La poesia di Garzya nella profondità dell’anima

Componimenti colti ma non elitari, capaci di includere e di invitare alla riflessione, più che di imporla. Un intreccio tra passato e presente in Psicostasia e Turgut Reis al Grande Assedio

Tempo di lettura 3 minuti

Tra il cuore che pesa come piuma e le memorie di battaglie lontane, tra mito e storia nel Mediterraneo, nasce il dialogo con le poesie di Giacomo Garzya, esplorando la profondità dell’anima, la consapevolezza del passato e la voce che si fa ponte, prospettiva individuale si intrecciano in un dialogo tra passato e presente.

 

PSICOSTASIA

A Antonio, Bernardino, Carlo, Marco,

Silvana e Simonetta, compagni di viaggio

Come vorrei,

nella Sala delle Due Verità,

dopo le quarantadue confessioni

sussurrate ai Giudici dell’Oltretomba,

che Anubi, volto d’uomo e muso

di sciacallo,

vegli su di me nel rito egizio

della Pesatura del Cuore.

Che il mio cuore,

sede dell’anima inquieta,

sia più lieve

della piuma di Maat, dea della verità

e della giustizia,

tanto puro da essere accolto

da Osiride nei Campi dei Giunchi,

a vivere in eterna beatitudine.

Non una seconda morte,

non la dissoluzione dell’essere

nelle fauci di Ammit,

il mostro composto

di leone, ippopotamo e coccodrillo,

affamato delle colpe dei mortali.

Anubi, sii clemente,

se sulla bilancia sacra

la mia vita, non priva d’ombre,dovesse pesare più della piuma.

Fa’ che Toth, scriba divino,

possa tracciare un verdetto

che mi apra all’eternità,

e non a una seconda morte,

definitiva, senza appello.

Il Cairo, 15-16 novembre 2025

Giacomo Garzya

[poesia scritta dopo aver ascoltato Yossef Hamed,

profondo conoscitore della Civiltà egizia]

 

TURGUT REIS

AL GRANDE ASSEDIO

“L’uomo del Mediterraneo”

Dagli spalti del Forte Sant’Elmo,

dove si issò di nuovo la Bandiera

dell’Ordine dei Cavalieri Ospitalieri,

nel giorno della Nascita della Vergine Maria,

mentre la campana del Forte Sant’Angelo

annunciava la vittoria sui Turchi,

ho visto il grande Ammiraglio

Turgut Reis, ferito a morte,

lo stesso giorno in cui il Forte

veniva espugnato dai suoi giannizzeri.

Tu, ucciso da una scheggia di cannone

alla testa,

come il Connestabile di Francia,

Carlo di Borbone, colpito da un archibugio

sparato da Benvenuto Cellini a Castel Sant’Angelo:

due comandanti in capo uccisi sul campo,

un evento raro nella storia.

La tua sepoltura

nella Moschea Sarāy Dragut,

tu Bey di Tripoli,dà piena idea della tua grandezza:

da el-Mahdiyya tenevi sotto scacco

il Mediterraneo,

con una spietata guerra di corsa,

fatta di imboscate, colpi improvvisi

e massacri, su tutti, dopo l’Otranto

degli Ottocento Martiri settant’anni prima,

quello efferato, ancora indimenticato,

alla Cattedrale di Vieste.

Le tue scorrerie, i saccheggi, le razzie

a Rapallo, Monterosso, Corniglia

e Manarola, e dalla Riviera di Levante

a Bonifacio, alle isole d’Elba, Gozo

e Capraia, alle coste calabresi,

alle Baleari,

sono ancora un brivido nella memoria:

tutto a ferro e fuoco, e tanti cristiani schiavi.

Successore di Khayr al-Din,

temutissimo corsaro,

tu incatenato nella torre Grimaldina

e galeotto ai remi della nave ammiraglia

di Andrea Doria,

tu Kapudanpaşa di Solimano il Magnifico.

La tua morte fu triste presagio

di due cocenti disfatte dei Turchi:

non solo qui, a Birgu e Singlea,

capisaldi eroici della resistenza

di Jean de La Valette,

ma a Lepanto, dove cadde il sogno

d’un Mediterraneo ottomano.

La Valletta, 8 luglio 2025

Giacomo Garzya

Le due poesie qui considerate restituiscono una voce matura e perfettamente consapevole delle proprie scelte culturali, formali e stilistiche, capace di far dialogare con naturalezza la dimensione storica e quella simbolica. In Psicostasia, l’immaginario antico non appare mai come ornamento o esibizione erudita: si configura invece come un linguaggio dell’interiorità, una struttura mitica attraverso cui esplorare la condizione umana e il peso della storia personale. La sintassi, limpida e talvolta prossima a un andamento prosastico, conferisce al testo un tono di confessione laica, misurata e priva di enfasi, in cui l’immagine del cuore contrapposto alla piuma di Maat diventa simbolo immediato e universale. In questa scena rituale si avverte il desiderio di purezza e redenzione, temperato dalla consapevolezza delle ombre che accompagnano ogni esistenza.

In Turgut Reis al Grande Assedio emerge invece la capacità dell’autore di far parlare la storia senza indulgere né nella freddezza della cronaca né in un eccesso epico. L’impianto narrativo è solido e la ricostruzione documentaria accurata, ma ciò che distingue il testo è lo sguardo interno alla scena, che trasforma il dato storico in narrazione vissuta. Il ritratto di Turgut Reis è articolato: ne riconosce la grandezza militare e la violenza delle incursioni, restituendo un Mediterraneo complesso, intreccio di civiltà, conflitti e poteri in continua trasformazione. L’accostamento con la morte di Carlo di Borbone e il riferimento finale a Lepanto ampliano la prospettiva, inscrivendo la vicenda individuale in un quadro storico più vasto e ricordando come la storia proceda per incroci, rotture e ritorni, mai in modo lineare.

In entrambe le poesie si riconosce una medesima coerenza di fondo: l’intenzione di interrogare il passato — mitico o storico — per farne uno specchio del presente. La lingua rimane sempre controllata e sobria, immune da compiacimenti stilistici; lascia che siano le immagini, le stratificazioni culturali e il ritmo del verso a operare nel lettore. Ne risulta una poesia colta ma non elitaria, capace di includere e di invitare alla riflessione, più che di imporla.

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