Stranieri vittime di sfruttamento, lavoro nero e caporalato

Agricoltura, alberghi e ristorazione e servizi alla persona sono i tre settori in cui trova impiego la maggior parte della manodopera straniera

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Il lavoro degli immigrati in provincia di Salerno è nella maggioranza dei casi lavoro povero. Una ricerca appena conclusa nell’ambito del progetto P.i.u. Su.Pr.Eme. (Percorsi Individualizzati di Uscita dallo Sfruttamento – Azioni di prevenzione e contrasto allo sfruttamento lavorativo nei contesti urbani), coordinata da alcuni enti del terzo settore, tra cui la cooperativa sociale CSC, il consorzio La Rada e l’associazione La Tenda, ha messo in evidenza questo dato fondamentale. 

Sebbene l’obiettivo principale dello studio fosse quello di capire i fenomeni dello sfruttamento lavorativo e dell’intermediazione illegale nei territori della ricerca – l’Agro Nocerino-Sarnese e le città di Cava de’ Tirreni e Campagna – ciò che si rilevato è stato soprattutto la condizione diffusa di lavoro povero. Il dato è importante anche perché stiamo parlando di una popolazione immigrata ormai stabile: una presenza consolidata a partire dagli anni ’10 del 2000. I dati sugli stranieri residenti e quelli sul numero di permessi di soggiorno rilasciati annualmente lo evidenziano. Il fatto che da almeno venti anni le prime tre nazionalità presenti (marocchina, ucraina e rumena) siano sempre le stesse e rappresentino stabilmente i due/terzi del totale degli stranieri residenti ne è un’ulteriore conferma.

Che lavori fanno gli immigrati in provincia di Salerno? La loro occupazione è concentrata in tre settori: agricoltura, alberghi e ristorazione, servizi alla persona. In questi tre settori è occupata oltre la metà della manodopera immigrata formalmente dipendente. Le donne sono in ampia maggioranza occupate nel lavoro domestico, i maschi nel lavoro agricolo.

Nella ricerca condotta con un questionario a 319 immigrati di paesi non appartenenti all’Unione Europea, 20 interviste individuali e 8 interviste collettive, i dati raccolti mostrano una condizione diffusa di bassi salari (inferiori a 700 euro al mese), che riguardano almeno la metà delle persone intervistate. Questa ampia condizione di lavoro povero è aggravata dall’ampio ricorso al lavoro precario “a chiamata” e al lavoro senza contratto, che riguarda il 40% del campione intervistato. Dunque, il lavoro povero si affianca lo sfruttamento del lavoro, soprattutto nella forma del mancato e reiterato rispetto dei salari e dei tempi di lavoro. 

In agricoltura i salari erogati spesso non corrispondono a quelli previsti dai contratti di lavoro

Le condizioni di sfruttamento e di subordinazione al caporalato sono state studiate con riferimento alla normativa in vigore in Italia, la quale con la legge 199 del 2016 ha individuato quattro indici di sfruttamento. Nella ricerca condotta, sono soprattutto gli indici relativi all’irregolarità lavorativa e contributiva ad essere sotto osservazione, in territori in cui il pagamento in nero non avviene solo verso chi non ha un contratto, ma anche tra quanti un contratto di lavoro dipendente ce l’hanno (27% dei lavoratori intervistati). Inoltre, la ricerca ha verificato che i salari erogati spesso non corrispondono a quelli previsti dai contratti di lavoro, e questa situazione è più comune nei settori della cura e agricolo. 

Nell’intera area territoriale osservata si rileva che il lavoro precario e saltuario è diffuso, con il 34% che lavora “a chiamata”. La maggior parte delle giornate di lavoro reali è più lunga di quanto registrato formalmente e il 7% delle giornate di lavoro supera le 10 ore; una condizione registrata soprattutto tra chi svolge lavori domestici. Inoltre, solo la metà degli intervistati ha dichiarato che tutti i loro diritti sul lavoro vengono rispettati, mentre il 40% ha dichiarato che non vengono rispettati o vengono rispettati solo parzialmente. Il 25% ha dichiarato che il numero di giornate lavorate è più alto di quanto scritto in busta paga. 

Per quanto riguarda il tema del caporalato (l’intermediazione illecita di manodopera), lo studio ha identificato una presenza non diffusa ma significativa di questo fenomeno, con una quota stimata del 10% del campione intervistato sottoposta a esso. Questi casi sono presenti soprattutto nel settore agricolo e nel lavoro domestico, tra chi non ha un contratto di lavoro e ha rapporti di lavoro “a chiamata”. Il rischio di esposizione a questi rapporti è accentuato tra le condizioni di lavoro precario o in nero.

Dunque, in conclusione, la ricerca ha messo in evidenza una questione salariale generalizzata nei settori economici presi in esame e l’ampiezza del lavoro povero che caratterizza la popolazione immigrata dei territori di Campagna, Cava de’ Tirreni e Agro Nocerino-Sarnese con poche differenze tra le diverse aree territoriali. Inoltre, la ricerca ha mostrato che una parte ampia della popolazione immigrata, coincidente con una quota compresa tra il 30 e il 40% dei 319 intervistati, si ritrova sottoposta ad almeno uno dei quattro indici di sfruttamento individuati dalla Legge 199/2016 – in particolare quelli relativi al rispetto di salari, contributi e durata della giornata di lavoro – e ha evidenziato, altresì, la subordinazione a rapporti di caporalato da parte di circa il 10% degli intervistati, presenti in tutti i settori economici considerati, anche se soprattutto in agricoltura e nel lavoro di cura domestico.

In sintesi, la ricerca ha rilevato che i fenomeni di intermediazione illegale della manodopera si collocano all’interno di un quadro strutturalmente definito da diffuse condizioni di sfruttamento e, soprattutto, di lavoro povero, palesando la drammatica attualità della questione salariale per quasi tutta la popolazione lavoratrice immigrata nell’Agro Nocerino-Sarnese oltre che nelle città di Cava de’ Tirreni e Campagna.

Gennaro Avallone

Nato nel 1973, è professore di sociologia dell'ambiente e del territorio presso il Dipartimento di studi politici e sociali l'Università degli studi di Salerno. Tra i suoi temi e ambiti di ricerca si segnalano i processi di emigrazione e immigrazione, il razzismo, il lavoro agricolo, l’ecologia politica e la sociologia urbana.

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