Con migranti e stranieri: il Tommaso Moro di Shakespeare

The Book of Sir Thomas More è un dramma di Anthony Munday e Henry Chettle a cui collaborò anche William Shakespeare. In particolare, con il discorso che Tommaso Moro rivolge alla folla inferocita contro i migranti stranieri. Nella scena si raccontano i fatti dell’Evil May Day del 1517, una sommossa scoppiata a Londra contro gli stranieri accusati di rubare il lavoro agli inglesi. Il dramma, censurato, non andò mai in scena.

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«TUTTI GLI ALTRI CITTADINI: Zitti, pace!

TOMMASO MORO: Attenti, voi offendete proprio quello che invocate, cioè la pace. Nessuno di voi sarebbe qui presente, se quando eravate bambini fossero vissuti dei vostri simili che avessero travolto la pace come voi volete fare adesso; quella pace in cui finora siete cresciuti vi sarebbe stata tolta, e i tempi sanguinari non vi avrebbero permesso di diventare adulti. Poveri voi! Che cosa otterrete se anche vi concediamo quello che cercate?

GEORGE BETTS: Per la Madonna, mandar via gli stranieri, cosa che senz’altro porterà grandissimo vantaggio ai poveri artigiani della città.

TOMMASO MORO: Mettiamo che vengano allontanati, e mettiamo che la vostra baraonda abbia soffocato tutta l’autorità reale dell’Inghilterra. Immaginate di vedere i disgraziati stranieri trascinarsi verso la costa e i porti per imbarcarsi, con i loro miseri bagagli e i bambini dietro, mentre voi ve ne state a soddisfare i vostri desideri come sovrani, con le autorità ammutolite dal vostro berciare e voi tronfi nella gorgiera della vostra arroganza: che cosa avrete ottenuto? Ve lo dico io: avrete mostrato come la superbia e la forza possono prevalere e come l’ordine può essere distrutto. Ma in questo schema di cose non uno di voi giungerebbe alla vecchiaia, poiché altri furfanti, seguendo le loro ubbie, con identiche mani, identiche ragioni e identico diritto, vi spolperebbero, e gli uomini si divorerebbero fra loro come pesci voraci.

DOLL: Dio mi sia testimone, questo è vero come il vangelo.

GEORGE BETTS LINCOLN: Sì, questo è uno pieno di buon senso, parola mia. Stiamo attenti a quello che dice.

TOMMASO MORO: Miei cari amici, lasciate che sottoponga un’ipotesi alla vostra riflessione. Se ci pensate bene, vi accorgerete quale forma orribile hanno in sé le vostre novità rivoluzionarie. Anzitutto, è un peccato verso il quale l’Apostolo ci ha ammonito spesso di stare in guardia, raccomandandoci di obbedire alle autorità; e non sbaglierei se vi dicessi che voi siete insorti contro Dio.

TUTTI I CITTADINI: Santa Vergine, che Dio non voglia!

TOMMASO MORO: Eppure è così, perché al re Dio prestò il proprio ufficio di terrore, giustizia, potere e comando. A lui ingiunse di governare e volle che voi obbediste. E per aggiungere a questo una più ampia maestà, prestò al re non soltanto la sua figura, il trono e la spada, ma gli diede il suo stesso nome, chiamandolo dio in terra. Che cosa fate dunque voi, ribellandovi contro un uomo insediato da Dio in persona, se non ribellarvi contro Dio? Facendo così, che cosa fate alle vostre anime? Oh sconsiderati, lavate di lacrime le vostre menti corrotte; e le stesse mani che da ribelli levate contro la pace, a favore della pace alzatele, e le vostre ginocchia sacrileghe trasformatele in piedi. Inginocchiarsi per il perdono è la guerra più sicura che potete fare voi, la cui tattica è la ribellione. Su, su, tornate a obbedire! Perfino questa sommossa può proseguire solo con l’obbedienza. Ditemi soltanto: quando una rivolta sta per scoppiare, quale capopopolo è in grado di sedare la turba nel proprio nome? Chi vuole obbedire a un traditore? O quanto bene suonerà l’elezione di qualcuno che come titolo abbia solo quello di ‘ribelle’ per definire un ribelle? Voi volete schiacciare gli stranieri, ucciderli, tagliargli la gola, impadronirvi delle loro case e condurre al guinzaglio la maestà della legge, per aizzarla come un segugio. Ahimè, ahimè!»

William Shakespeare, Il Libro di Sir Tommaso Moro, Scena 6 (traduzione di Edoardo Zuccato).

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