Oltre la cronaca, con Luciana Libero la passione civile in campo

Si presenta mercoledì 17 aprile alle 18.00 presso la Libreria Imagine’s book di Salerno, “Oltre la cronaca. Il blog di Salerno. Tre anni di pensiero critico” pubblicazione della giornalista salernitana, edita da Gutenberg Edizioni. Alla presentazione intervengono i giornalisti Massimiliano Amato e Andrea Manzi, introduce Carmine Vitale, direttore editoriale della casa editrice di Baronissi. Il piccolo volume, con la prefazione di Manzi, è una raccolta di articoli pubblicati tra il 2013 e il 2016 sul blog "Oltre la cronaca" de "La città" di Salerno, allora quotidiano del gruppo Repubblica-Espresso

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Si presenta mercoledì 17 aprile alle 18.00 alla Libreria Imagine’s book di Salerno, “Oltre la cronaca Il blog di Salerno Tre anni di pensiero critico” pubblicazione di Luciana Libero edita da Gutenberg Edizioni. Alla presentazione intervengono i giornalisti Massimiliano Amato e Andrea Manzi, introduce Carmine Vitale, direttore editoriale della casa editrice di Baronissi. Il piccolo volume, con la prefazione di Manzi, è una raccolta di articoli pubblicati tra il 2013 e il 2016 sul Blog Oltre la cronaca di La città di Salerno, allora giornale del gruppo Repubblica Espresso diretto da Angelo Di Marino. La selezione è la testimonianza di una giornalista rientrata nella propria città dopo decenni di lavoro in Italia in quotidiani nazionali e con attività di organizzatore della cultura e di festival sul teatro.  Soprattutto è il tentativo di una narrazione altra della citta di Salerno vista e raccontata con l’esercizio della critica. Una critica che tocca principalmente il teatro, con recensioni dei migliori spettacoli presentati in quegli anni a Salerno, con opere di Servillo, Martone, Del Bono e altri, e anche la riflessione sulla proposta generale di teatro nel salernitano e in Campania. Uno sguardo molto attento è dedicato all’utilizzo delle risorse per la cultura e agli eventi del territorio, come i Festival di Giffoni e Ravello, il Festival del teatro napoletano e in generale sulla politica culturale in Campania, spesso determinata dalla politica e con un divario sempre ampio tra Napoli e la regione. La cultura viene analizzata anche sul versante dei linguaggi con lo sguardo su alcune fiction come “Gomorra” o “Il sindaco pescatore” su Angelo Vassallo. Non mancano interviste a personaggi illustri come Maurizio di Giovanni, lo scrittore “che sussurrava ai morti”, o Antonio D’Avossa, curatore di mostre di internazionali. Infine e non ultima la politica, immancabile nel “ritorno al sud” e nella riscoperta di una città lasciata negli anni ’80 con le battaglie della sinistra contro il potere democristiano e ritrovata governata dal centro sinistra succuba di una propaganda insidiosa che la paragonava alle migliori capitali europee. In alcuni articoli appare una Salerno come Ukbar, la città immaginaria di Borges, o “Il mondo di Suzie Wong”, un paese dei balocchi totalmente avulso dalla realtà. Una sequenza, denunciata nel volume, di occasioni perdute, dalla stagione dei sindaci come De Luca e Bassolino, al Movimento 5 Stelle che si astiene nelle elezioni amministrative del 2016. Il libro si chiude con la vittoria del NO al referendum del 2016, un segnale positivo di partecipazione democratica. La presentazione del libro è quindi l’occasione di discutere dei tanti temi che hanno attraversato Salerno in questi anni, con la testimonianza di un giornalismo critico impegnato a svelare le contraddizioni del potere. Il volume si deve principalmente all’impegno della Casa editrice Gutenberg, una casa editrice giovane che ha all’attivo importanti pubblicazione culturali in collaborazione con il FRAC di Baronissi e l’Università di Fisciano.

Qui di seguito due scritti di Luciana Libero, tratti dal libro.


Dopo la battaglia, il grido di dolore di Pippo Delbono 

(3 novembre 2013)

Pippo Delbono, la grande rivoluzione del teatro con la sua scena-cantiere

Nel buio bisbigli, porte che sbattono. Poi la scena si apre, assolata, su una compagnia quasi circense, vestita di rosso, bianco e nero, ferma sulla parete grigia, immobile come per una foto di gruppo. In essa varie figure: il grasso, la ballerina, il violinista, i cantanti, il cigno bianco, il cigno nero. Da una delle porte esce un uomo anziano zoppicante che si porta in proscenio. Fuori campo, la voce del regista con un microfono alla consolle, sussurra e grida parole di scrittori e poeti, a volte porgendoci brani comprensibili, a volte offrendo puro suono, insinuandosi nella partitura musicale dello spettacolo e organizzandone, come un direttore d’orchestra, ritmi e toni, bassi e acuti, ora ballata triste, ora melodramma. “Dopo la battaglia” di Pippo del Bono, per soli due giorni al Teatro Verdi di Salerno, fa pensare ad alcuni grandi maestri, a Kantor e alle sue classi morte; a Leo de Berardinis e alle “scalognate” compagnie; a Pina Baush di “Caffè Muller”. Il teatro di Delbono, diretto discendente di queste grandi drammaturgie sceniche, fa riemergere la memoria perduta di un teatro del Novecento dove un’arte pura ed essenziale della rappresentazione si fonde con la violenta bandiera di passione civile. Scorrono infatti sulla parete grigia immagini del nostro presente; i carcerati, gli immigrati, i matti, come Bobò rinchiuso 45 anni nel manicomio di Aversa e diventato lo spirito guida di tanti spettacoli di Del Bono. Scorrono insomma lo spirito del tempo, la tragedia di una nazione come la nostra con clown che imboniscono le folle, l’immagine di Bruno Vespa in cornice, sindaci che presentano eventi, inquietanti personaggi disneyani. Sono i resti umani della “serva Italia, del dolore ostello”, ballerina di carne e fango che si agita sullo scenario di guerra di Delbono; una guerra di soli vinti, un malinconico circo equestre, con i suoi serragli, le musichette d’antan, le maschere di Minnie e Paperino, le figurine chapliniane che danzano sulle pareti. L’artista canta il suo dolore e la solitudine del mondo, in compagnia di altri matti, Artaud, Merini, Kafka, Pasolini, Rilke che come lui si sono fatti carico del dolore e hanno trovato le parole per dirlo. Uno spettacolo di rara bellezza che prende il cuore e lo getta sul campo di battaglia del palcoscenico. Molti applausi. Con Delbono, Marigia Maggiopinto, danzatrice di Baush, Dolly Albertin, Gianluca Ballarò, Bobò, Chris Clad, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Jiulia Morawietz, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Grazia Spinella; al violino Balanescu. Una produzione Compagnia Pippo Delbono Emilia Romagna Teatro Fondazione Teatro di Roma Théâtre du Rond Point- Parigi Théâtre de la Place Liegi. Premio UBU 2011. Delbono sarà lunedì 4 all’Università di Salerno.

 

Salerno come Ukbar, la città inventata di Borges

(23 aprile 2016)

Il Guggenheim Museum di Bilbao con Puppy, il cane di fiori opera di Jeff Koons

Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Dopo la metamorfosi del personaggio creato da Crozza – una sorta di dottor Stranamore che ha inventato tutto lui – ci aspettavamo che nei panni più sobri di governatore ci venissero risparmiati i paragoni strabilianti e stratosferici a cui Vincenzo De Luca ha abituato i salernitani per vent’anni. E invece no, dopo il “miracolo” di una Cittadella giudiziaria che si inaugura a distanza di tredici anni e non ancora funzionante, ora il paragone è con Bilbao che è solo l’ultima città europea a cui è stata comparata Salerno, insieme a Barcellona ed Edimburgo. È interessante infatti ricostruire questo repertorio di iperboli, costruite di volta in volta a seconda delle inaugurazioni. Ne viene fuori una geografia fantastica simile a quei mirabolanti testi di Borges, dove realtà, finzione e immaginario si confondono. Come nel racconto “Tlön, Uqbar, Orbis Tertius” dove si cerca di risolvere il mistero di un luogo e in una lunga ricerca si trova la voce di un’enciclopedia nella quale si parla del paese di Ukbar, un paese che non esiste ma le cui vicende sono state così diffuse dalla stampa da diventare vere. Certo De Luca non ha l’inventiva letteraria di Borges e siamo in una dimensione più prosaica ma anche Salerno alla fine è diventata la nostra Ukbar, tanto da non essere più sicuri dell’esistenza stessa della città, se sia Salerno o Bilbao o se noi pensiamo di stare a Edimburgo. Infatti, come si può definire seriamente “miracolo italiano” un’opera costata un botto di milioni e non ancora completata dopo tredici anni? Ma soprattutto cosa c’entra Bilbao con la cittadella giudiziaria di David Chipperfield? Pare che il riferimento sia dovuto al Museo Guggenheim che porta una “imponente mole di turismo” come noi abbiamo una “imponente mole” di opere (incompiute). Passando dalla fiction alla realtà, il Guggenheim di Bilbao è un museo di arte contemporanea situato in un edificio progettato dall’architetto canadese Frank O. Gehry, una meraviglia di architettura come l’altro strabiliante State Center for computer studies di Boston: forme rotonde e ardite che spiazzano la razionalità, spezzano linee e simmetria, di quella che viene considerata una “non architettura” decostruttivista nella quale è il caos l’elemento dominante. Esattamente il contrario dell’intervento architettonico di Chiepperfield, opera alquanto pesante che complica ulteriormente la selva di palazzi circostante. Ma è anche evidente che la “mole di turismo” che si reca a Bilbao va a vedere, oltre ad una città molto stimolante, anche quello che c’è dentro il Guggenheim e riesce un po’ arduo pensare a frotte di visitatori in giro estasiati per le stanze del Tribunale. Il paragone non sta né in cielo né in terra, lì a Bilbao ci sono opere dell’arte contemporanea mondiale di cui a Salerno non c’è nemmeno l’ombra visto che in nessuna di queste “grandi opere” si è mai pensato di fare un contenitore museale, semmai molto poco artistiche lottizzazioni. Così come non basta inaugurare un piccolo teatrino di cento (100!) posti – tra l’altro chiuso e inagibile come il Ghirelli per citare Edimburgo, una città modello culturale costruito in decenni di lavoro, un vero sistema integrato tra turismo, cultura ed economia, dove i Festival sono l’anima creativa ed economica con ogni anno milioni di turisti (veri) che creano indotto e migliaia di posti di lavoro. Così balza agli occhi anche il paragone con Barcellona e il suo Porto Olimpico a proposito di Piazza della Libertà, pure questa opera controversa e tuttora in itinere, al momento molto lontana dalla elegante darsena piena di ristoranti e locali di Barcelloneta. Un progetto tra l’altro che reca anche la firma di Bohigas, autore di quel piano regolatore del tutto disatteso per Salerno, oggetto di innumerevoli varianti che ne hanno stravolto ogni senso. Insomma questi paragoni, un po’ lasciano il tempo che trovano ma un po’, vista la pervicace insistenza, fanno sorgere qualche dubbio sulle reali conoscenze “turistiche” del nostro Borges salernitano. E se avesse ragione per una volta il suo consulente Maffettone il quale, stizzito per il mancato arrivo di Al Pacino, si è fatto scappare la frase “certo, per uno che non è mai uscito da Salerno…”? Vuoi vedere che il nostro caro ex sindaco attuale governatore, a Edimburgo e a Barcellona, e pure a Bilbao, non c’è mai stato? Se fosse così, allora sarà il caso di mandarcelo, anche tassandoci, può darsi che dopo un giro per il Guggenheim la smetta di prendere in giro i salernitani.

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