La bestialità dei rapporti umani di Koltès

«In the solitude of the cotton fields», una enigmatica pièce in cui l’incontro con l’Altro si traduce in una continua tensione fino allo scontro bestiale

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Finale internazionale per il Campania Teatro Festival che l’8 e il 9 luglio ha visto sul palcoscenico del Politeama di Napoli, l’attore statunitense John Malkovich insieme all’attrice lituana Ingeborga Dapkunaite, interpreti dell’enigmatica pièce «In the solitude of the cotton fields» (1985) del drammaturgo francese Bernard Marie Koltès con la regia di Tymofey Kulabin.

Martire delle «nuits fauves», morirà di Aids poco più che quarantenne, Bertrand Marie Koltès rappresenta uno degli esponenti più interessanti del teatro francese di fine ‘900 che con «In the solitude of cotton fields»  realizza sicuramente la sua opera più celebre.

Memore delle lezioni dei grandi maestri dell’avanguardia degli anni ’50, come Beckett e lonesco, Koltès mette in scena un incontro ambiguo tra due caratteri, un dealer (negoziante) e un cliente, protagonisti di un mercato che fino alla fine è irrivelato. Il dialogo, che dovrebbe ruotare attorno alla trattativa commerciale, ben presto si trasforma in un duello verbale in cui fa capolino un desiderio che appare inconfessabile: il dealer si nasconde dietro una maschera di lusinghe e insinuazioni ambigue, il cliente utilizza il timore e la razionalità come freno e giustificazione dei suoi istinti.

Ma di cos’è che si parla? Qual è la posta in gioco tra queste due anime frammentate? Il sesso, il denaro, la vita? Il dramma di Koltès è volutamente intricato, si svolge su uno scambio di ricatti e di offerte omesse, su immagini poetiche e metafore animalesche che non aiutano lo spettatore a sciogliere i nodi del conflitto, ma lo introducono in una trama sempre più tesa e ambigua.

Molti registi si sono cimentati nell’interpretazione di questo desiderio non chiaramente espresso fino alla fine, per i più quel «désir» incarna la lussuria omoerotica che attende di esaurirsi in conoscenza e soddisfazione, ma che è costretta a scontrarsi in una ostilità reciproca fino a sfiorare lo scontro mortale. «Qual è l’arma?» è la battuta che chiude il sipario. Timofey Kulyabin, giovane regista russo, si allontana dall’idea di Koltès di attribuire i ruoli a due interpreti maschili, bensì sceglie un attore e un’attrice, John Malkovich e Ingeborga Dapkunaite. Con la regia di Kulyabin, i due attori non interpretano dei personaggi definiti, ma si scambiano in maniera invariata ruoli e battute dando vita ad un monologo interiore, la rappresentazione di un subconscio che intuisce che il desiderio è il richiamo della lussuria, percepita come un’entità criminale, ma irresistibile. Una messa in scena multimediale in cui il testo in inglese è seguito da sovratitoli in italiano e la frantumazione del monologo avviene con l’ausilio di montaggi video e primi piani sui volti degli attori. Malkovich e Dapkunaite si sdoppiano, diventando metafora dei rapporti umani contemporanei ostili, violenti: l’incontro con l’Altro si traduce in una continua tensione allo scontro bestiale «è l’ora dei rapporti brutali fra gli uomini e gli animali» in cui anche i desideri pagano lo scotto di essere ormai parte della trattativa (deal).

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