Da Punta degli Infreschi a Scario, fino all’Isola di Dino a Praia a Mare, esiste un ben di Dio ambientale che, nella sua interezza, ha pochi eguali nel Mediterraneo. È un patrimonio paesaggistico e naturalistico straordinario, un mosaico di macchia mediterranea, acque cristalline, promontori maestosi, piccole spiagge nascoste e borghi che sembrano usciti da un dipinto. Eppure, questo incanto non è percepito nella sua totalità. Lo si conosce per frammenti: Maratea da un lato, Scario dall’altro. Due luoghi di indiscusso richiamo, due perle che però, invece di riflettersi l’una nell’altra, sembrano appartenere a pianeti diversi. Nel mezzo, o appena oltre, restano Sapri, Villammare, Policastro, Tortora: territori magnifici, ma marginalizzati nella narrazione turistica prevalente, spesso lasciati soli a gestire il proprio destino.
Questa frammentazione è il segno di un limite culturale prima ancora che politico. Una consuetudine tutta meridionale, quella di separare, dividere, marcare i confini anche dove non servono. Ogni comunità tende a promuovere se stessa come se fosse un’isola, scollegata dal contesto, in competizione piuttosto che in armonia con il vicino. Così facendo, non solo si perde forza e attrattiva complessiva, ma si disperde anche il senso profondo del territorio, che non vive per compartimenti stagni. In Sardegna si parla di Costa Smeralda, in Francia di Costa Azzurra: brand unitari, forti, sinergici. Da noi, invece, si vendono singole cartoline, mai un racconto completo.
Eppure, il Golfo di Policastro ha tutto: la ricchezza naturale, l’identità culturale, la bellezza struggente, la profondità della storia. È un luogo che potrebbe benissimo raccontarsi al mondo come un unico corpo geografico e umano. Un luogo dove il turismo non sia solo consumo del paesaggio, ma esperienza del senso, della relazione, dell’autenticità.
Con il Progetto Policastro, si cerca finalmente di voltare pagina. Di guardare alla costa nel suo insieme. Di costruire una proposta turistica unitaria, inclusiva, moderna. Una visione che tenga insieme le spiagge nascoste e le scogliere mozzafiato, i sapori della cucina genuina e la lentezza dei borghi interni, la storia millenaria e l’energia dell’estate. Una visione capace di sfidare il tempo e lo sguardo, capace di tenere insieme la memoria e il futuro.
Il mare che lambisce queste coste è pulito, trasparente, vivo. Le spiagge sono intime, accoglienti. Le sporgenze della costa ti lasciano senza fiato. E poi ci sono le tradizioni enogastronomiche, che non hanno bisogno di effetti speciali per convincere, perché parlano la lingua dell’autenticità. Non siamo di fronte a un sogno da inseguire, ma a una realtà già pronta, solo da organizzare meglio. Da raccontare meglio. Da credere di più. È tempo di smettere di vendere pezzi di costa come se fossero oggetti separati. Di uscire da una logica di “campanile” che ci ha portato a restare sempre un passo indietro. Di costruire, finalmente, un’identità condivisa, un’idea di Golfo che non sia solo una coordinata geografica, ma un progetto collettivo. La cultura può fare da traino, come già accade con eventi come Marateale, rassegna nazionale dedicata al cinema che ogni anno porta a Maratea attori, registi, autori. Un’opportunità straordinaria per mettere il territorio sotto i riflettori. Ma non basta un evento, se attorno non si muove tutto il resto. Se non si crea una narrazione coerente, una regia unica, una direzione di marcia. Bisogna imparare dalla Costa Smeralda, dove non si promuove solo Porto Rotondo ma tutta la litoranea; o dalla Costa Azzurra, dove Cannes non è mai un corpo isolato, ma parte di una costellazione armonica. Da noi, invece, si stenta ancora a pensare in termini di rete. La sinergia resta una parola abusata ma raramente praticata. Eppure è lì la chiave. Nella capacità di fare sistema, di coordinare, di condividere obiettivi, promozione, servizi.
Non possiamo più accontentarci delle frasi fatte: “qui abbiamo tutto”, “il mare è bellissimo”, “manca solo la promozione”. Sono decenni che lo diciamo. Adesso serve il salto di qualità. E il salto non può avvenire senza una nuova mentalità collettiva. Una mentalità che sappia vedere oltre il proprio ombrellone, oltre la propria sagra di paese, oltre l’evento annuale che fa numero e non lascia traccia.
Serve una visione. Ma soprattutto serve coraggio. Il coraggio di mettere da parte rivalità inutili, l’orgoglio fine a sé stesso, il “prima noi e poi gli altri”. Serve il coraggio di aprire i confini invisibili che separano ogni comune costiero da quello vicino, il coraggio di immaginare un piano comune. Perché se non lo facciamo adesso, quando?
C’è una generazione che guarda altrove, che si sposta, che viaggia, che sa distinguere la differenza tra un luogo che funziona e uno che si regge sull’improvvisazione. E oggi questa generazione guarda al Golfo con occhi sospettosi: “Bello, ma disorganizzato”, “splendido, ma difficile da raggiungere”, “autentico, ma poco valorizzato”. Non possiamo permetterci di lasciare che il fascino del Golfo venga sempre raccontato con un “ma”. E allora torniamo all’essenziale. Cos’è il Golfo di Policastro, oggi? È una promessa non mantenuta. È un’opportunità lasciata a metà. È un’idea che tutti amano, ma che nessuno ha il coraggio di completare.
E cosa potrebbe diventare, invece? Potrebbe diventare un modello. Un laboratorio di turismo sostenibile e integrato. Un esempio di come territori diversi, con dialetti, storie e culture proprie, possano mettersi in rete e costruire qualcosa di grande. Un luogo dove il viaggiatore arrivi e trovi tutto: il mare, il silenzio, la cultura, la festa, la lentezza, la qualità. E non serve aspettare la manna dal cielo. Le forze ci sono: imprenditori coraggiosi, amministratori illuminati, giovani professionisti, artisti, cittadini che non si arrendono. Serve solo un coordinamento, una spinta. Un primo passo deciso. Magari proprio da chi legge questo articolo. Perché il cambiamento inizia così: con una domanda semplice, ma necessaria. “Perché no?”
Perché non investire nella rete tra i comuni? Perché non creare un Distretto del Golfo che unisca cultura, turismo, ambiente ed economia in un unico piano strategico? Perché non chiamare esperti di marketing territoriale, urbanisti, architetti del paesaggio per ripensare la costa in chiave moderna ma radicata? Perché non rendere la ferrovia tirrenica una dorsale turistica intelligente, con fermate valorizzate, servizi integrati, info point unificati?
Il turismo non è solo vacanza. È economia, è dignità del lavoro, è ritorno dei giovani, è rinascita dei borghi, è tutela del paesaggio, è orgoglio locale. E il Golfo può essere tutto questo. Ma deve crederci. Deve volerlo. Perché in fondo, questa costa, da Punta degli Infreschi a Praia a Mare, è come un’orchestra disposta sul palco, con strumenti unici, suoni irripetibili. Ma finché ognuno suona per conto proprio, la musica non parte. Serve un direttore. O almeno, serve una partitura comune.
E allora, questo mio scrivere non è solo un racconto. È un invito. A chi governa, a chi opera, a chi sogna. A chi ha vissuto tutta la vita in questi luoghi e a chi li ha scoperti per caso. Fermiamoci un attimo. Guardiamo la costa con occhi nuovi. E poi agiamo. Non domani. Ora.
Il Golfo di Policastro non è solo un luogo: è una possibilità. Non lasciamola andare.