Erasmo, Il lamento della Pace

Oltre cinquecento anni fa, nel 1517, nel contesto di una Europa insanguinata da guerre tra gli Stati - compreso lo Stato della Chiesa - e conflitti di religione, il teologo scrive la “Querula Pacis”, il lamento in cui è la stessa Pace a prendere la parola (“se io sono quella Pace…”). È un testo decisivo nella costituzione di una coscienza moderna e un vero manifesto etico-politico. Con queste parole Luigi Firpo, ne presentava una elegante edizione-strenna nel 1968: “A tutti il discorso di Erasmo - lucido, serrato, implacabile - ripete che la guerra, oggi come all'alba del secolo XVI, rimane un'aberrazione stupida e feroce; che è incompatibile con la coscienza cristiana e con la stessa razionalità del!' uomo; che produce distruzioni materiali e morali irreparabili; che è frutto di calcoli errati, di orgogli disumani, di sanguinaria follia. Per bocca di Erasmo, l’intera umanità operosa e mansueta, l’umanità del pensiero, dell’arte, del lavoro, ripete le parole dell'esecrazione e della speranza, riafferma la propria fede nel futuro annunciato dal Profeta: quando gli uomini forgeranno le spade in vomeri e le lance in falci e riconosceranno finalmente in ogni sembianza umana un volto fraterno.”

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Parla la Pace- Se i mortali mi osteggiassero, scacciassero e respingessero, benché innocente, ma almeno con loro vantaggio, dovrei deplorare soltanto l’ingiustizia fatta a me e la loro iniquità, ma poiché nello sbandirmi cacciano lontano da sé la fonte di tutte le umane felicità e si attirano un oceano di sciagure d’ogni sorta, mi tocca compiangere piuttosto la sventura loro che l’oltraggio recato a me: mentre avrei preferito sdegnarmi soltanto, mi vedo costretta a dolermi della loro sorte e ad averne pietà.
In effetti, è pur sempre disumano respingere chi ci ama, è da ingrato osteggiare chi ci ha fatto del bene, è da empio tormentare la madre e la salvatrice comune.

D ‘altronde, non sembra forse negli uomini una sorta di pazzia furiosa questo privarsi con le loro stesse mani di tutti i benefici insigni che porto meco e procacciarsi in cambio una così cupa sentina d’ogni male. Sdegnarsi contro gli scellerati è giusto, ma che altro si può fare, se non compiangere questi invasati dalle Furie. Non v’è infatti, per commiserarli, ragione più forte del fatto che essi non hanno pietà di sé medesimi e la loro infelicità suprema sta nella loro incapacità di rendersi conto dell’infelicità che li affligge visto che è già un primo passo verso la guarigione aver contezza della gravità del proprio male.

In effetti, se io sono quella Pace vantata in coro dagli dèi e dagli uomini, fonte, genitrice, nutrice, propagatrice e conservatrice d’ogni cosa buona posseduta dal Cielo e dalla terra: se nulla mai senza di me fiorisce, nulla v’è di sicuro, nulla di puro o santo, nulla di piacevole per gli uomini o di grato agli dèi: se, in contrasto con tutto ciò, la guerra è una specie d’oceano in cui si mescolano tutti i mali del mondo: se col suo flagello d’un subito fa imputridire ciò che fiorisce, dissipa ciò eh’ era cresciuto, rovina ogni cosa salda, annienta ogni buon fondamento, tramuta il dolce in amaro: se, infine, è cosa tanto profana da riuscire come una peste subitanea per ogni forma di pietà e di religione, se, per questo solo, nulla è più funesto agli uomini né più odioso agli dèi, in nome di Dio immortale, io mi domando chi crederà mai che siano davvero esseri umani e che abbiano conservato un briciolo di discernimento coloro che si adoprano con tanta spesa, impegno, ingegnosità, artifici, cure e pericoli a cacciar via me, che son quella che sono, per acquistare a così caro prezzo tante sventure.

[Erasmo da Rotterdam, Il lamento della Pace]

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