NPC, la “lingua” dei personaggi non giocanti

La comunicazione utente-creator risulta essere passiva e vincolata all’unica dimensione fittizia del personaggio. Gli utenti vengono ridotti a marionette che all’apertura del sipario mediatico si lasciano pilotare dai propri spettatori. Il fenomeno NPC, pertanto, esplicita ed esaspera una tendenza già radicata da tempo nelle dinamiche dei social che è, appunto, la strategia del controllo. Il fenomeno NPC è stato rivisitato dalla napoletana Giuliana Florio, che fa leva sull’immaginario collettivo nazional popolare

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La nascente tendenza dell’NPC rende tangibile ed evidente una tendenza già radicata da anni nel panorama dei social: il fenomeno del controllo.

L’acronimo NPC – non-player character– fa riferimento all’ambito dei videogame in cui personaggi secondari appaiono inerti e passivi e non possono essere controllati in maniera diretta dal giocatore poiché rispondono unicamente a determinati input prestabiliti. Dunque, i “personaggi non giocanti” si muovono, interagiscono e comunicano rispondendo ad uno o più stimoli esterni mediante la ripetizione di frasi o movimenti che risultano macchinosi e sconnessi e si ripetono in un loop potenzialmente infinito.
Tali personaggi secondari servono a dare l’idea che il mondo virtuale in cui il protagonista si muove sia popolato di tante persone utili a costituire uno sviluppo di trama mediante il loro ruolo di amici, conoscenti, nemici o aiutanti. In particolar modo le figure degli NPC risultano predominanti nei videogame in cui la storia si sviluppa sull’interattività ontologica del giocatore, dunque, in virtù di decisioni e interazioni dell’utente che modificano il corso degli eventi.

Il potenziale della trasposizione dei personaggi non giocanti dal mondo virtuale al mondo reale è stato colto da numerose streamer in tutto il mondo, dalla giapponese Natuecoco, alla creator Canadese Pinkydoll con cui il fenomeno NPC ha riscosso un successo mondiale.

Ma come si conciliano i videogame con il mondo reale?

La piattaforma cinese TikTok, che dal 2021 ha spodestato il primato di Instagram in termini di affluenza di utenti e di valore (TikTok è stato valutato 65,7 miliardi di dollari mentre Instagram è attualmente ferma a 33,38 miliardi di dollari) si presta particolarmente bene a questa tipologia di performance grazie alla possibilità di effettuare piccole – o grandi – donazioni sottoforma di “regali” durante le live.

I regali – oggetti virtuali che vengono inviati ai creator per mostrare il proprio apprezzamento – nel panorama NPC diventano la modalità mediante la quale inviare input ai personaggi. Sono presenti circa 150 regali – o sticker – il cui prezzo varia da 1-10 monete, per quanto concerne i regali economici, fino ad arrivare ad un massimo 20.000 monete di TikTok.

Il fenomeno NPC attribuisce ad ogni sticker una precisa reazione. Si tratta, generalmente, di frasi sconnesse e prive di un significato apparente come nel caso della creator Canadese Pinkydoll le cui reaction più conosciute sono “Yes Yes Yes” “Gang Gang Gang” o “Ice cream so good!”.

A colpire particolarmente è l’abilità degli streamer di NPC di rispondere agli input inviati dagli utenti TikTok in modo rapido e lucido. Si tratta di una tipologia di performance a tutti gli effetti che richiede massima concentrazione e riflessi veloci per poter attribuire ad ogni regalo una specifica e costante reazione accompagnati da un’ abile macchinosità nei movimenti.
Il fenomeno social sviluppatosi principalmente oltreoceano raggiunge l’Italia con Giuliana Florio, tiktoker ventottenne napoletana già attiva sulla piattaforma – senza enormi riscontri in termini di visibilità –da diverso tempo.
Il potenziale del fenomeno NPC è stato colto dalla tiktoker partenopea reiventando le reaction sul personale background socioculturale, attingendo, dunque, al pittoresco napoletano come nel caso della celebre reazione “ O’ core sacro e’ San Gennaro” . In questo modo il fenomeno NPC rivisitato da Giuliana Florio fa leva sull’immaginario collettivo nazional popolare.

La riformulazione dell’NPC in una dimensione partenopea, oltre che da un bagaglio esperienziale personale della tiktoker, da un punto di vista sociologico si plasma sulla necessità di attribuire fin da subito una connotazione puramente italiana ad un fenomeno mondiale. Il dialetto napoletano – considerato da studiosi del settore e linguisti la seconda lingua più parlata in Italia e riconosciuta dall’Unesco come un idioma autonomo – nello sviluppo della storia delle arti audiovisive ha occupato un ruolo cruciale: dapprima osteggiato, successivamente in virtù di un intensificarsi dello stereotipo napoletano ha assunto una connotazione iconica e facilmente riconducibile al patrimonio culturale italiano nel mondo.

Non è un caso che dal 2021 ad oggi l’hashtag Napoli sia stato utilizzato 4 miliardi di volte sulla piattaforma cinese, il doppio di Roma. Una trasposizione in chiave moderna della famosa “arte di arrangiarsi” che ha reso la piattaforma congeniale all’estro e all’inventiva napoletana.

Ad oggi Giuliana Florio conta 382mila follower e le sue performance NPC sono a tutte gli effetti una nuova branca del lavoro online, un’arte performativa redditizia che in quanto tale mostra una bipartizione in termini di affezione dell’utente: chi la ama e chi la odia, gli haters. Nonostante le numerose critiche legate alle live NPC che denunciano la mancanza contenutistica delle performance online, l’attenzione mediatica ha resto un semplice trend un vero e proprio fenomeno social.
Ma come si è passati dal trend al fenomeno mediatico?
A partire dal boom di YouTube Italia, passando per il lancio delle Storie Instagram nell’agosto del 2016, fino ad arrivare alla fugace tendenza delle live di 24h sulla piattaforma Twitch, si è assistito all’intensificarsi dell’interazione social tra utente e content creator. Un’interazione in differita – come nel caso dei commenti YouTube in cui gli utenti chiedono ai propri idoli di essere salutati nel video successivo – ed interazioni in tempo reale come accade per le live Twitch in cui gli streamer si riprendono, fino ad un massimo di trentuno giorni, mentre svolgono azioni quotidiane fornendo agli utenti la possibilità di porre domande e ricevere risposte in diretta, nell’arco temporale di pochi secondi.

A destare preoccupazione sul caso NPC è la necessità degli utenti di interagire non più con una persona, piuttosto con un personaggio fittizio e non dotato della capacità – o meglio, della possibilità – di argomentare le proprie risposte.
L’interazione, dunque, – ad un primo acchito – risulta sterile proprio perché basata sull’assenza contenutistica ma ad un’analisi più approfondita possiamo notare come alla base del fenomeno NPC vi sia un’esercitazione di potere da parte degli utenti, sia passivi che attivi.

Lo spettatore attivo è colui che partecipa ed interagisce direttamente con il creator attraverso l’invio di regali e dunque di input. Lo spettatore passivo – difformemente da ciò che sono le modalità di fruizione di tale prodotto – non interagisce con il creator ma è semplicemente pubblico.

Giuliana Florio (che ha portato il fenomeno NPC in Italia)

La reiterazione di una serie di parole o frasi – seppur prive di contestualizzazione e/o senso compiuto – successive ad una determinata azione da parte dell’utente innesca un meccanismo attraverso il quale il fruitore della live è perfettamente conscio e consapevole di cosa sta per accadere. Dunque, la possibilità di prevedere e anticipare la reazione dona un senso di controllo poiché distante da qualsivoglia imprevedibilità. Ed è proprio l’annullamento dell’imprevedibilità a innescare un processo di deumanizzazione. Alla base dei rapporti interpersonali – seppur inseriti all’interno di una dimensione tecnologica – vi sono una serie di meccanismi inconsci per cui le nostre azioni appaiono solo parzialmente prevedibili così come le reazioni che ad esse corrispondono. Dunque, in un rapporto persona-persona siamo in grado di ipotizzare il binomio azione-reazione ma non di assodarlo con assoluta certezza in virtù della componente dell’imprevedibilità che è interconnessa alle vulnerabilità dell’essere umano. Se i rapporti umani vengono depauperati dell’imprevedibilità azione-reazione automaticamente si sviluppano dinamiche di potere ed un’oggettificazione, seppur consensuale e limitata, del creator. Tale esercitazione di potere è maggiore negli spettatori attivi poiché non soltanto beneficiano dell’assenza dell’imprevedibilità ma sono coloro che muovono e gestiscono l’azione che si verifica in base a loro specifiche – seppur limitate – richieste.

L’NPC, dunque, rappresenta al contempo un fenomeno tanto mediatico quanto sociale poiché evidenzia la necessità psicologica ed inconscia di esercitare controllo e subordinazione nei confronti di persone ridotte a personaggi.
La ricerca del controllo genera sollievo rappresentando una virtuale e aleatoria comfort zone che si contrappone alle precarietà circostanti. Nei tempi in cui le azioni sono dettate dalla rapidità con cui si succedono un contenuto ripetitivo e sottostante al nostro personale controllo appare consolatorio.

Pinkydoll (che ha inventato il fenomeno NPC in America)

Un altro aspetto interessante è l’antinomia di tali performance nei confronti del progresso tecnologico sempre più imminente. Dalla rivoluzione industriale ad oggi si è assistito al predominio delle macchine nei confronti dell’uomo che, tuttavia, svolgono ancora un ruolo fondamentale in quanto generatori dell’atto creativo. Ogni azione, seppur svolta magistralmente dalle macchine e/o dalla tecnologia, necessita di un input proveniente dall’uomo. Il progresso intende limitare, o addirittura annullare, l’intervento umano a favore di uno sviluppo sempre più integro e totalizzante delle tecnologie. Dunque, appare evidente il paradosso del procedimento inverso attuato da tali performance: non più la tecnologia che acquisisce competenze umane, bensì gli umani che acquisiscono sembianze tecnologiche e virtuali.

Si assiste, quindi, ad un ulteriore processo di deumanizzazione che può essere sintetizzato con il passaggio della persona al personaggio, pertanto, scevro da qualunque componente psicologica, affettiva ed emozionale.

Tale fenomeno era prevedibile?

Probabilmente, sì. I social rappresentano un palcoscenico che offre a tutti la possibilità di esibirsi e ricevere riscontri attraverso dei parametri di giudizio non particolarmente competenti. Il talento, dunque, nel web 2.0 non rappresenta il garante per la popolarità, piuttosto, parallelamente allo sviluppo del trash, appare necessario un annichilimento della persona a favore di un personaggio costruito e molto spesso macchiettistico.

Per non allontanarci dal contesto partenopeo è il caso di citare Donato di Caprio, il salumiere della periferia dei Monti Lattari, che coniugando il secolare trend del foodporn al personaggio farsesco, ha creato il suo celebre tormentone “Con mollica o senza?”. E ancora, Gigi, meglio conosciuto come Giggiolone, pescivendolo di Torre Annunziata il cui tormentone “Buongiorno Pescheria” è stato utilizzato persino da Ryanair per sponsorizzare voli in Italia.
Ciò che caratterizza e contraddistingue tali fenomeni di viralizzazione mediatica è dovuto al passaggio – piuttosto evidente – dalla persona al personaggio in cui specifiche caratteristiche si cristallizzano nell’immaginario collettivo e i cui tormentoni divengono elementi connotativi di tali maschere.

Dunque, se i tormentoni costituiscono la base sulla quale si consolida il successo, nell’ingranaggio di un ciclo continuo destinato a non esaurirsi mai rappresentano gli elementi che garantiscono la permanenza della condizione di celebrità.
Appare evidente come gli utenti – o meglio dire i fan – basino le proprie interazioni , online e offline, con i content creator – o meglio dire gli idoli- sulla ripetitività di tali formule iconiche.

Pertanto, la comunicazione utente-creator risulta essere passiva e vincolata all’unica dimensione fittizia del personaggio. Gli utenti vengono ridotti a marionette che all’apertura del sipario mediatico si lasciano pilotare dai propri spettatori.
In conclusione, il fenomeno NPC esplicita ed esaspera una tendenza già radicata da tempo nelle dinamiche dei social che è, appunto, il fenomeno del controllo.

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