Il gusto del pop tra tendenze e trasformismo

Trump è forse il caso più eclatante di politica "popular" contemporanea, riconoscibile in ogni angolo del Pianeta: trasformista che non perde la sua identità. E se il suo segreto fosse proprio questo?

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“Pop” è la forma abbreviata di “popular”. Cosa indica? La tendenza musicale e artistica che a partire dagli anni Sessanta ha adottato nuovi criteri estetici e contenuti rivolti in particolare al pubblico giovanile. E cosa s’intende per icona pop? Una figura che incarna la cultura popolare di un’epoca riconosciuta a livello globale e in vari ambiti: musica, arte, moda, politica e sport. Nello specifico, quando si parla di icone della musica pop si fa riferimento a quegli artisti che hanno influenzato intere generazioni con l’immagine, le ideologie e l’innovazione nel suono. Icone pop sono John Lennon e il logo Drop – T dei Beatles, Elvis Presley, Bob Marley, Michael Jackson, David Bowie, Louise Veronica Ciccone in arte Madonna, divenuta famosa per aver indossato crocifissi e coroncine a mo’ di collanine e giarrettiere, mettendo così in discussione le istituzioni religiose, in particolare la Chiesa cattolica.

David Bowie – tra le icone più rappresentative della cultura pop – ha mescolato in maniera raffinata (non a caso, soprannominato il “duca bianco”) musica, teatro, moda in un’estetica visionaria. Ha giocato con i generi musicali e sessuali, anticipando temi come il gender fluidity  e la libertà di espressione: “This is not America, a little piece of you, the little peace in me”. Nei suoi testi si leggono riflessioni esistenziali che toccano l’alienazione, l’identità e il tempo. In altri ambiti creativi, la pop-art nasce negli anni ’50 e ’60 e s’ispira alla pubblicità, ai fumetti e ai prodotti industriali. Artisti come Andy Warhol mettono in discussione la fede laica che si professa in quel consumismo sfrenato capace di appiattire il genere umano e convertire le singole persone in “brand”.

La moda detta le sue regole e ci pretende tutti uguali, altrimenti sei “out”, scaduto, antiquato: in una parola “démodè”. Ed essere démodé non libera dai sensi di colpa e dalle frustrazioni. La ripetizione delle immagini, elemento chiave nello stile di Warhol come i colori delle molte Marylin e le lattine di “soup Campbells” riprodotte in serie, sono opere tese a rappresentare i simbolismi vuoti del capitalismo. La cultura pop, quindi, non è solo intrattenimento ma uno specchio delle contraddizioni e delle tensioni sociali, uno strumento di critica che chiede il cambiamento e invita l’individuo alla piena consapevolezza dei bisogni del proprio essere.

Lo spirito pop nasce anche negli angoli poco luccicanti delle periferie e negli spazi informali della strada, dove i giovani sperimentano linguaggi e stili anticonformisti, come il movimento punk che esibisce i suoi metalli, lo stile dark e la hip hop da cui origina il rap afro-americano. Ma non solo arte e musica, da qualche decennio la politica insegue lo spettacolo pop, prendendo spunto dalla rivoluzione di Che Guevara (uno dei miti più iconici del ‘900 e, suo malgrado, utilizzato come un prodotto commerciale) oppure dalla coppia Barbie e Ken, icona parodica del conformismo perbenista più esasperato. E Donald Trump, attraverso meme, fumetti e video, è un personaggio pop. Icona del potere populista  (molto distante da Obama, presente nell’immaginario di Shepard Fairey in “Hope”, come simbolo grafico del sogno americano legato all’innovazione), Trump è stato rappresentato con le cento facce di una stessa medaglia: da Hulk al Messia, dal Clown al Re…

Nella “real communication”, i comizi – performance, la mimica elastica e gli insulti utilizzati come strategia di forza e visibilità, hanno trasformato la politica in un palcoscenico mediatico costante, in cui lo scontro e il momento virale contano più dei contenuti. Simbolo facilmente manipolabile, carico di significati positivi e negativi, Donald è forse il caso più eclatante di politica pop contemporanea, riconoscibile in ogni angolo del Pianeta. Ricorderemo la scultura gonfiabile “Baby Trump”, creata nel 2018 durante la visita del Presidente USA in Gran Bretagna: il pallone enorme con il ciuffo biondo, il pannolone e il cellulare stretto in una mano, volti a simboleggiare l’infantilismo, il narcisismo e la comunicazione compulsiva su Twitter. E ancora la “Trump Tombstone”, apparsa nel 2016 in Central Park con la scritta “Made America hate again”, e divenuta virale alla stessa velocità della sua rimozione … Perché funziona o meglio perché ha funzionato, tanto da essere stato scelto dagli americani come Presidente? E Donald Trump, figura centrale nel sistema, non è l’unico caso esistente nel Pianeta. Per l’immagine teatrale riconoscibile? Tra le varie opzioni, la più accreditata potrebbe essere la seguente: come tutte le icone pop, positive o negative che siano, si presta al trasformismo senza smarrire la sua identità.

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