Il viaggio inatteso di Emma e Bruce

Il libro scritto dalla moglie dell'attore americano informa sulla demenza senza stereotipi e rimarca l'importanza della diagnosi preco

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Scrivere questo libro ha guarito il mio dolore in modo inatteso”.

Emma Heming, modella di origine maltese e moglie dell’attore hollywoodiano Bruce Willis nel 2022 vede stravolto il mondo della loro famiglia, giacché a Bruce viene diagnosticata la demenza fronto-temporale. Emma sceglie di essere partner di cura di suo marito per tutto il tempo che lui vivrà. Dal triste momento della diagnosi, una diagnosi brusca, senza empatia, che li fa rincasare angosciati e disorientati con in mano un semplice  foglio con su scritta la condanna, capisce che la sua vita è a una svolta; che l’aspettano, insieme alle loro due bambine, giorni davvero difficili.

Prima della diagnosi, Bruce ed Emma hanno vissuto un lungo periodo di confusione e incertezze. Lui non era più quello di una volta. Lentamente, carsicamente, cambiava ed Emma, ben lontana dal sospettare la verità,  sempre più spesso si chiedeva: “Ci è, o ci fa?”. Sempre più spesso cercava accanto a sé, senza più trovarlo, l’uomo di cui si era innamorata. Un uomo affabile e generoso.

”Mi piaceva che quando andavamo al ristorante e ordinavamo una bottiglia di vino, ne facesse assaggiare un bicchiere al cameriere, dicendo: così saprà come descriverlo al prossimo cliente.”

“Una volta ero impegnata in un servizio fotografico a New York , e in una pausa gli dissi al telefono che avevo freddo. Dopo pochi minuti arrivò un corriere con una coperta per me. “

Ecco, le mancava quell’uomo lì, l’uomo della gentilezza, le sorprese, i giochi, l’empatia. Le mancavano il suo matrimonio felice e lui che suonava l’armonica a bocca, orgoglioso di avere imparato da solo. Dove si era nascosto? E soprattutto: ormai il loro matrimonio era da considerarsi finito?

I giorni passano. Ora Emma non ha più bisogno di scrutare di nascosto il marito per accorgersi di come sia diventato introverso, irritabile, impulsivo, incosciente, a volte anche apatico e maleducato. Fatto è che i medici (hanno cominciato a consultarne svariati)  di fronte a questi cambiamenti non pensano in prima istanza alla demenza, piuttosto chiamano in causa lo stress, la crisi di mezza età, la depressione. Invece, scriverà più tardi Emma nel libro uscito lo scorso settembre ma già best seller Il viaggio inatteso: “Molti dei sintomi sono estremamente sfuggenti e differiscono da una malattia neurovegetativa a un’altra. Se da un lato è più facile riconoscere che un problema di memoria dipende dal morbo di Alzeimer, è più difficile capire che un cambiamento del linguaggio o della personalità è dovuto a una demenza. In genere pensiamo che il cervello sia cruciale solo per la memoria e il linguaggio, ma è responsabile del modo con cui ci relazioniamo con gli altri, di come li sosteniamo ed entriamo in empatia con loro. I piccoli cambiamenti iniziali dovuti alla demenza, in realtà possono protrarsi per anni, e per tutto il tempo la persona, vista da fuori, sembra star bene. Ancora più sconcertante è che potrebbe non arrivare mai il momento in cui esprimerà a chicchessia la preoccupazione per qualcosa che non va. Si chiama anognosia, l’impossibilità di parte del cervello di riconoscere i propri problemi di salute”.

Sta di fatto che le stranezze di Bruce continuano a moltiplicarsi, sino a che un giorno Emma si convince che davvero c’è qualcosa che non va. Accade quando Bruce inizia a balbettare, così come faceva da bambino, perché lui è stato un bimbo balbuziente.

Accade anche che una notte in casa loro suona l’allarme, e Bruce nel letto si sveglia ma non si scompone.

Dunque arriva la diagnosi, inizialmente in quel modo prima descritto. Medico freddo, zero empatia.

Ora ad Emma è sin troppo chiaro il calvario che hanno davanti.

Ecco giorni d’inferno, in cui se ne resta chiusa in casa senza dire nulla a nessuno, tanto, chi capirebbe?

E come lei e le sue figlie potrebbero sopportare il pressing mediatico se la cosa trapelasse? No, nessuno deve sapere, dunque niente uscite, niente amici, nemmeno quelli più cari. Emma resta sola con le notti insonni passate a singhiozzare e prendere a pugni il cuscino.

Tormentata da decine di sentimenti contrastanti, compreso il rimorso per avere addirittura incolpato suo marito di un cambiamento prima piccolo ed ora già così radicale. Un cambiamento che non dipende in alcun modo da lui, ma solo da ciò che resta del suo cervello.

“I lobi frontali del cervello definiscono chi siamo: se siamo empatici, se rispettiamo gli altri, se siamo in grado di controllarci, se riusciamo a prestare la giusta attenzione a ciò che gli altri dicono. Quest’area costituisce il cervello sociale e la demenza fronto-temporale attacca proprio quella parte di noi, vale a dire la zona del cervello che ci permette di amare gli altri e di collaborare con loro”.

Le uniche persone che Emma sopporta, che cerca e ha piacere di stare con loro, sono quelle del gruppo di sostegno. Persone come lei, che si trovano nella sua stessa situazione o ci sono passate: caregiver di un congiunto affetto da demenza.

E la vera svolta avviene proprio quando Emma ha contezza assoluta dell’importanza del gruppo di sostegno, questa rete di contatti che contrastano il suo isolamento, perché l’isolamento sociale fa male ed è molto pericoloso sia alla salute fisica che a quella mentale, parole sue, ma soprattutto svolta quando si rende conto che per potersi prendere cura di Bruce, deve imparare, anche in un simile contesto, a prendersi cura di sé stessa. E ancora, quando decide che se le figlie devono perdere il padre (ha scoperto che le persone affette da demenza fronto-temporale hanno un’aspettativa di vita che va dai 7 ai 13 anni dal momento della diagnosi), non perderanno anche la madre. Si è molto documentata, sa bene che un caregiver per il forte stress cronico cui è sottoposto, vive mediamente un numero significativo di anni in meno rispetto ai suoi coetanei, e in molti casi addirittura non sopravvive al paziente che assiste. Facile anche che  vada incontro a un rischio più elevato di declino cognitivo.

Così, tra un rimorso e una vergogna, comincia a uscire con le bambine, e fare anche qualche viaggio o escursione che avevano programmato di fare con Bruce.

La prima volta che organizza un viaggio, pensa di portare con loro anche lui, ma viene fortemente redarguita dal medico che lo segue (sarebbe troppo faticoso, non è proprio il caso, non è proprio il caso…).

Ritorna a fare shopping e recupera i suoi vecchi amici con cui aveva taciuto, tutti sinceramente legati a lei, a Bruce, alla sua famiglia. Per necessità è cambiata.  Ora sostiene che più segreti abbiamo, più ci ammaliamo.

Su consiglio del team che segue lei e Bruce, riesce anche a coinvolgerli nella loro nuova routine. Fa una lista di cose per cui le si può dare una mano, cose che occorrono e per le quali lei fatica a trovare il tempo. Il principale problema di un partner d’assistenza, è trovare il tempo. Numerose sono le persone che l’aiutano, sia dal punto di vista pratico che morale, ma soprattutto l’aiuta chi ha studiato la demenza e le problematiche sociali ad essa correlate. Un aiuto significativo ad esempio le viene da  Patti Davis, figlia di Donald Reagan. Fu lei a seguirlo quando si ammalò di demenza, e quando è morto, ha continuato a fare conferenze, scrivere libri, fondare gruppi di sostegno, dedicando la sua vita a questa causa: fare informazione sulla demenza ed adoperarsi in ogni modo affinché le famiglie di questi malati non restino sole.

È lei che ha spiegato a mezzo mondo quanto sia importante che i caregiver si riuniscano tra di loro per fare brainstorming (parola inglese traducibile come tempesta di cervelli).  Naturalmente esistono anche gruppi di sostegno online.

“La demenza fronto-temporale non grida, sussurra, e lo fa per così tanto tempo che non ci si rende conto che la persona amata sta svanendo. Noi stavamo perdendo Bruce lentamente e non ce ne siamo accorte. A volte mi chiedo: Quando è stata l’ultima volta che Bruce è stato totalmente presente? Che cosa stavamo facendo? Quale è stata l’ultima conversazione che ho avuto con lui? Purtroppo non avrò mai le risposte a queste domande e ciò mi fa impazzire: fa parte della cosiddetta perdita ambigua. La persona è ancora davanti a te, ma non è più quella di una volta. La perdita ambigua è immensamente dolorosa e chi non ci è passato non la capisce…”

In fondo avevo acquistato questo libro scritto da Emma, Il viaggio inatteso, solo per curiosità. Amavo l’attore Bruce Willis e desideravo conoscere la sua storia. Giammai avrei immaginato invece di imbattermi in un libro di grande importanza medico-sociale.

Nel Viaggio inatteso, Emma parla sì della loro storia, ma poi prende altre strade.

L’autrice fa informazione sulla demenza e sollecita ognuno di noi a fare, ove necessario, per sé e per i nostri cari una diagnosi precoce, perché molto importante. I margini d’intervento per la prevenzione ci sono e sono pure ampi. Comprendono misure alimentari (sorseggiare caffè o the, ad esempio, è tra le abitudini ritenute utili per rallentare la demenza), sport, relazioni sociali e tanto altro di cui si parla nel libro.

Libro sincero, dove l’autrice pur consapevole di quanti pregiudizi subiamo in questa società, decide di raccontarsi fino in fondo. La sua lealtà inoltre le fa scegliere di sottolineare più volte quanto la loro situazione si sia avvalsa dell’agiatezza economica frutto dei lunghi anni di lavoro di Bruce.

E infine, c’è da toccare l’argomento più spinoso: l’allontanamento di Bruce da casa, la decisione di Emma più sofferta, quella per la quale ancora oggi prova un senso di vergogna, ma ha voluto attuare nell’interesse di tutti. Nella demenza fronto-temporale le persone sono molto suscettibili al rumore, che può causare agitazione, ansia, confusione. Per questa ragione Emma ha fatto sì che in casa non ci fossero elementi di disturbo per Bruce. Ma ciò significava anche una coercizione per le ragazze, i loro giochi, gli inviti per gli amici. La soluzione trovata da Emma è stata quella di trasferire Bruce in una seconda casa molto vicina alla prima: “Nella malattia di papà siamo arrivati al punto in cui le cure di cui ha bisogno stanno cambiando Devono essere adeguate a ogni sua esigenza. E voi dovete vivere in una casa più adatta alle vostre di esigenze, invitando i vostri amici e divertendovi. Questo è quello che vorrebbe papà.”

“Verrò giudicata dagli altri? È molto probabile. Ma se la storia della nostra famiglia deve essere raccontata, preferisco farlo di persona in modo vero e autentico, invece di rischiare che altri rielaborino il racconto in maniera approssimativa e deleteria. Ad ogni modo sappiate che anche se Bruce vive nella seconda casa, io continuo ad essere la persona che lo assiste di più”

Norma D'Alessio

Di mestiere pediatra. Per ulteriori impegno e passione: scrittrice, giornalista, editor. Il suo sito:www.normadalessio.it

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