Call center: il bisogno di comunicare

Il teleselling continua a conquistare clienti. Ma come si spiega il successo di uno dei sistemi di vendita più fastidiosi?

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Di Call Center, nostra croce e delizia, ce ne sono 2 tipi: Service e Aggressive.

I Service sono quelli che chiamiamo noi quando abbiamo qualche problema da risolvere a casa per luce, gas, internet, acqua, etc.., gli Aggressive sono invece quelli che ci chiamano dieci volte al giorno e noi li sacramentiamo ogni volta. Ma la domanda sorge spontanea, diceva Lubrano: se danno fastidio, se ci sfrantùmano le balle tante volte al giorno anche se blocchiamo il numero chiamante, se tutti noi ce ne lamentiamo perché è una delle telefonate che, certe come la morte, ci beccano a pranzo o a cena, come è possibile che continuano a prosperare questi call center che i francesi con tanta dèlicatesse chiamano emmerdeur?, che è l’equivalente del nostro scassacaxxi o rompicoxxxni, ma che letteralmente sarebbe smerdatori… che classe ‘sti francesi!

Come è possibile che il metodo di vendita più disdegnante, irritante e fastidioso -desiderato quanto una puntura di zanzara sul sedere- continua ad avere successo e perché nonostante le tante offerte sui social e la pubblicità classica in TV è tuttora il metodo di vendita più performante per luce, gas e internet? Come si spiega che questa vendita ancora oggi con tutto il fastidio che porta, specie quando ti chiamano dall’estero con quell’italiano stentato, mette a segno circa il 53% di tutte le vendite del settore energia?

Perché hanno un segreto: si basano su un bisogno molto forte, molto più forte del fastidio che provocano; non potrebbe essere diversamente perché i call center aggressive sono sempre più attivi, specie in questo periodo in cui sarebbero diminuiti (in teoria) i costi dell’energia: quei filibustieri si presentano in modi simpatici: ora come Istituto per il Risparmio Energetico, ora Servizio Elettrico Nazionale, quando non addirittura come Enel, come se davvero interessasse loro di farci risparmiare… sono tutte fregature per far cambiare utenza e se continuano è perché ci riescono.

Si vabbè, ma perché ci riescono? Mi ha illuminato un collega -docente di Psicologia sociale- che pochi anni fa ha fatto il piano di marketing partecipativo per una delle ultime imprese entrata nel mercato dell’energia e che vende -appunto- esclusivamente tramite call center.

Si va sui grandi numeri, basta l’1-2% di successo per rendere positiva l’operazione di Teleselling, ma in verità la percentuale reale è più alta. Non ce ne rendiamo conto, ma tutto ciò accade perché su 90 persone che non rispondono o ti chiudono il telefono in faccia, ce ne sono 10 che non ha proprio nulla da fare, è solo o vive una grandissima solitudine familiare e personale e che, per incapacità o per situazioni personali, non è connesso con alcuno. Ciò accade soprattutto nelle grandi e medie città, dove queste persone non aspettano altro che qualcuno gli rivolga la parola… e se è un call center ben venga anche lui, per male che vada la telefonata diventa l’occasione per fare due chiacchiere: ma per il call center il fine è sempre e solo conquistare il contratto!

Ecco perché la telefonata di un call center è ideata secondo un protocollo di comunicazione partecipativa interpersonale che illude di offrire una compagnia, chiede come stiamo, se stiamo in un momento di relax, se vogliamo che richiamino: se riescono a far breccia c’è un buon dieci minuti, anche un quarto d’ora di convenevoli, si preoccupano delle nostre spese eccessive, rifilano qualche bufala, ci dicono cose sul nostro attuale fornitore, che lui -il cattivone!- pensa solo a fare utili mentre loro sono i buoni, etc.. se la persona ci sta si passa alla seconda fase nella quale il cliente deve rispondere -ormai imbambolato- con una serie di che perfezionano il contratto on line erogato in teleselling.

Qualche tempo dopo il cliente riceve una seconda telefonata. Quella che dicono sia una telefonata di verifica del corretto lavoro fatto giorni prima, ma stavolta chiama proprio un call center di servizio dell’azienda per controllare se il nuovo cliente ha cambiato idea, gli si ricordano le condizioni, si verifica la correttezza delle clausole, eccetera. E quindi si va al cambio operatore… salvo poi aspettarsi da lì a 15-30 giorni una telefonata da un altro call center aggressive che cerca di ricuperare il cliente, sapere perché ha cambiato, “se ritorna con noi ci sono sconti, facilitazioni, etc..

Altra cosa simpatica rivelatami da questo collega, strana ma tutto sommato logica, è che i migliori operatori di questi call center aggressive sono i detenuti per la voglia di stare fuori dalle celle e per la capacità empatica di mettersi nei panni di chi devono indurre a cambiare…”Chi viene da una cella, magari vi è stato per anni, senza rapporti veri con la propria famiglia e senza rapporti con il mondo, ha una serenità inusitata nel colloquiare con gente estranea e se anche capita di prendere qualche sbattuta di telefono in faccia non la vive come offesa ma come una delle eventualità della vita per aver passato una giornata attiva

Ed eccoci così arrivati a rispondere alla domanda posta all’inizio dell’articolo: perché il metodo di vendita, che sembra quanto di più respingente, fastidioso, invasivo e molesto si possa proporre, in realtà funziona?: Obbedisce a un’elementare legge di mercato: intercetta un bisogno reale che noi più fortunati -ancora attivi, che abbiamo amici cui chiedere un consiglio, che sappiamo smanettare sul web, che siamo inseriti in un contesto sociale che in qualche modo ci dà vita e soddisfazione- non possiamo nemmeno immaginare: “Il bisogno di relazionarsi è molto più forte del bisogno di non essere disturbati”.

Carlo De Sio

Laurea in Scienze Politiche ed Economiche, Master in Psicologia sociale e P.R, ha lavorato nella Comunicazione d’impresa e nelle Relazioni Pubbliche per oltre 40 anni; dal 2015 è impegnato in attività di Lobbying indipendente in Italia e all’estero. Ha fatto parte dei direttivi di Organismi nazionali quali ACPI-Milano, FERPI-Milano e Confindustria. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1999

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