“Mentre un uomo sta facendo il suo lavoro, una donna lo ha già finito, e sta facendo tutto il resto.” (Matilde Serao)
Matilde Serao e Eduardo Scarfoglio. Lei grossa, sgraziata, tozza, dal gran vocione e la risata fragorosa. Lui bello, arguto, vivace. Di quattro anni più giovane. Ebbero una relazione che scandalizzò la Roma bene.
«Questa donna tanto convenzionale e pettegola e falsa tra la gente e tanto semplice, tanto affettuosa, tanto schietta nell’intimità, tanto vanitosa con gli altri e tanto umile meco, tanto brutta nella vita comune e tanto bella nei momenti dell’amore, tanto incorreggibile e arruffona e tanto docile agli insegnamenti, mi piace troppo, troppo, troppo» – scrisse di lei Eduardo all’amica Olga.
E poi il 28 febbraio 1885 la sposò, nella sala rossa del Campidoglio, comunicandolo ad amici e conoscenti tramite una partecipazione scritta a mano. «Avvisiamo gli amici che ci siamo sposati oggi», con le due firme e la data. Sul quotidiano La tribuna, la cronaca del matrimonio stilata, sotto il titolo di Nuptialia, da Gabriele D’Annunzio: «…la sposa, vestita d’un elegantissimo abito grigio, teneva tra le mani un mazzo di rose e sorrideva assiduamente, comunicando a tutti li amici quella giovialità cordiale che è una delle sue più belle e resistenti virtù di donna».
Gli sposi andarono a vivere a palazzo Ciccarelli in Via Monte di Dio e ben presto ebbero quattro figli maschi. Entrambi scrittori, ma per passione e spirito di servizio ancor prima giornalisti, insieme fondarono nella capitale il Corriere di Roma e poi a Napoli il Corriere di Napoli; successivamente, nel 1892, Il Mattino.
Le gravidanze e la crescita dei figli non arrestarono l’attività lavorativa di Matilde, che produsse molti libri e novelle. Dai suoi scritti trapelava una grande curiosità esistenziale, sia nei confronti del popolo che degli ambienti mondani. Si interessava di cibo e di sport, avvenimenti, costume. Insomma, fu una vera testimone del suo tempo. Pubblicò tra l’altro molti articoli su una rivista di emancipazione femminile dal titolo Giornale delle donne, e in seguito al suicidio della maestra Italia Donati (che per disperazione si buttò dal campanile della chiesa), sul Corriere di Roma il saggio Come muoiono le maestre, importante contributo di denuncia sulle misere condizioni lavorative delle maestre elementari. Benedetto Croce la definì la «scrittrice del giornalismo».
Matilde Serao fu femminista senza dichiararsi femminista, aggettivo che non sopportava. Il suo primo impiego di telegrafista, le fece conoscere la dura realtà del mondo lavorativo. Ore e ore di lavoro infagottate in grembiuli neri, senza mai poter fare colazione o pranzare, né sperare in un avvenire migliore, giacché potevano essere allontanate in qualsiasi momento. Incisivi i suoi scritti che descrivono l’infelicità femminile delle lavoratrici di un tempo, facilmente licenziate se si sposavano o avevano figli, e per essere assunte nella pubblica amministrazione dovevano avere come garante il marito o il padre o un parente lì impiegato. Col marito non ebbero solo una unione sentimentale, ma un forte sodalizio professionale, che durò molto tempo.
Matilde era nata a Patrasso, in Grecia, da un avvocato napoletano costretto all’esilio perché anti-borbonico, e una nobile greca decaduta. Poco prima dell’uscita di Francesco II dal trono, nel 1860 (Matilde aveva allora 5 anni), la famiglia si trasferì in Italia andando a vivere in un paesino in provincia di Caserta, Ventaroli: «Ventaroli è anche meno di un villaggio né voi lo troverete nella carta geografica: è un piccolo borgo nella collina più vicino a Sparanise che a Gaeta. Vi sono duecentocinquantasei anime, tre case di signori, una chiesa tutta bianca ed un cimitero tutto verde; vi è un gobbo idiota, una vecchia pazza e un eremita in una cappellaccia».
Matilde respirò fin da piccola
l’aria di una redazione giornalistica
In Grecia il padre faceva l’insegnante d’italiano, invece quando tornarono in Italia cominciò a lavorare come giornalista su una rivista chiamata Il pungolo, in tale modo Matilde respirò sin da piccola l’aria della redazione di un giornale. Eppure a otto anni ancora non sapeva leggere né scrivere. La famiglia si trovava in una situazione economica incresciosa e la mamma era seriamente malata, quindi imparò in ritardo. A 18 anni conseguì il diploma magistrale e per aiutare i suoi accettò un impiego di telegrafista, che svolse per tre anni, ma la sua vocazione letteraria era forte e presto cominciò, nonostante le tante ore dedicate al lavoro, a scrivere novelle, che pubblicava con lo pseudonimo di Tuffolina. A 23 anni diventò amica intima di Eleonora Duse, attrice già famosa, e la supportò durante la gravidanza frutto di una irrequieta relazione sentimentale, che portò alla nascita di un neonato morto. Ventiseienne tentò il grande salto: lasciò Napoli per trasferirsi nella capitale, dove collaborò per 5 anni col giornale Capitan Fracassa. Sotto lo pseudonimo di Ciquita pubblicava articoli sia di critica letteraria che di cronaca rosa. Diede alle stampe il romanzo Fantasia, aspramente recensito da Eduardo Scarfoglio, che la definì una scrittrice come “una minestra fatta di tutti gli avanzi di un banchetto copioso”, ma lei non se la prese. Pur consapevole di non avere studiato abbastanza e delle imperfezioni del suo stile, ebbe a dichiarare: «Vi confesso che se per un caso imparassi a farlo, non lo farei. Io credo, con la vivacità di quel linguaggio incerto e di quello stile rotto, d’infondere nelle opere mie il calore, e il calore non solo vivifica i corpi, ma li preserva da ogni corruzione del tempo». Proprio nella redazione del giornale satirico Capitan Fracassa, si conobbero Matilde e Eduardo. Pur così diversi, da subito ci fu tra i due una grande attrazione. Anche lui aveva il giornalismo nel sangue e cominciò molto presto a scrivere articoli, che pubblicava sotto lo pseudonimo di Papavero. La redazione del giornale era un cenacolo culturale. Lì Eduardo conobbe tra gli altri il giovane Gabriele D’Annunzio,che lo chiamava Ulisse per via della sua passione per i viaggi e che contribuì alla sua formazione. Sognava da tempo di fondare un giornale, e realizzò il suo sogno insieme a Matilde. Il Corriere di Roma, per la concorrenza del più forte La tribuna, non decollò. Non solo, ma si indebitò. I due non sapevano come fare, ma saltarono il fosso grazie all’amicizia con il banchiere livornese Matteo Schilizzi, che li indusse a ritornare a Napoli. Lì costui si accollò i debiti e chiuse il giornale in deficit, dopo averlo momentaneamente fuso col Corriere di Napoli, su cui scrivevano firme prestigiose come quelle di Gabriele D’Annunzio, Giosuè Carducci, Salvatore Di Giacomo.
Il rapporto con Scarfoglio
fu anche burrascoso
Nel 1891 i due coniugi vendettero le loro quote del Corriere e con il ricavato fondarono Il Mattino. Ma la loro gioia non durò a lungo. Erano trascorsi sette anni di matrimonio; in seguito a un viaggio in val D’Aosta di Matilde, partita dopo un litigio col marito, in assenza della donna, Eduardo, già uso alle avventure extraconiugali, intraprese una relazione con la cantante francese Gabrielle Bessard, incontrata a Roma in un café chantant. Costei dopo due anni (nel frattempo Eduardo l’aveva lasciata), partorì una bimba che portò a casa Scarfoglio. Bussò alla porta, consegnò la neonata nelle mani della governante che aveva aperto, e si sparò un colpo di pistola sul pianerottolo, lasciando a Eduardo uno scritto che diceva: «Perdonami se vengo a uccidermi sulla tua porta come un cane fedele. Ti amo sempre». Trasportata all’ospedale degli Incurabili, morì dopo qualche giorno. Matilde, intenerita dalla bimba, l’accettò e decise di farla crescere con loro. Le diede il nome di Paolina, come sua madre. L’autorevolezza dei due coniugi fece sì che i giornali non menzionassero la cosa, ma dopo qualche tempo per vendetta di Schilizzi trapelò lo stesso e ci fu uno scandalo. Nonostante Matilde avesse perdonato il marito, la crisi apertasi tra i due non si risolse e i coniugi finirono col lasciarsi, interrompendo anche la collaborazione professionale. Riguardo al suicidio di Gabrielle, Eduardo affermò di non provare alcun rimorso per la tragedia, ma solo un acuto dolore.
In seguito a un’inchiesta del senatore Saredo su Napoli, Eduardo, e anche Matilde, furono accusati di corruzione. Avrebbero intascato soldi per mantenere il Mattino e soprattutto perché lui si giovasse di un tenore di vita superiore alle sue possibilità. Scarfoglio difese strenuamente se stesso ed anche Matilde. Arrivò persino a pubblicare entrate, uscite, redditi suoi e di sua moglie ed anche entrate e uscite del Mattino. Sta di fatto che nel giro di pochi mesi non si vide più sul Mattino la firma di Matilde, e nemmeno quella di Gibus (cappello a cilindro che si chiude a scatto), lo pseudonimo che più usava.
Portò avanti i suoi Mosconi
per oltre 41 anni su varie testate
La scrittrice, prima redattrice donna italiana, cominciò tutto daccapo, all’inizio con difficoltà e poi con crescente successo, quando iniziò a tenere sul giornale La settimana una rubrica dal titolo Api, mosconi e vespe, rubrica che portò avanti, su testate diverse, per ben 41 anni. La rubrica prese il nome di Mosconi e fu tenuta prima sul Mattino e poi sull’ultimo giornale da lei fondato: Il giorno. Giornale costituito insieme al suo secondo compagno, anche lui giornalista, Giuseppe Natale, al quale diede una figlia femmina, che vollero chiamare Eleonora in omaggio alla Duse. Ora Eduardo dal Mattino e Matilde da Il giorno, erano concorrenti e Matilde, meno polemica e più pacata, faceva la sua ottima figura. Poi gli uomini della sua vita morirono entrambi, Eduardo a 57 anni e Giuseppe a 56 e Matilde restò sola, continuando però sempre con la stessa energia il mestiere di scrittrice e giornalista.
Il ventre di Napoli è considerato
tra i suoi migliori lavori
In un giorno come gli altri un infarto la colse alla sua scrivania, morendo all’età di 71 anni. Fu seppellita nella cappella di famiglia nel cimitero di Poggioreale. L’anno prima, 1926, era stata candidata al Premio Nobel per la letteratura, per il quale non fu giudicata adatta viste le sue posizioni contro il fascismo. Il premio fu altresì attribuito a Grazia Deledda. Fu candidata al Nobel perché la Serao, aderente al verismo meridionale, aveva al suo attivo 40 volumi tra romanzi e novelle. Tra i suoi migliori lavori, Il ventre di Napoli, testimone della sua profonda capacità di penetrare psiche e sentimenti, singoli e collettivi, del popolo napoletano. Per sottrarla all’oblio che ormai sembra avvolgerla, l’Università Parthenope di Napoli nel gennaio 2023 ha intitolato a suo nome l’Aula Magna.