Inquinamento / Al Sud il caso Fonderie

I cittadini attendono la fissazione dell’udienza per disastro ambientale a carico dell’azienda dei Pisano, confidando che il sindaco possa finalmente disporre la chiusura della fabbrica

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Dopo aver raccolto e interpretato i dati più allarmanti relativi all’inquinamento atmosferico in Italia e aver poi spostato il focus su quella che rappresenta una delle realtà più critiche del Mezzogiorno, la Valle dell’Irno, è necessario ora fare il punto sulla vicenda delle Fonderie Pisano di Salerno e svelarne lo stato dell’arte alla luce degli ultimi aggiornamenti, attraverso le testimonianze di chi da anni combatte in prima linea questa battaglia.

Passando davanti alle Fonderie Pisano di Salerno immediatamente saltano agli occhi alcuni elementi fondamentali per la disamina di questa vicenda: la polvere nera appiccicata alle pareti esterne della fabbrica e sui volti degli operai che vi lavorano, le nubi nere e dense che – in particolare nelle giornate ventilate – si propagano per l’intero territorio della Valle dell’Irno (e oltre) e alcuni cartelli che si ergono proprio sugli scarichi che restituiscono in atmosfera le polveri risultanti dalle procedure di fusione su cui si legge “vapore acqueo” e che sembrano voler canzonare chi questa battaglia contro l’inquinamento la sta pagando a caro prezzo e sulla propria pelle. Il punto di svolta potrebbe essere solo uno: la conferma che esista un nesso causale tra le patologie e le morti verificatesi negli anni nella zona circostante alla fabbrica e l’attività di fusione della ghisa (e della conseguente dispersione di materiale tossico in ambiente) di quest’ultima. A questo punto, una domanda sorge spontanea: se esiste questo nesso di causalità in che modo esso può essere confermato?

Sono di qualche mese fa la ricerca e la conseguente relazione firmate dai due epidemiologi Annibale Biggeri e Francesco Forastiere – che qualche anno fa si sono occupati di dimostrare il nesso causale tra le morti di Taranto e del quartiere Tamburi e l’Ilva – che sembrerebbero evidenziare con chiarezza che questo nesso c’è ed è innegabile. Basandosi su un ampio corpus di dati ed intrecciando i risultati provenienti dallo Studio Spes con quelli dell’Istat su patologie e mortalità nella zona interessata e arricchendo lo studio con ulteriori ricerche, Biggeri e Forastieri sono riusciti a confermare che le Fonderie Pisano hanno causato, negli anni, la maggior parte delle patologie autoimmuni, oncologiche e polmonari che hanno colpito la popolazione della Valle dell’Irno. Sono definitivamente escluse dalle cause di tali patologie l’inquinamento proveniente dalle cave e dall’autostrada perché le sostanze prodotte in questi casi non provocano, di fatto, questo tipo di malattie e disturbi. A provocare tumori, allergie severe, malattie autoimmuni e altro sono invece quei materiali che vengono generati proprio dalla combustione di metalli pesanti come mercurio e cadmio.

«Ora stiamo aspettando la fissazione dell’udienza per disastro ambientale a carico dell’azienda di Pisano – ha raccontato Lorenzo Forte, Presidente dell’Associazione e del Comitato Salute e Vita – dopo la quale il sindaco di Salerno, Enzo Napoli, che grazie a noi è indagato per omissione d’atti di ufficio, dovrà finalmente disporre la chiusura della fabbrica». Le indagini a carico del primo cittadino salernitano sono attualmente ancora in corso e, anzi, pare siano state prorogate di qualche mese. Rimane, tuttavia, da chiedersi – ancora una volta – da cosa dipenda e sia dipeso l’immobilismo delle istituzioni salernitane che fino ad oggi non hanno concretamente fatto nulla per disporre né la chiusura né la delocalizzazione delle Pisano.

«Nonostante una possibile delocalizzazione o chiusura – spiega ancora Forte – ci sarebbe comunque bisogno di una bonifica del terreno perché, sempre dagli studi effettuati negli ultimi mesi (e di cui dispone la procura) basterebbe un forte vento per rimettere in atmosfera quei materiali inquinanti che si sono depositati negli anni sul terreno circostante alla fabbrica, ma non solo». L’effetto prodotto dalla re-immissione in atmosfera di tali polveri sarebbe fortemente inquinante, perché pari ad una produzione ex novo di quei materiali.

Se dal punto di vista giudiziario e epidemiologico i conti sembrano finalmente quadrare e le ultime vicende possono, in qualche modo, far sperare in una prossima risoluzione del problema, ciò che la vicenda delle Fonderie Pisano si lascia alle spalle è davvero un quadro agghiacciante. Sì, perché oltre i dati, gli studi, le ricerche e i risultati chi si ammala nella Valle dell’Irno sono le persone, intere famiglie dimezzate a causa delle medesime patologie, sempre le stesse e che, in moltissimi casi, non lasciano scampo.

Massimo Calce è uno dei residenti di via della Partecipazione e vive in una casa che, in linea d’aria, è una tra le prime a valle delle fonderie e ancora oggi paga le conseguenze di un brutto neuroma dei nervi cranici. «Abbiamo effettuato le analisi dei metalli pesanti ai capelli – ha spiegato Massimo – e abbiamo riscontrato tra noi residenti gli stessi livelli di tossicità di un operaio che lavora all’interno delle fonderie. Abbiamo potuto fare questo confronto perché ne abbiamo parlato con un operaio che ha fatto poi denuncia alla procura».

Analisi che, evidentemente, non rappresentano una efficace prova empirica per chi dovrebbe prenderne atto. «Nel giro di un mese – ha continuato Calce – a mia mamma e una nostra vicina hanno dovuto togliere un polmone per un tumore maligno». Anche loro residenti in quella stessa via della Partecipazione che, negli anni, ha visto cadere tanti, troppi residenti. «Per la maggior parte dei disastri ambientali – ha concluso – per dimostrare il nesso di causalità ci vuole la cosiddetta pistola fumante. Nel caso delle Fonderie Pisano, non avendo molta fiducia nel lavoro dell’Arpac locale (che dovrebbe fare da garante) non credo che si possa arrivare ad una sentenza di condanna, ma culturalmente quello che dicono i periti di Taranto Biggeri e Forastiere rappresenta per noi molto di più di una pistola fumante».

(parte 3)

Martina Masullo

Giornalista, social media manager e dottoranda di ricerca in Politica e Comunicazione (Policom) presso l'Università degli Studi di Salerno. Collabora con le cattedre di Sociologia dei processi culturali, Media classici e media digitali e Sociologia dell'immaginario tecnologico. Si occupa di audience studies, innovazione nella digital society, fake news e cancel culture

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