Greenhushing: le aziende che scelgono di non comunicare

La via della sostenibilità è impervia e costosa ma ci sono le imprese che trovano modi originali per affrontare il problema: l'inquinamento viene sistematicamente ignorato, non ci sono dati ufficiali né smentite di quelli rilevati.

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Molti sanno cosa sia il GreenWashing, quella strategia di molte imprese di presentarsi come rispettose dell’ambiente e meritevoli di lodi e poi, quatte, quatte, mettono la monnezza sotto il tappeto; poche volte credo abbiamo sentito parlare del Green-Hushing, una pratica molto più sottile di quelle aziende che preferiscono non comunicare affatto il proprio impegno ambientale perché nella sostanza lo fanno poco o -peggio- sono dei grandi inquinatori per terze strade… per capirci, proprio ciò che facevano tante importanti e rispettate aziende del nord Italia, amiche di politici e tutte nemiche della ribalta poiché clienti della camorra, che mandavano a trattare (a sotterrare, più precisamente) i loro rifiuti tossici nel Casertano, fin quando nel 2001 il giornalista napoletano Francesco Forgione pubblicò un articolo sul quotidiano “Il Mattino” in cui denunciava l’esistenza di un traffico di rifiuti tossici provenienti dal nord Italia: nacque così la “Terra del Fuoco”.

In italiano siamo restii ad inventarci nuove parole, per questo le prendiamo spesso dagli angloamericani che manipolano la loro lingua e s’inventano nuovi termini pronta cassa; per noi è più complicato, per cui Green-Hushing la dovremmo rendere con un concetto complesso, meglio importarla così com’è, e come GreenWashing potrebbe significare “Darsi una pennellata di verde ambientale per sembrare sostenibili, senza esserlo per niente”, così Green-Hushing -visto che Hush! significa in pratica Statte zitto!– potrebbe essere reso in soldoni con “Se vi fate i cavoli vostri su di noi, vi diamo anche una bella mazzetta…”. È una prassi invalsa tra le grandi aziende e che consiste nel minacciare con azioni legali, con altre forme di ritorsione o con argomenti monetari, giornalisti e professionisti dei media per impedire loro di pubblicare notizie o articoli che possano danneggiare l’immagine di un’azienda, di un gruppo di consorziati. Questa pratica è particolarmente grave perché l’ambiente oggi è ai limiti del non ritorno, ed invece molte aziende perseverano a nascondere informazioni su pratiche dannose per l’ecosistema… a questa prassi ricorrono di norma aziende chimiche e quelle dei carburanti per ragioni più che ovvie, ma anche qualche impresa agroindustriale, automotive… e di servizi al pubblico 😱.

Qualche esempio?

Eni: nel 2022, la società petrolifera è stata accusata di aver pagato un giornalista per non pubblicare un articolo sulle sue attività in Nigeria.

ExxonMobil: antesignana dell’inquinamento a go-go, nel 2021, la società petrolifera è stata accusata di aver minacciato un giornalista per non pubblicare un articolo sulle sue attività in Ecuador.

Fiat Chrysler Automobiles: nel 2020, la società automobilistica è stata accusata di aver fatto pressione su un giornalista che avrebbe voluto indagare sui dati delle emissioni di CO2 della società, che sarebbero risultati “non veritieri”.

Leonardo: nel 2019, la società aerospaziale è stata accusata di aver fatto pressioni su un giornalista per non pubblicare un articolo sulle sue attività connesse al settore militare.

Nestlé: nel 2018, la società alimentare è stata accusata di aver fatto pressioni su un giornalista per evitare un articolo sulle sue attività di deforestazione connesse alla produzione di olio di palma.

… La lista sarebbe lunghissima, e come dicevamo dovremmo includere anche società concessionarie di servizio pubblico come la GORI spa, ma su quest’ultima ci torneremo.

Ma ci sono anche casi di “Light Green-Hushing”

Capita infatti che molte aziende, pur possedendo programmi significativi in termini di sostenibilità, scelgono di mantenere il silenzio su questi sforzi. Questo atteggiamento è spesso motivato dalla paura di reazioni negative da parte del pubblico o da una mancanza di fiducia nell’efficacia di una comunicazione trasparente; infatti alcune aziende temono che la comunicazione dei propri sforzi sostenibili possa essere vista come una tattica per mascherare azioni non sostenibili o di non essere in grado di soddisfare del tutto le associazioni attiviste dell’ambiente. Meglio stare zitti, allora.

In questi casi si parla di Light Green-Hushing -che nella sostanza è comunque un silenziare dati e informazioni- quando la resistenza a divulgare dati è dovuta più a situazioni strategiche o a non opportunità a condividere informazioni cruciali e quindi nei rapporti annuali pubblicano informazioni non complete e dettagliate… e questo è il caso più frequente. Qualche esempio “italiano”? :

Ferrari, ha ricevuto critiche per la sua mancanza di trasparenza. Il rapporto sulla sostenibilità nel 2022 è stato criticato per non fornire prove concrete dei progressi compiuti.

Enel, ha pubblicato un rapporto sulla sostenibilità nel 2022, ma questo rapporto è stato giudicato incompleto sulle emissioni in quanto non includeva quelle delle sue attività all’estero.

Unilever, l’azienda ha annunciato nel 2021 che avrebbe utilizzato solo plastica riciclata entro il 2025, ma questo rapporto è stato valutato fumoso in quanto non allegato a dati concreti.

La via del green è impervia e costosa, spesso penalizzante in tema di concorrenza internazionale: mentre in Europa si cerca in tutti i modi di indirizzare -e con costi maggiori- le Aziende ad essere meno impattanti, secondo i dati di IQAir, gli USA sono molto più tolleranti e non parliamo della Cina dove il 90% delle città è oltre soglia europea e a Pechino e Shangai la media di PM10 e PM2.5 è del 110% più alta della città europea più inquinata… però hanno trovato un modo originale per combattere l’inquinamento: lo ignorano, non comunicano dati ufficiali né smentiscono quelli rilevati da altri.

Carlo De Sio

Laurea in Scienze Politiche ed Economiche, Master in Psicologia sociale e P.R, ha lavorato nella Comunicazione d’impresa e nelle Relazioni Pubbliche per oltre 40 anni; dal 2015 è impegnato in attività di Lobbying indipendente in Italia e all’estero. Ha fatto parte dei direttivi di Organismi nazionali quali ACPI-Milano, FERPI-Milano e Confindustria. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1999

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