credente ma rispettoso della fede altrui.  Condizione, questa, un po’ sospesa, favorita da Yvonne, il primo amore, una ragazza inibita sessualmente che viveva il cattolicesimo “con sincerità” placida e ferma, a differenza dell’approccio formale, rituale e ai limiti della superstizione dei suoi genitori. Il futuro grande psicoterapeuta, fermato in questo fotogramma languido con la sua Yvonne, aveva soltanto vent’anni. Fu in quel tempo che la sua unica fede, quella marxista, cominciò a vacillare. Era accaduto che, accorso con altri tre studenti di medicina sulle aspre montagne dove gli addetti alla miniera del rame protestavano per le condizioni lavorative disumane, si accorse che i rappresentanti del partito socialista-comunista mangiavano a sbafo mentre gli operai pativano la fame sotto il loro dileggio. L’esperienza, portata all’esterno da Kernberg, anziché spingere gli amici allo sdegno determinò una diffidenza verso di lui. A distanza di poco tempo, seguirono la persecuzione dei medici ebrei compiuta da Stalin e i processi in cui Slansky e altri leader comunisti furono accusati di essere trotzkisti e spie dell’Occidente. Molti vennero giustiziati brutalmente, ma il processo fu ingiusto. La storia spesso si manifesta davanti allo sguardo di un giovane come una linea retta sospinta da un finalismo invisibile: così si inanellavano nella mente di Otto, in un presente tumultuoso, la costruzione del muro di Berlino, la crisi di Cuba e soprattutto l’incontro con il filosofo polacco Leszek Kolakowski, l’autore di Nascita, sviluppo, dissoluzione del marxismo. I libri spesso suscitano rivoluzioni interiori fulminee. A Kernberg accadde e si rese conto che “l’idea di fondare una società etica sulla scienza era solo una folle fantasia”. Nasce così il suo anticomunismo convinto che non sfociò mai in un radicalismo di destra ma si orientò verso la rivalutazione critica delle idee liberal-democratiche e, sul piano psicoanalitico, porterà più avanti alla scoperta di valori mai rientrati prima nella sua riflessione di medico e terapeuta: l’amore, la responsabilità, la forza irresistibile di verità difficili da cogliere appieno con il pensiero. Un lavoro che coinvolgeva il mistero infinito dell’anima e delineò da subito l’esistenza della fede come mera questione psicologica. Ne nacque un dilemma: “O l’umanità se l’era inventata (la fede, n.d.a.) oppure grazie ad essa aveva lentamente capito cosa esiste davvero, per mezzo di un cervello sviluppatosi al punto da giungere a tale scoperta”. Una stanza di specchi, nella quale comparivano due ipotesi: o Dio è la scoperta di una realtà prima non conoscibile pienamente oppure siamo stati noi uomini a creare quell’immagine rassicurante e salvifica. Un dilemma in parte risolto dal vecchio Kernberg, nonostante egli continui a non considerarsi un credente. L’uomo, limitato nell’amore, aggressivo e spesso ribelle, non sarebbe, secondo lui, in grado di creare l’idea di Dio, “più realistico pensare a una verità eterna non solo in noi ma anche al di là di noi piuttosto che si tratti soltanto di una fantasia compensatoria”.

Migliaia di  neuroni comunicanti ma ermetici

nel dirci come determinano la vita psichica

Si può essere avvolti ma non dominati da un Assoluto così concepito? Manfred Lutz, il compagno di esplorazioni psico-metafisiche di Kernberg, risponde di sì dopo aver attraversato anch’egli una fase di conclamato ateismo e, per affermarlo, si affida alla pedagogia di Dio e alla rivelazione (sul Sinai e con Gesù Cristo). Una fede, la sua, che si incardina nel presupposto di uno sviluppo storico. Kernberg, invece, resta molto al di qua di questa visione: s’incaglia sul pensiero teleologico e sulla razionalità dell’evoluzione che non può essere la somma di mutazioni casuali, incespica nel concerto di centinaia di migliaia di neuroni comunicanti grazie a una semplice frequenza, ma ermetici nel dirci come fanno a determinare la vita psichica. Nemmeno i neurobiologi sanno rispondere. Eric Kandel, premio Nobel, non sussurra verità in proposito e Kernberg se ne duole, senza però disperarsi. Egli una certezza ce l’ha. Non è un caso, per lui, l’evoluzione della corteccia cerebrale. Essa gli appare regolata per vivere emozioni che si sperimentano soltanto nella relazione con gli altri. Il comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso” avrebbe, dunque, un fondamento neurobiologico e deriverebbe da una volontà precisa. L’organizzazione cerebrale esiste per stabilire relazioni oggettuali, che danno un senso alla vita. I neuroni però non sono la causa di tali relazioni e, per Kernberg, eseguono semplicemente un compito loro assegnato. Ma da chi? “Mi sento insicuro di parlare di Dio, ma se Dio è un’entità intelligente e impegna in modo ragionevole il proprio potere…”. Non oltrepassa la soglia, ma lascia aperta la porta sull’infinito incomprensibile ma reale.

La presenza di una entità trascendente
solleva domande fondate, non risposte

Ci sarebbe, dunque, una volontà che lavora con cognizione per l’umanità, ma qui si apre l’ultimo insanabile dubbio: l’esistenza di una realtà pratica, forse anche vagamente religiosa, si identifica con una verità trascendente confidenzialmente presente dentro e fuori di noi (a Dio, pregando, diamo infatti del “tu”). Ma tra l’esperienza/essenza “religiosa” della vita quotidiana e la nostra intelligenza resta pur sempre un baratro. Lutz invita Kernberg, per uscirne, a fare il salto, considerando la rivelazione di un Dio che partecipa al nostro dolore. Il grande psicoterapeuta non se la sente e si blocca su quest’orlo. Resta immoto. “Il suo ragionamento – replica a Lutz – sembra convincente, ma ci devo riflettere. Ha sollevato in me una domanda alla quale non so dare una risposta”. Paralisi di una tremebonda coscienza in cammino. La psicoanalisi, d’altra parte, è affermazione massima dell’incertezza, per cui può accadere che intraveda Dio ma si rifiuti di ammetterlo e per evitarne il rischio tiri giù il sipario. Proprio come è accaduto al vecchio Kernberg.

Andrea Manzi

Coordinatore di RQ. È stato redattore capo de Il Mattino, fondatore e direttore del quotidiano La Città (Gruppo l’Espresso), vicedirettore del Roma, condirettore del Quotidiano del Sud. Insegna Teoria e tecniche della Comunicazione giornalistica presso l’Università di Salerno, della quale è stato consigliere d’amministrazione. Presiede “Ultimi. Associazione di legalità ODV”. Collabora alle trasmissioni culturali della notte su Raiuno. Scrive per il teatro, al suo attivo pubblicazioni poetiche, narrative e saggistiche

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