Inceptum, una dichiarazione d’amore all’organo Hammond

Lewis Saccocci si sta ritagliando uno spazio importante nel panorama jazzistico italiano grazie alle sue indiscutibili qualità e al suo talento cristallino

Tempo di lettura 4 minuti

Prodotto dalla label “Wow Records”, “Inceptum” è il nuovo disco dell’organista e pianista jazz Lewis Saccocci. Il lavoro, disponibile anche sulle piattaforme digitali, è da poco anche in formato fisico.

Lewis Saccocci, nato a Roma nel 1989 è sicuramente tra i grandi emergenti del jazz nazionale. Ciò viene dimostrato ascoltando le otto tracce del suo ultimo lavoro. Possiamo sicuramente dire, ascoltando il suo “Inceptum” che sia il piano che la tastiera, per lui, non hanno segreti e l’artista sta ritagliandosi uno spazio importante nel panorama jazzistico italiano grazie alle sue indiscutibili qualità e al suo talento cristallino. Il nuovo disco (preceduto dall’uscita di due singoli: “Il Prenestinato” oltre a “One for Sara”) si snoda attraverso brani originali, frutto della creatività dello stesso artista, concepito nel solco del contemporary jazz. Un cd da cui, in maniera dominante, emergono soluzioni melodiche, armoniche, ritmiche e timbriche audaci che scaturiscono da una profonda ricerca stilistica volta a una riconoscibilità. Oltre a un ricco interplay che ne impreziosisce il valore.

Ad accompagnare Lewis Saccocci, in questo viaggio sonoro vi sono due musicisti di talento: Enrico Bracco (chitarra) e Valerio Vantaggio (batteria). Il pianista, autore del lavoro racconta la genesi e descrive il umore della sua creatura discografica: «Inceptum significa inizio, ma anche progetto. Questo il titolo del mio nuovo lavoro, il primo in cui esploro le possibilità compositive ed espressive dell’organo Hammond. Il disco contiene otto brani originali, attraverso cui ho cercato vie espressive diverse, con uno strumento solitamente associato a sonorità prevalentemente tradizionali in ambito jazzistico. In questo nuovo inizio, appunto inceptum, con me sono presenti musicisti di chiara fama».

Lewis ha presentato il disco a Roma, alla “Casa del Jazz”. Si è trattata di un’occasione quasi irripetibile e soprattutto per chi ha assistito alla performance del trio capace di coinvolgere il pubblico con una prestazione performance di notevole qualità. Il musicista è pianista ed organista jazz (suona prevalentemente l’Hammond). Si tratta di un compositore particolarmente interessante e probabilmente diventerà musicista dal futuro indubbiamente scintillante. Ottima la sua gestione dello strumento a tastiera, il suo stile che trova fondamento un vigore espressivo, un’inventiva armonica e improvvisativa, ricerca timbrica e spiccata inclinazione alla sperimentazione.

Saccocci inizia giovanissimo lo studio del pianoforte classico, si perfeziona presso il conservatorio Santa Cecilia di Roma dove si laurea con lode in Pianoforte Jazz. Grazie al suo talento condivide palco e studio di registrazione con numerosi jazzisti di caratura nazionale e internazionale come Bruce Ditmas, Roberto Gatto, Gabriele Mirabassi, Fabrizio Bosso, Ettore Fioravanti, Franco Piana, Paolo Damiani, Marcello Rosa, Antonello Salis, Massimo Moriconi, Maurizio Giammarco, Robertinho De Paula, Reinaldo Santiago, Matthew Herbert. Tra i tanti partecipa a diversi e prestigiosi festival come ‘Umbria Jazz’, ‘Roccella Jazz Festival’, ‘Pozzuoli Jazz Festival’, ‘Tuscia in Jazz’, ‘Maratea Jazz Festival’, ‘Bari in Jazz’, ‘Piacenza Jazz Fest’, ‘Fara Music Festival’. Il trentacinquenne organista e pianista romano Lewis Saccocci è, certamente, un musicista da tenere d’occhio tra quelli della nuova generazione, lo si potrebbe definire un ‘predestinato’ (volendo sfruttare il brano che apre la sua ultima fatica discografica). Un lavoro, questo, che appare nettamente come un viaggio in cui si mescolano, con ironia, origini etniche e valutazioni sul suo indubbio talento musicale. Nel trio, con Enrico Bracco e Valerio Vantaggio si crea un insieme che riesce a spaziare tra i differenti umori che si notano all’interno delle otto composizioni del disco. Se l’Hammond, abbinato alla chitarra, rimanda all’estetica hard bop di Jimmy Smith/Kenny Burrell, Mel Rhyne/Wes Montgomery oppure Jack McDuff/George Benson, le coordinate di “Inceptum” sono differenti. In quanto, pur denotando ampia conoscenza della tradizione e non lesinando in swing, si produce un jazz moderno che sfugge dalle facili catalogazioni e si fa apprezzare per ricerca melodica e armonica. Che siano le struggenti trame di ‘Lament for JDF’, la dedica finale di ‘One for Sara’ fa percepire una voglia comunicativa che può avvicinare al jazz un pubblico più vasto rispetto all’angusto ambito degli addetti ai lavori.

Lewis, come è nata la passione per il jazz?

Mio padre è sempre stato un grande estimatore di questa musica, mi divertivo da bambino a pescare nella sua collezione di musicassette jazz e scoprirne il contenuto. Ho sempre desiderato approfondire questo genere per me carico di fascino durante il mio percorso di studi classici, ed una volta terminati mi sono lanciato nello studio di questa musica, sentendomi subito al mio posto.

Qual è la filosofia che lega gli appassionati della tua musica?

Spero che la mia musica possa arrivare a un pubblico eterogeneo, non soltanto agli amanti del jazz. Ho fra le mie influenze musicali ascolti di varia natura, che penso si possano individuare nelle mie composizioni. Mi piacerebbe abbracciare una fetta di pubblico che non sia solo quello del jazz.

Come nasce Inceptum?

A me piace pensare che un disco sia una fotografia di un momento storico, un fermo immagine della produzione musicale di un artista. Inceptum è questo, un inizio per me come leader dopo molti lavori come sideman, una dichiarazione d’amore all’organo Hammond, espressa attraverso otto brani figli di una selezione fra quelli che ho scritto più indietro nel tempo ed altri nati appositamente per questa formazione

Qual è l’artista o pianista che ti ha ispirato di più?

Se è un nome solo che devo dire mi riserbo l’escamotage di scegliere un pianista e un organista, Herbie Hancock è sicuramente uno dei protagonisti del jazz che ho ascoltato di più in assoluto, ma non posso non nominare Joey DeFrancesco, un gigante dell’hammond che ci ha lasciato troppo presto, al quale ho dedicato una traccia in Inceptum: “Lament for JDF”.

A cosa stai già pensando? Parlaci dei tuoi obiettivi e del tuo prossimo disco.

In effetti c’è un’idea che torna spesso, un progetto che spero un giorno prenderà vita, ed è il duo pianoforte/hammond che ho con Danilo Blaiotta, pianista eccezionale. Spesso suoniamo insieme in questa formazione particolare ma divertentissima, e più in là, se le cose andranno per il verso giusto, magari faremo una ‘fotografia’ anche di quel momento…

Antonino Ianniello

Nasce con una spiccata passione per la musica. Si laurea in lettere moderne indirizzando la scrittura verso il giornalismo, percorre in maniera sempre più approfonditamente e competente le strade della critica musicale, pubblicando numerosi articoli su jazzisti contemporanei e prediligendo, spesso, giovani talenti emergenti. Ama seguire il jazz, blues e fusion e contaminazioni.

Previous Story

Lentamente, il viaggio musicale di Simona Trentacoste