Il giudice assolve Bersani ma scivola di brutto sulla linguistica

Non c'è diffamazione contro Vannacci, sentenzia il magistrato, ma la motivazione mostra la mancata conoscenza da parte della toga della nostra complessa lingua. Allegoria e metafora sono effettivamente due distinte figure retoriche che però non hanno assolutamente a che fare con il ragionamento simmetrico di Bersani. Quest’ultimo corrisponde piuttosto alla forma dell’analogia, ossia, in senso logico-etimologico, a una relazione proporzionale tra quattro termini, dove il primo sta al secondo come il terzo sta al quarto

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Sul Fatto Quotidiano dello scorso 5 novembre è stata rilanciata una notizia pubblicata dal Quotidiano Nazionale: il proscioglimento di Pierluigi Bersani dall’accusa di diffamazione ai danni di Roberto Vannacci.
La querelle era partita da un appellativo poco lusinghiero che il 1° settembre 2023, dal palco della Festa dell’Unità di Ravenna, l’ex segretario del PD aveva lanciato contro il generalissimo, affermando che, se “è possibile dare dell’anormale a un omosessuale, è possibile anche dare del coglione a un generale”.
Secondo il GIP Corrado Schiaretti del Tribunale di Ravenna la querela di Vannacci è infondata, perché partita da un presupposto errato: la frase di Bersani, infatti, non è una metafora – come sostenuto dall’accusa – ma un’allegoria. Bersani, cioè, per canzonare un certo modo di pensare della destra istituzionale, avrebbe fatto “uso di linguaggio allegorico volutamente ironico”.

Sui social la notizia è subito rimbalzata, replicandosi nel coretto quotidiano degli estimatori e denigratori dell’una o dell’altra parte. Ma, al di là dell’estemporanea passione per l’arte retorica che ha suscitato, il fatto merita almeno due riflessioni.
La prima riguarda l’evocata differenza tra allegoria e metafora, effettivamente due distinte figure retoriche che però non hanno assolutamente a che fare con il ragionamento simmetrico di Bersani. Quest’ultimo corrisponde piuttosto alla forma dell’analogia, ossia, in senso logico-etimologico, a una relazione proporzionale tra quattro termini, dove il primo sta al secondo come il terzo sta al quarto.
Senza entrare nel merito dell’uso filosofico e logico-matematico di questo rapporto, ci limitiamo a evidenziare che la frase di Bersani corrisponderebbe dunque alla formula “anormale sta a omosessuale come coglione sta a generale”. Si potrebbe quindi ragionevolmente concludere che il GIP, nella decisione di non dover procedere, abbia a sua volta fatto confusione, scambiando l’analogia con l’allegoria. Chi di lingua ferisce di lingua perisce, verrebbe da parafrasare… Ma, anche in tal caso, considerando falsa la prima condizione della relazione (omosessuale=anormale), lo diventa ovviamente pure la seconda (generale=coglione). Bersani, dunque, è comunque assolto. Ed egli stesso, mettendo da parte la laurea in Filosofia, non è andato tanto per il sottile. Ospite di una trasmissione di La7, quale “appassionato di metafore” a cui ogni tanto “scappa anche un’allegoria”, ha commentato la notizia apprezzando la “raffinatezza” della sentenza e sottolineando che il giudice aveva ben compreso quello che intendeva dire.
E qui si pone la seconda riflessione.
Perché, se dal punto di vista logico-formale Bersani, al netto dell’errore interpretativo del giudice, non ha affermato che il generale Vannacci è un coglione, dal punto di vista della comunicazione implicita, in un contesto di significati sottintesi e del tutto condivisi da un pubblico sintonizzato sulla sua stessa linea d’onda – si potrebbe realisticamente concludere – ha inteso affermare esattamente questo. Tutto dipende, cioè, dall’interpretazione di chi valuta la questione.
Il che, oltre a riportarci alle molte domande sui rapporti tra la logica formale – o anche tra l’intelligenza artificiale – e gli infiniti significati del linguaggio, con i suoi contesti e contenuti, ci costringe altresì a interrogarci sul rapporto tra la legge e la sua interpretazione giuridica, in questi ultimi giorni balzato più volte alla cronaca a proposito dello scontro tra politici e magistrati.
Come ben dimostra il caso di Bersani, la legge non può ridursi a un meccanismo fondato sull’applicazione asettica di una norma, al di là di quanto alcuni commentatori ostinatamente rivendicano, ma richiede una più ampia intelligenza e comprensione del contesto di applicazione della norma stessa.
Una intelligenza che dovrebbe quindi valere per tutti, prima e più della legge. Con buona pace della linguistica, della logica e della retorica.

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