La più brillante del corso di statistica, la giovane prossima alla laurea in ingegneria o in tecniche di laboratorio biomedico. Sono i profili delle ragazze vittime di femminicidio oggi. Sono belle, sorridenti. Frequentano l’università, inanellano un esame dietro l’altro, a pieni voti. Sono mature, progettano una vita a metà tra casa e carriera, coltivano hobby, hanno molteplici interessi. Sognano una famiglia. Un amore credono di averlo trovato o non disperano di trovarlo. Ma i loro sogni sono destinati a rimanere tali.
Giulia Cecchettin 2023. Ilaria Sula e Sara Campanella 2025. Tre vittime sacrificate sull’altare della libertà e del desiderio di cultura, di sapere, di scoprire, di affermarsi della donna. Il loro sangue cola copioso e macabro. Sporca i fendenti della rabbia assassina del maschio. Le loro vene restano secche. Il loro ventre vuoto per sempre. E ancora ve ne saranno, di Giulia, di Ilaria, di Sara, finché non si spegnerà l’interruttore del complesso di inferiorità del maschio che si traduce in invidia.
Eh già, perché ci avete aperto le porte delle università, anche delle facoltà scientifiche, prerogativa maschile per eccellenza. Ma poi che cosa è successo? Sulle prime, avete guardato perplessi le nostre chiome, tra i tanti studenti, seduti, a prendere appunti, invece che a casa o al massimo in un istituto magistrale. Poi vi siete sentiti compiaciuti e quasi onorati che il “materiale di conquista” vi fosse servito fin dentro gli atenei, in un bel tailleur o nei jeans a zampa d’elefante. Avete sorriso e riso sul nostro trucco e sul nostro profumo. Vi siete anche innamorati. Ci avete invitato fuori, portate a cena, a teatro, ad una festa. Ci avete fatto sentire l’onore, sottolineandolo fino a farlo intendere un peso, quasi un gesto contro natura, poterci cimentare con le nostre intelligenze. Ma voi le nostre teste, le nostre capacità non le avete mai considerate, se non un gradino sotto le vostre.
Avete guardato le nostre gambe, come se studiare fosse uguale a correre fuor di metafora. E allora, per differenza fisica, voi dovevate essere più bravi di noi. E restavate, invece, raggelati, a bocca aperta, a vedere che non sempre era così. Che non servono gli attributi sessuali maschili per studiare un teorema.
Così, non potendo frenare il nostro zelo, ci avete invidiato e giudicato. Le nostre gonne, troppo lunghe o troppo corte, mai giuste o comunque sempre a farci sentire inadeguate e fuori posto. Certo, una Rita Levi Montalcini, una Margherita Hack, una Samantha Cristoforetti, loro sì. Ma sono menti eccellenti che, per la mentalità maschilista, devono restare una eccezione: divinità intoccabili.
Ma la vostra donna, no! Quella no! Nella realtà dei fatti, non vi siete mai rapportati a noi da pari a pari. Anche con le leggi ad hoc. Milioni di parole anche scritte e poi volate al vento, mentre voi stavate a far spallucce e battute cameratesche. E magari avete anche potuto riconoscere che una grande donna poteva esserci e poteva anche essere la vostra donna, ma pur sempre dietro ad un grande uomo ovvero voi.
D’altro canto, perché avreste dovuto pensare diversamente? A casa, un’altra figura femminile, vostra madre, una di noi che vi ha messo al mondo, era pronta a proteggervi, viziarvi, coccolarvi, consolarvi anche per torti mai subiti. E siete diventati i principi, i re, i tiranni di casa. Tanto vi è stato concesso. E di pari passo la scuola pure assumeva un atteggiamento accogliente, permissivo, sorridente, morbido, dall’infanzia al liceo. I vostri capricci sono stati assecondati in ogni campo. Fino a viziarvi all’inverosimile. Ad ogni ostacolo, voi eravate le vittime, non i responsabili. Protetti e giustificati, anzi iper-protetti ed iper-giustificati.
E allora come mai potreste capire una donna che vi dice “No!”? Anche se ve lo dice in maniera così chiara e netta come Sara Campanella – non una parola fuori luogo, che potesse lasciare adito a dubbi e interpretazioni, anzi le stesse parole, che io, come madre, avrei consigliato di dire alle mie figlie se si fossero trovate a dover fare i conti con un tipo così insistente. Voi non capite, perché non potete capire. Perché voi siete i maschi, i migliori. Perché, anche se dite “Ho ucciso la mia fidanzata!”, ancora sapete di poter trovare una madre e, perché no, un padre, pronti a difendervi, andando contro giustizia, pronti ad occultare le vostre colpe, i vostri reati. Ancora!
E allora le ragazze in gamba, intelligenti, indipendenti, che sanno dire anche no, come potrebbero stare con rampolli viziati, pronti a controllare ossessivamente i passi delle donne di cui si dicono innamorati? Quando vedete che non riuscite a farle stare ai vostri ordini, vi trasformate in mediocri assassini e le uccidete. Trovate più semplice eliminarle che curare l’invidia che vi rode, da anni. D’altro canto vi hanno insegnato che la responsabilità non è mai vostra e se non obbediamo ai vostri ordini, siamo sbagliate noi, non voi. Ci invidiate, perché ci vedete come nemiche del vostro ego spropositato. E allora ci guardate male, siete contro di noi. Vorreste primeggiare sempre voi e noi vorreste vederci lì, pronte ad applaudirvi e a sorridere compiaciute. Forse, per proteggere le nostre figlie, dobbiamo spingerle a sporgere denuncia per ogni minimo segnale, che magari è solo un pizzico di gelosia, ma la paura ci fa fraintendere? Ma poi quante sono le donne che avevano denunciato e sono state ammazzate lo stesso! Sembra non esserci una soluzione a breve termine. Dovrebbero passare altrettante generazioni, da quando ci avete aperto le porte dei “vostri” licei, delle “vostre” università.
Ma sappiate che non ci arrendiamo. Non ne abbiamo proprio la minima intenzione. Folli, continuiamo a crescere le nostre figlie, spronandole ad essere curiose, a studiare, a conoscere, a viaggiare, a brillare, ad essere libere, ad amare, a vivere.