La dignità dell’uomo

Composta, come ricorda Eugenio Garin, in un momento di esaltazione religiosa, fra lo studio e il commento ai testi della gnosi ebraica e del misticismo cabbalistico, e la stesura di un trattato sull'amore e la bellezza a gara con il Ficino, l'Oratio di Giovanni Pico della Mirandola è dominata da due temi: la centralità dell'uomo nella realtà, e la intima profonda concordia di tutte le sincere affermazioni del pensiero. Il tema più celebre è rimasto il primo, da cui l'orazione ha preso poi il titolo De homini dignitate. Avrebbe dovuto essere la solenne prolusione alle novecento Tesi filosofiche (o Conclusiones) da sottoporre a pubblica discussione a Roma nel gennaio 1487. Il progetto naufragò: una inchiesta papale condannò tredici proposizioni di Pico, costringendolo a riparare in Francia e a scrivere una Apologia. Ma è in gran parte proprio su questo Discorso sulla dignità dell’uomo che riposa la sua fama.

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L’ottimo artefice stabilì infine che a colui al quale nulla poteva esser dato di proprio fosse comune tutto quanto era stato concesso di particolare alle singole creature. Prese dunque l’uomo, questa creatura di aspetto indefinito, e, dopo averlo collocato nel centro del mondo, così gli si rivolse: “O Adamo, non ti abbiamo dato una sede determinata, né una figura tua propria, né alcun dono peculiare, affinché quella sede, quella figura, quei doni che tu stesso sceglierai, tu li possegga come tuoi propri, secondo il tuo desiderio e la tua volontà. La natura ben definita assegnata agli altri esseri è racchiusa entro leggi da noi fissate. Tu, che non sei racchiuso entro alcun limite, stabilirai la tua natura in base al tuo arbitrio, nelle cui mani ti ho consegnato. Ti ho collocato come centro del mondo perché da lì tu potessi meglio osservare tutto quanto è nel mondo. Non ti creammo né celeste né terreno, né mortale né immortale, in modo tale che tu, quasi volontario e onorario scultore e modellatore di te stesso, possa foggiarti nella forma che preferirai. Potrai degenerare negli esseri inferiori, ossia negli animali bruti; o potrai, secondo la volontà del tuo animo, essere rigenerato negli esseri superiori, ossia nelle creature divine”.

O somma liberalità di Dio Padre, somma e mirabile felicità dell’uomo, cui è concesso di ottenere ciò che desidera, di essere ciò che vuole! Gli animali bruti, appena vengono alla luce, recano con sé (come dice Lucilio) dalla borsa della madre ciò che sono destinati a possedere. Le intelligenze supreme furono sin dall’inizio, o da poco dopo, ciò che saranno per l’eternità senza fine. Nell’uomo, all’atto della nascita, il Padre infuse i semi di ogni specie e i germi di ogni genere di vita. Cresceranno, e in lui produrranno i loro frutti, quelli che ciascuno coltiverà. Se coltiverà quelli vegetali, diventerà una pianta; se quelli sensuali, abbrutirà; se quelli razionali, riuscirà un essere celeste; se quelli intellettuali, sarà un angelo e un figlio di Dio. E se, non accontentandosi di alcuna delle sorti assegnate alle creature, si raccoglierà nel centro della sua unità, diventato un solo spirito con Dio, lui che fu stabilito sopra tutte le cose sarà superiore a tutte le cose, nella solitaria caligine del Padre.»

[Giovanni Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate]

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