Mario Fresa e il fascino dello stupore quieto

Incontro con il poeta salernitano che l'anno scorso ha pubblicato il lavoro in prosa Eliodoro, definito da Stefano Lanuzza «uno speciale romanzo poematico, scritto nella lingua d’una musica risonante di ogni eco»

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Mario Fresa è nato a Salerno il 10 luglio 1973. Le sue poesie sono state pubblicate sulle principali riviste letterarie, tra le quali Paragone, Nuovi Argomenti, Almanacco dello Specchio e Il Verri. Tra le sue pubblicazioni, la traduzione e il commento dell’epistola De cura rei familiaris attribuita a Bernardo di Chiaravalle (Società Editrice Dante Alighieri, 2012) e l’edizione critica del poema Il Tempo, ovvero Dio e l’Uomo di Gabriele Rossetti (nella collana «I Classici» di Rocco Carabba, 2012). Ha curato, di recente, il Dizionario critico della poesia italiana, 1945-2020 (Società Editrice Fiorentina, 2021). In poesia ha pubblicato: Alluminio (Lietocolle 2008, con nota introduttiva di Mario Santagostini; poemetto tradotto in Francia nel 2019); Uno stupore quieto (uscito nel 2012 per Stampa2009, con prefazione di Maurizio Cucchi; menzione speciale al Premio Internazionale di Letteratura Città di Como); Svenimenti a distanza (Il Melangolo, 2018, con un’introduzione di Eugenio Lucrezi; Premio Internazionale Cumani Quasimodo); Bestia divina (La scuola di Pitagora editrice, 2020, con un’analisi critica di Andrea Corona). Alla fine del 2022 ha pubblicato il lavoro in prosa Eliodoro (nella collana ‘Gli Specchi Mercuriali’ di Fallone editore), che Stefano Lanuzza ha definito «uno speciale romanzo poematico, scritto nella lingua d’una musica risonante di ogni eco».

*
«Penso proprio, comunque, di no». Ma se la preme
sul petto, con un’autentica soddisfazione.
È insomma un volo sproporzionato. Una perfidia rara.
Aprendo gli occhi, non se la sente di rinunciare
e cambia idea: «qui si potrebbe, forse, stare bene».
Siamo sicuri, adesso? Certo, nella mente si è fissata quell’atroce
visione: la carne viscida dell’animale, ridicolo e solenne,
che lei guardava con orrore dalla vetrina untuosa.

(Nel suo torpore, invece, l’amico interpellato si muoveva
come un santo. Era tutto indifeso, stralunato….
Mi aveva ripetuto, biascicando
tra i denti: «noi tutti, così, forse da sempre»…)

*
Convalescenza

1.
Nel sogno dovevo piangere. «Me n’ero dimenticato, sai, caro bambino…». Adesso il pavimento è caldo. Sui colori, quasi scomparsi, si è disegnata una melmosa scia, viscida e gonfia. Mio padre non è morto: «io sono te». Ammetto l’emozione del breve sbandamento.
Ci risciacquiamo pazientemente i volti sulla strada confusa del ritorno.

2.
Ora esco fuori, felice, barcollante. Sul lavabo, si proietta la trasparenza tutta luccicante dei sorrisi. Ma che può significare, dico ansioso al suo amore indifferente, questa solenne forma di stupore, questo nostro commovente salutarci?

[Mario Fresa, da Uno stupore quieto, 2012]

*

Qui c’è stato, c’è stato, eccome. Potrei dirvi che l’ho amato per la sua malattia: ma non è vero. Anzi, ho aggiunto sorridendo: qualche volta un nemico t’insegna una specie di imprevista tenerezza… E anche lei: si muove piano – è asciutta, ma molto rigorosa; ed è fredda e gentile – si distingue dalle altre, perché ogni giorno lavora tanto. Me la sono studiata bene: per esempio quando cade, fa una specie di espressione beata; non fa sconti; non è bella e mi piace. Domattina osserveremo ancora; tutti i compagni se la sono svignata, come un’insolita vacanza mi prometti che resteremo nei paraggi? e ci risentiremo? Faccio finta di capire: «Gliel’ho chiesto così bene e mi ha sorriso. Perché non gli ho risposto no? Non gli sono piaciuta? Fa il figlio maggiore, il reduce, il beota?» – chi può saperlo, dice. La mano, allora, mi si avvicina e. Prendo quello che non posso: sono felice e resto qui, per te, per essere guardata…

*
Ringiovanisci, figlio mio. Torna a non essere mai nato. Una seconda volta non ci perdoneranno. Eppure, ti abbiamo immaginato scrivere parole gentili per far capire che non volevi, che non tutto dipendeva dalla tua scelta. C’erano molti buoni argomenti per cercare un compromesso, un cerchio trasparente capace di tenerci ancora un poco in vita. La roba che serviva davvero l’abbiamo smarrita da tempo; camminiamo ripetendoci che i colpi finali basteranno a riscaldarci, a toglierci per sempre l’incomodo di rimanere qui.

[Mario Fresa, da Svenimenti a distanza, 2018]

*
La sua è una morte simile ai turisti; lo prende insieme
e ci dipingerà Nicola, l’ambizione,
i nervi sotto. E chi t’incontra è quasi tardi,
e preme; ordina il mondo a scatti, a brandelli:
che pena, poco prima di riuscirci.
E poi siccome tutto è un puro
asciugarsi, anzi un odore vocabolario, noi siamo piccoli
mostri perciò uniti; siamo carnivora felicità.

[Mario Fresa, Bestia divina, 2020]

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