Il volto di Maria Callas, austero e composto, sembra venir fuori dalla Grecia classica: la Kore arcaica dell’acropoli di Atene. Naso imponente, la chioma folta e bruna e lo sguardo incorniciato da un’arcata sopracciliare ben delineata: un volto epico, scolpito non per compiacere ma per durare nel tempo. E, come vuole la fisiognomica, nulla accade per caso, giacché la figura di Maria è la più iconica della storia dell’Opera. Nata a New York da genitori greci, la sua vita personale è densa di passione e tormento. Figlia di un padre farmacista dalle scarse ambizioni e di Evangelia Dimitriadou, madre volitiva e dominante (più concentrata sul successo che sul benessere personale delle figlie), con la quale ebbe un rapporto conflittuale. Ma proprio la madre spinse Maria verso la musica e il canto, riconoscendone il talento fin da bambina. Donna senza scrupoli nell’usare le figlie per migliorare le condizioni economiche familiari e nota alla cronaca per le dichiarazioni denigratorie rilasciate nelle interviste sulla figlia celebre. Quando la Callas divenne famosa se ne allontanò. Questo vissuto familiare ricoprì con un’ombra lugubre la sua vita emotiva, tanto da ricercare a lungo approvazione e amore sia nella carriera sia nelle relazioni private. La sua vita personale fatta di abbandoni e solitudini, interpretava se stessa nelle opere in scena: Norma, sacerdotessa tradita, la passione di Tosca e di Violetta, la follia di Medea che arriva a uccidere i suoi figli: drammi riconducibili al suo personaggio.
Nella vita reale, gli amori figurano centrali nella sua leggenda. Sposata a Battista Meneghini nel 1949, industriale italiano di 28 anni più vecchio e il primo che abbia davvero creduto nelle sue capacità artistiche, se ne separa per l’insoddisfazione di un rapporto impostato più sulla protezione che sulla passione. L’incontro a Venezia con Aristotele Onassis fu per lei totalizzante. All’epoca era all’apice della carriera, eppure la tracotanza dell’armatore greco divenne il suo mondo esclusivo. In due anni di relazione, iniziò a rifiutare i ruoli, a disdire i contratti, a sottoporsi a diete estenuanti che le crearono non pochi problemi: anche la voce divenne meno potente. E, dopo l’abbandono di Onassis per la vedova Kennedy, la Jacqueline raffinata e magra, iniziò il declino umano e artistico di Maria Callas. A chi le chiese il perché di tanto spreco per un uomo ricco quanto rozzo, lei rispose: “Perché con lui, io potevo ritornare bambina.”
Scelse il suo esilio in un appartamento di Parigi, dove morì nel 1977, a soli 53 anni. Il film “Maria”, uscito nel 2024, diretto da Paolo Larrain, ne fa un ritratto pallido negli ultimi giorni della sua vita. Anche Angiolina Jolie, nelle vesti di Maria, bella e inespressiva, è troppo distante dall’immagine scultorea della Kore di Samo. Ma è giusto ricordare la Callas nelle fasi più eccitanti della sua carriera artistica, quando nel 1954, in teatro alla Scala interpretò la Norma di Vincenzo Bellini, diretta da Tullio Serafin, e fu un successo strepitoso in cui la pioggia monsonica di fiori e di ovazioni sembrava non finire mai. La sua voce definita bella non nel senso classico, ma immensa nell’espressività e nella capacità di scolpire ogni pausa, un sospiro, ogni accento feroce. Maria Callas cantava recitando con profonda umanità e poteva riempire i teatri, senza bisogno dei microfoni. Per la stampa italiana degli anni ’50 Callas era “La divina”, per Eugenio Montale la “Sacerdotessa del suono”; secondo Franco Zeffirelli portava nel canto tutta la potenza della tragedia greca. E Maria Callas cosa diceva di sé? “Per Callas soprano, la voce è una cosa viva, non la puoi comandare, la puoi solo ascoltare. E per quanto riguarda me Maria, sono nata per la tragedia e l’ho capito tardi. Ogni volta che ho riso, c’è sempre stata un’ombra.”