La pedicure, sonda d’ascolto

La cura dei piedi non è metafora di un buon cammino, ma è l’espediente per raccontare quel carico di vita che si porta dietro il tempo

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Il libro della Oskamp

La signora Huth è una donna energica e tarchiata, berlinese fino al midollo, che abita a Marzahan col marito da trent’anni, non lontano dal salone. Ha piedi piccoli e robusti, simili a lei, ed è molto sensibile ai bordi delle unghie, dove ci sono le terminazioni nervose. Ha lasciato uno smalto rosso corallo nel mio armadietto: glielo applico sulle unghie d’estate, quando indossa i sandali bianchi. Ogni volta, per esaminare il risultato, la signora Huth estrae dall’ampia borsa una lente d’ingrandimento. Ha subito un’infinità di operazioni agli occhi. “Non vedo comunque un fico secco. Ma col cavolo che ci torno sotto i ferri, gli ho già fatto fare troppi soldi a quelli là!”, Katja Oskamp, Marzahn, mon amour, Storie di una pedicure, L’orma, pagg. 130. Da scrittrice a pedicure: un tonfo clamoroso. Così si dice nel prologo. Nello stesso tempo, per la letteratura è stato un evento provvidenziale. Marzahan, mon amour è divenuto in Germania, un vero e proprio caso letterario con oltre centomila copie vendute.

La pedicure scrittrice Katja Oskamp

La BBC ha trasmesso la lettura integrale dell’opera. E altre traduzioni stanno via via comparendo in diversi paesi europei. L’autrice è nata a Lipsia nel 1970. Adesso vive a Berlino, dove dal 2015 lavora come pedicure. In un linguaggio semplice, – e qui l’aggettivo significa essenzialmente la sua presenza nominale – cioè puro, cioè non stratificato né alterato di sapienziale gravosità, si racconta la commedia umana o anche la tragedia o la farsa. Si tratta di un compendio, di un minimale resoconto di vite vissute e riferite con la grazia della leggerezza, forse amara, ma sempre come dono di levità, di scioltezza, d’ironia. Si tratta di storie sotto gli occhi, sopra la pelle, dentro le mani di tutti, ma ciò che le rende uniche è il linguaggio della narratrice tedesca, idioma dell’ascolto e dell’esistenza. Si entra così in una fenomenologia della vita per uscirne più invisibili, o daccapo più intaccati, più aggrediti, più temporanei. Non importa quanto, pesa il come. La signora Guse, il signor Paulke, la signora Blumeier, il signor Piersch, la signora Frenzel, il signor Hübner, Erwin Fritzsche, le Noll, madre e figlia, la russa, Fritz, la signora Janush, Peggy e Mirko Engelmann, Gerlinde Bonkat, i coniugi Huth sono tutti detentori di storie. E tutti clienti abituali di Katja, una pedicure che lavora a Marzahn, un quartiere periferico di Berlino, ma sono anche una comunità piena di accaduti e di accadimenti e ne parlano stando seduti su una comoda poltrona con i piedi in ammollo in una bacinella. S’intreccia così un vissuto che, tra calli, cuticole, creme e alluci valghi, diventa materia letteraria e mondo. Qui la cura dei piedi non è metafora di un buon cammino, ma è l’espediente per raccontare quel carico di esistenza o inesistenza che si porta dietro il tempo. La maggior parte dei clienti abituali dello studio sono persone avanti con l’età che non hanno bisogno di conversare del loro passato, che in ogni caso s’intravede, ma del loro presente, della loro condizione quotidiana più delle volte mortificata dalla malattia, propria o di qualche caro, ma che si rivela come una caducità destinale da affrontare con perdono e tolleranza se non come lotta decorosa e senza troppe recriminazioni. “La signora Janush si è finalmente sottoposta all’intervento per un glaucoma. Ha riso fino alle lacrime quando le ho chiesto se la malattia le avesse fatto vedere i todi verdi. Domani, giovedì, la signora Janush ha un appuntamento con me alle due del pomeriggio. Mi racconterà della sua gita ad Ahrenshoop, la prima senza il marito.” La signora Gerlinde, invece, è stata una profuga. Ha sempre lavorato e ha sempre continuato a specializzarsi. “Gerlinde aveva cinquantun anni alla caduta del muro di Berlino. Le tornò in mente una frase che sua madre diceva già ai tempi della fondazione della DDR, quando il socialismo era al suo apice: una nuova umanità non riusciranno a crearla.” Il signor Fritzsche ha settantatré anni ha avuto un infarto e pure un ictus. Ha paura ad affidare i suoi piedi, un’amica glieli aveva deturpati affettando entrambi i ditoni. Aveva preso pure un’infezione. Era guarito. Anche i solchi ungueali degli alluci erano guariti. “Da giovane Erwin Fritzsche si era presentato al Friedrichstadt-Palst, il grande teatro di rivista, ­–“quello vecchio, che hanno demolito, su Schiffbauerdamm” – e aveva annunciato le sue intenzioni al custode. Una volta dentro, aveva bussato alla porta del direttore e chiesto un lavoro. Il direttore gli aveva offerto un apprendistato come tecnico delle luci e lo aveva assunto.” Così tra la sarcastica signora Frenzel, o il sedicente depresso signor Hübner o il pensionato Fritz si accede a un’intimità fatta di chiacchiere e grandi confessioni. Che cos’è in fondo la letteratura? Uno scandalo che non corrompe più nessuno, ma che tuttavia riesce a conservarsi quando nuovi narratori audaci hanno il coraggio di continuare il racconto infinito dell’uomo. Chi avrebbe mai detto che seduti su un comodo trono si potesse raccontare tanto. Ovviamente il merito è della pedicure. In questo caso, allegoria dell’ascolto. O della letteratura? Chi scrive non vuole innanzitutto ascoltare? Qui si tocca l’udire nell’estremo grado di ascolto del mondo, dell’altro. Siamo così grati alla Oskamp di questo suo dono: un libro bellissimo cucito in una copertina da una grafica altrettanto meritevole.

Katja Oskamp, Marzahn, mon amour, Storie di una pedicure, L’orma, pagg. 130

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