Ἐλέα. Quando verrà il passato: i versi di Bruno Di Pietro tra aurora, tempo e natura

Nel nuovo libro del poeta ulteriore rimando alla ciclicità ‘fisica’ dell'esistente ma pure ingresso verso il nuovo, ciò che è ancora sconosciuto

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S’apre con una dedica a Francesco Forte – editore di Oedipus, etichetta che ha purtroppo smesso le pubblicazioni con la morte di Forte nel 2021 – l’ultimo libro di Bruno Di Pietro,λέα. Quando verrà il passato. “A Francesco Forte, che per vent’anni ha sopportato la mia scrittura”: epigrafe di pochi righi e non di circostanza ma utile per due considerazioni preliminari. Innanzitutto, la lunga ‘fedeltà’ – nel segno dell’amicizia – del poeta Di Pietro con il suo precedente editore (e andrebbe ricordato che è lo stesso Di Pietro è stato editore, nella breve esperienza delle Edizioni d’If con Antonietta Caridei e Gabriele Frasca). Amicizia fedele – segnata però anche da accesi confronti con Forte su questioni di letteratura e di poesia – che testimonia un rapporto diverso (oggi, forse, perduto o poco praticato nel frenetico mondo del publishing), molto più umano ed emotivamente partecipato, tra chi scriveva e chi si preoccupava di dare forma di libro a quelle parole. Non è perciò sbagliato pensare che questo nuova silloge di Di Pietro – edita nella bella veste grafica della collana “icone” di Les Flaneurs Edizioni – possa essere idealmente collocata sullo scaffale che ospita le precedenti raccolte del poeta napoletano: in successione temporale, Colpa del mare (2002, e poi Colpa del mare e altri poemetti, 2018); Impero (2017); Baie (2019); Frammenti del risveglio (2021). Cinque volumi stampati per la sigla editoriale di Oedipus a cui si aggiunge, adesso, λέα, che è pure simbolico suggello alla fine di un ciclo, tematico e stilistico. Ha ragione, infatti, Daniele Ventre – nel saggio-postfazione – quando rileva nei versi di questa raccolta, lo “sviluppo estremo della poesia di Bruno Di Pietro”. Succede, infatti, per la forma, nella sua peculiare (ed ermetica, alla prima maniera degli amati Gatto e Sinisgalli) misura breve: “Arrivati in cima/incontrammo/ l’infanzia della terra./ Ci dissetammo/ ai serbatoi di acqua/ della luna”. Succede nuovamente nella doppia direttrice tematica – la storia antica (greca in questo caso) e la filosofia (Parmenide è il protagonista e, accanto a lui, Zenone) – che si dipana (nello scenario di tempo e azione già approntato per le sue precedenti raccolte) attraverso tre sezioni: ώς/aurora; χρόνος /tempo; φύσις/natura: “Torniamo a casa, Zenone./ Lasciamo l’ombra dei castagni/ riparo alla calura estiva./ È già scuro. Le lucciole/ faranno a gara con le stelle/ nella notte illune./ Noi siamo creature delle foglie/ degli alberi, dei fiori/ e di un esercito di api laboriose./ Gli occhi contano quanto mi resta./ Toccherà a te dirlo agli ateniesi:/ la stessa cosa sono l’essere e il respiro”. Chiude la raccolta la poesia intitolata “incipit”: ulteriore rimando alla ciclicità ‘fisica’ della natura (e ritornano i filosofi naturalisti greci) ma pure ingresso – “Porta” come recita il testo – verso il nuovo, ciò che è ancora sconosciuto, sotto lo sguardo benevolo di quel “passato” che ritornerà: “Ornava la spiaggia/ da cui si scorgeva l’acropoli di Elea/ il giglio di mare./ Aveva affrontato libeccio e maestrale/ senza impallidire. Allora noi bambini/ si andava per canneti/ a fare capanne improvvisate/ e cerbottane/ mangiavamo la sorba spontanea/ e una radice dal sapore di liquirizia./ Era il tempo che la Porta/ usciva dalla terra/ Parmenide ci osservava paterno”.

 

Bruno Di Pietro, λέα. Quando verrà il passato, con un saggio di Daniele Ventre, Reggio Calabria, Les Flaneurs Edizioni, 2024

 

 

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