Il disimpegno degli innocenti: “Un fascista e dieci qualunquisti fanno undici fascisti”

I social non premiano chi sa, ma chi sproloquia su cose improbabili. Il motto attribuito a don Milani non è una battuta. È un'allerta, un test di coscienza: se non parli, non leggi, non ti informi e se lasci che le cose accadano senza fare nulla, hai già scelto.

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Questo aforisma è poco conosciuto tanto che se ne sta lì, come una frase buttata giù su un muro rovinato dal tempo: “Un fascista e dieci qualunquisti fanno undici fascisti”; viene attribuito a don Milani, non ne ho trovato traccia nei suoi testi ufficiali; chi ha letto di lui non fa fatica però a credere che avrebbe potuto dirla, e se non l’ha detta oggi è viva più che mai. Perché? Perché il disimpegno civile è una metastasi, oggi non serve più essere davvero fascista, basta stare dietro e dare supporto ad un populista di bassa lega, il resto lo fa il silenzio di chi si ritiene incolpevole ed innocente.

Il qualunquismo non è neutro. È complicità. Siamo pieni di persone che si credono innocenti perché non votano più, che si vantano di non leggere i giornali perché tanto è tutto marcio. E mentre fanno gli schizzinosi col mondo, si bevono ogni stupidaggine che passa su TikTok, su WhatsApp o Fb, diventati ormai dazibao, manifesti attaccati sul muro mentale della nostra pigrizia collettiva. Messaggi da leggere in piedi, di fretta, senza analizzarli, perché questo è l’era dei titoli, quel che c’è scritto dopo, in piccolo, non interessa, ci vuole impegno mentale.

Questo è il qualunquismo, non è ignoranza, è rifiuto attivo della responsabilità. È mettersi comodi a bordo campo mentre qualcun altro decide: e chi decide quando tu te ne disinteressi? Sempre il peggiore… perché la democrazia non ha l’autopilota: se non la guidi, ti porta nel fosso nero.

Il populismo non ha bisogno di maggioranza, gli basta un’eco. Il vero problema non è il fascista di professione, il provocatore da salotto TV che urla contro gli immigrati, la teoria gender, il politicamente corretto. No. Il problema sono i dieci che lo ascoltano e pensano: “beh, in fondo dice cose di buonsenso, le direi anch’io”.

Eccolo il gregge qualunquista. Non fatto di fanatici, ma di sonnambuli: gente che non legge, non studia, ha opinioni da bar, non pensa e se la cava con un “la verità sta nel mezzo” anche se da un lato c’è uno scienziato virologo e dall’altro uno sciamano che ciancia con i defunti e parla con gli alieni: è Gente che confonde l’equilibrio con la resa intellettuale.

Ecco come il Populista/fascista da uno diventa undici.

Social, algoritmi e stupidità di massa: la combo perfetta

Oggi il qualunquismo è dopato dall’algoritmo. I social non premiano chi sa, ma chi sproloquia su cose improbabili: se posti “l’Europa ci sta togliendo la casa”, ottieni 300.000 visualizzazioni. Se provi a spiegare il perché del Patto di Stabilità, ti leggono in tre. E magari ti insultano pure.

Viviamo nel trionfo della semplificazione con slogan, meme, complotti, battute da bar che però poi divengono programma politico! L’effetto gregge è virale. E se non hai gli anticorpi -ovvero cultura, spirito critico e fatichi a furia di pensare- ci cadi dentro come un allocco.

Il paradosso? Chi è più ignorante si sente più legittimato a parlare, perché il sapere oggi è percepito come arroganza. C’è una presunta libertà di pensiero che si esita nella frase “Tu non mi puoi dire che ho torto, io la penso così”: Ricordate il Questo lo dice lei? … la lezione di Economia della Castelli a Padoan? Ecco come implode una democrazia, è questo il vero capolavoro di Grillo, poi tracimato a Destra: la libertà di dire caxxate impunemente.

Ed il Populismo ringrazia e incassa, e non vince perché ha buone idee, vince perché trova un popolo stanco di pensare ed è pronto a lasciarsi guidare. Anzi, a farsi trascinare.

Ogni “non mi interessa”, ogni “tanto non cambia nulla”, ogni “io penso alla mia famiglia” è un mattone in più nel muro che ci divide dalla partecipazione democratica.

E mentre tu ti disimpegni, loro si infiltrano nelle scuole, nelle tv, nei comizi di piazza. Costruiscono un linguaggio semplice, brutale, efficace. Ti dicono chi è il nemico. Ti promettono soluzioni facili a problemi complessi. E tu -se non reagisci- stai già scegliendo, perché il qualunquismo non è vuoto: è una scelta mascherata da disinteresse.

Le asserzioni di Don Milani non lasciano dubbi: “stare zitti è un peccato civile”… “l’obbedienza non è più una virtù”… Tradotto: se ti chiami fuori, stai dentro più di quanto credi, e chi si chiama fuori dalla politica, in realtà sta tenendo aperta la porta a chi vuole entrarci con gli anfibi.

Chi si chiama fuori, si chiama complice. Chi non studia, chi non si informa, chi non prende posizione, lascia che qualcun altro decida anche per lui. Se accetti che il populismo cresca attorno a te, sei parte del problema. È una lezione semplice, brutale, urgentissima.

Il Populismo oggi non ha divise. Ha like, poltrone e passaparola. Scordatevi le camicie nere, oggi si traveste da “patriota”, da “realista”, da “difensore della tradizione”. Non arriva con i manganelli, ti manda un’infografica colorata con la scritta “I migranti hanno il cellulare, quindi non sono poveri”… ti suggerisce che le femministe sono pazze e lesbiche -non lo dice, ma ci fa le battute su-, che i diritti civili sono un importanti ma fino ad un certo punto, che i poveri lo sono perché non si danno da fare (la tipica teoria evangelista americana -e trumpiana- del Prosperity Gospel)

Come funziona la catena del qualunquismo?

Al populista basta un post provocatorio con la scritta: “Gli italiani prima” per scimmiottare quell’altro fuori di testa cui neanche il padre Fred dava grande considerazione come persona e come uomo d’affari per i continui fallimenti (ripianati da papà) e le sue manie di grandezza… e cosa fanno i qualunquisti? Uno riflette; un altro dice di non essere d’accordo “però ha coraggio”; uno commenta “basta con la dittatura del pensiero unico”; l’altro scrolla e va oltre, e uno non fa niente ma poi lo vota perché “è l’unico che dice le cose chiare”.

E ciò accade perché abbiamo passato decenni a massacrare la scuola pubblica, riducendo l’educazione civica a un’ora o meno dandogli la stessa importanza di Religione e Ginnastica. Poi ci sorprendiamo che la gente non sappia distinguere il Governo dal Parlamento e il ruolo del Presidente della Repubblica da quello del Presidente del Consiglio… e pensi che il Parlamento sia solo un modo malefico di far perdere tempo  all’esecutivo.

In pratica, il populista/fascista non è tornato. È stato invitato da una cultura che ha deciso che pensare è faticoso; e mentre ci voltiamo dall’altra parte, la storia si ripete.

Il motto attribuito a don Milani non è una battuta. È un’allerta un test di coscienza. Se non parli, non leggi, non ti informi e se lasci che le cose accadano senza fare nulla, hai già scelto.

E se domani tornerà l’autoritarismo, e sotto molte forme è già tornato (inutile nascondercelo) non si potrà dire: “Io non ho colpe”. Ne abbiamo, eccome.

Stavamo zitti.

Carlo De Sio

Laureato in Scienze Politiche ed Economiche, con Master in Psicologia sociale e P.R, ha lavorato nella Comunicazione d’impresa e nelle Relazioni Pubbliche per oltre 40 anni. Ha fatto parte dei direttivi di Organismi nazionali quali ACPI-Milano, FERPI-Milano e Confindustria. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1999.
Fa parte di un gruppo di specialisti per la revisione di testi generati dall’I.A. e partecipa nel Deep Web a un gruppo di approfondimento che ha come focus notizie e valutazioni sulle crisi politiche in atto.

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