Viaggio nel mondo dei sapori con Rea

La descrizione delle vivande è lo spunto per raccontare le tante anime della napoletanità

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Con “Un’epopea in cucina” comincia il lungo – e gustosissimo – viaggio nel mondo dei ‘sapori’ di Domenico Rea. Venticinque le ‘portate’ selezionate, per riscoprire il “mangiare” attraverso ricette e tradizioni culinarie della Campania raccontate da Don Mimì nei suoi libri e nei suoi scritti giornalistici.

Come una “una polpa” – per usare le parole di Matteo Marchesini – bisogna immaginarlo il cibo nella scrittura reana. È così che si ricreano i “parfumi” e i “liquami” mescidati – in un tempo senza tempo e in uno spazio senza spazio – nei bassi di Nofi e in quelli del “ventre” napoletano. È così che compaiono tutti quelli che lavorano e trasformano i prodotti della terra, poi trasportati dai “paesoni agricoli” nelle industrie alimentari a mezza via tra Salerno a Napoli.

La descrizione delle vivande è, quasi sempre, pretestuosa perché offre allo scrittore – proprio per il tramite del cibo – la possibilità di rappresentare le tante, variegate espressioni della ‘napoletanità’. E soprattutto perché – è proprio Rea a chiarirlo – “niente è stato inventato dai napoletani; niente è stato inventato all’origine; ma in seguito sono stati i napoletani a dare quella forma conosciuta come “napoletana”. Assolutamente ‘napoletana’ – per genesi alimentare e per “estroversione barocca” – è la lasagna, l’unico piatto nel cui fondo si “può leggere con chiarezza il carnevale napoletano; un evento in cui si concentra lo spirito di un popolo che si dà un premio per l’antica e immarcescibile fame subita nei secoli”.

La descrizione di questo “edificio” fatto di pasta, sugo, mozzarella e polpette sembra ricreare la felice sintesi – di “lessico variopinto, rapidità sintattica e visione barocca” – peculiare dello stile di Domenico Rea. Però chiarendo, come a ragione fa Giuseppe Montesano – che il suo “barocco” non sia da ricercare nella scrittura, “costruita su una sintassi in fondo classica, insaporita da un gusto per parole pescate un po’ come una massaia prende dalla spasella il cefalo vivo vivo o la vongola più pesante, più grossa, con più corpo, no: barocco era lui stesso. Era lui che vedeva il mondo in carnali emblemi allegorici”.

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Un’epopea in cucina, la lasagna

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