Se si dovesse scegliere tre parole chiave per descrivere il suo percorso accademico, professionale e personale sarebbero, senz’altro, le seguenti: disciplina, passione e trasversalità. Giovanni Sciancalepore, professore ordinario di Sistemi Giuridici Comparati e Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche presso l’Università degli Studi di Salerno, è stato recentemente nominato Direttore della Scuola di specializzazione per le professioni legali e ha raccontato, in questa intervista ricca di spunti e riflessioni, non solo quali sono stati gli obiettivi raggiunti negli ultimi sei anni, ma anche i programmi e i progetti per il prossimo futuro. Infine, il racconto delle sue “due anime” – quella di accademico e quella di sportivo – che si integrano e “sono in osmosi l’una con l’altra”.
Stanno per concludersi i suoi sei anni come Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche all’Università degli Studi di Salerno: un bel percorso, ricco di obiettivi raggiunti e progetti ambiziosi. Come sono stati questi sei anni?
Sono stati anni molto intensi e impegnativi che mi hanno permesso di conoscere colleghi nuovi e scoprire attitudini che non sapevo di avere. Ad esempio: fare sintesi in situazioni articolate e affrontare le difficoltà facendo squadra. L’obiettivo era quello di rendere un’eccellenza il nostro dipartimento cercando di mantenere un equilibrio tra gli aspetti più formali e quelli più all’avanguardia e innovativi.
Da poco è arrivata anche la nomina come Direttore della Scuola di specializzazione per le professioni legali: anche questo un bel traguardo. Quali sono i primissimi programmi e progetti su cui lavorare?
La prospettiva è complessa: le professioni legali – specialmente l’avvocatura – sono in una fase di crisi, difficoltà e transizione ma quello che è emerso durante il Consiglio Direttivo è la necessità di creare, nell’ambito della scuola, dei focus di approfondimento di iper-specializzazione attraverso professionisti di livello eccellente che diano agli studenti quel quid pluris non solo per quanto riguarda l’impianto teorico, ma soprattutto di carattere applicativo.
Tra i suoi obiettivi c’è sempre stato quello di modernizzare la facoltà, aprendosi alle nuove tecnologie e alla digitalizzazione come aspetti fondamentali da integrare necessariamente nel percorso di studi giuridici. In che modo è riuscito ad attuare i suoi propositi e quali sono state – se ci sono state – le difficoltà affrontate negli ultimi anni?
Sicuramente, la modernità è coincisa con un cambio di passo del dipartimento. Non soltanto di carattere generazionale, ma un cambio di approccio più moderno, poco formale, ma rispettoso dei ruoli e immediato ed efficace. Un tempo essere ricevuti da un docente era quasi un miraggio, oggi invece le modalità di interazione sono veloci ed efficaci rispetto alle necessità degli studenti. Il rapporto tra docente e studente, quindi, è un aspetto di questa modernità. Dall’altro lato, portando l’esempio della laurea del Giurista d’Impresa lì abbiamo fatto una grossa infusione di tecnicismi, di aspetti inerenti alla digitalizzazione, è stato complesso trovare un punto di equilibrio politico e sostanziale tra cento docenti. Mi permetto di dire che, se non avessi il carattere volitivo che ho, probabilmente, avrei desistito, scegliendo la comodità piuttosto che la difficoltà. Con una punta di orgoglio, posso dire che non solo abbiamo realizzato l’obiettivo, ma abbiamo chiuso il primo triennio e l’ultimo report ci indica un numero di pre immatricolati calzante con quello che ci eravamo prefissati. Adesso l’obiettivo è quello di rinforzare i rapporti con le realtà imprenditoriali che ci hanno affiancato fino ad ora, avviare un dialogo che possa essere non solo un tirocinio ma anche una prospettiva per un’occupazione futura per i migliori studenti.
Lei ha fondato e dirige il Laboratorio Made in Italy che si occupa di temi di grande contemporaneità. Ce li vuol raccontare?
Il laboratorio ha al suo interno anche un osservatorio scientifico sui temi dell’etica, della finanza e dello sviluppo che si combinano in maniera ideale e completa con il made in Italy perché rappresentano l’unicum dal punto di vista dell’approccio a ciò che sinteticamente identifichiamo nel made in Italy. In questi sei anni, purtroppo, non ho potuto dedicare molto tempo al laboratorio, ma questo non significa che non sia stato fatto nulla, anzi. Abbiamo istituito un bel sito web dinamico in cui, attraverso un rinnovamento costante degli argomenti e dei temi, il fruitore ha una visione aggiornata di ciò che è il mondo del made in Italy. Recentemente, abbiamo organizzato un convegno sulla green economy e sulla sostenibilità ed è mia intenzione organizzare altre iniziative di carattere non solo convegnistico guardando con particolare attenzione alle realtà straniere, apparentemente lontane da noi perché credo che fare proprie esperienze altre rispetto al proprio modo di agire possa essere un arricchimento.
Il suo approccio alla ricerca e al mondo accademico sembra essere molto trasversale, aperto e attento ai fenomeni e ai temi che influenzano la società contemporanea e quindi anche le professioni legali. Quale è il suo background culturale e quale è stato il suo percorso di studi?
Il mio è un percorso di studi particolare. Ho frequentato il liceo classico, ma ho sempre subito la scuola come realtà. Per fare il docente non bisogna solo avere delle competenze tecniche, ma bisogna essere empatici, entrare nell’anima delle persone e creare una sintonia che vada al di là del momento in cui si trasmettono delle nozioni. Probabilmente – e lo dico senza presunzione – il mio percorso di studi non è stato particolarmente brillante, ma lo scatto assoluto è arrivato all’università. Uno scatto, anche in famiglia, non sperato e atteso, ma ho avuto la fortuna di avere un maestro, che è il professore Pasquale Stazione, che mi ha folgorato già dai primi giorni di università. E poi successivamente mi ha folgorato l’università per la sua apparente inarrivabilità che mi ha appassionato, ma è stata anche una sfida con me stesso. Il mio percorso universitario è stato ricco di sacrifici, di impegno, di dedizione.
Impegno, disciplina e passione sono le parole chiave che caratterizzano il suo prezioso percorso accademico e universitario, ma anche la sua attitudine e la sua dedizione allo sport. Come si integrano e quanto devono l’una all’altra queste sue “due anime”?
Questo doppio momento della mia persona non è facilmente rinvenibile. Le due realtà sono in un rapporto di osmosi l’una con l’altra: io traggo beneficio dal rigore del ricercatore per la mia attività sportiva e per il mio approccio agonistico al triathlon, questa disciplina dove ci vuole molta forza mentale: ecco, questa forza mentale diventa strumentale e utile all’università. Certo, tutto questo che sembra un idillio richiede molta organizzazione personale, l’ottimizzazione dei cosiddetti tempi morti e anche una certa disciplina che, forse si capisce, fa parte della mia persona. La fortuna è di condividere questa passione con mia moglie con cui abbiamo fatto anche cose fuori dalle righe come attraversare lo stretto di Messina a nuoto, partecipare a un trail in biciletta fuoristrada di più di 500 km. Tutto questo non è avvenuto per caso, ma mio padre – che oggi ha 85 anni – è stato un grande sportivo, fin da bambini io e mia sorella siamo sempre stati portati a fare sport. Facevamo sci alpino, in estate andavamo a sciare sui ghiacciai; quindi, c’è stato a livello familiare questo seme che è stato piantato tanto tempo fa.
Per ultima le faccio una domanda dalle cento pistole. Cosa consiglierebbe ad un/una ragazzo/ragazza su come poter affrontare il futuro?
Mi sforzo di creare nei ragazzi delle scintille, senza farsi prendere dal carrierismo che è una distorsione, però bisognerebbe che tutti i ragazzi lavorassero su loro stessi per evitare la mediocrità e l’adagio della mediocrità. La mediocrità è gratuita. Quindi il mio consiglio è questo: ambire al massimo e avere passioni, sogni che ti fanno svegliare al mattino e ti diano quella grinta che solo la giovane età con l’energia che la contraddistingue riesce a trasformare in una spinta per il futuro. E poi senz’altro, seguire la propria indole.