Negli ultimi dieci anni la scuola ha vissuto, progressivamente, una significativa rimodulazione del proprio ruolo nel processo di formazione e crescita delle nuove generazioni. Dalle metodologie ai linguaggi dei documenti di progettazione didattica fino ad arrivare agli aspetti docimologici relativi alla valutazione, la scuola ha abbandonato gli stilemi classici per mettere al centro della propria azione un apprendimento finalizzato alla maturazione di competenze e abilità.
L’esigenza spasmodica di una connessione con il mondo del lavoro, delle realtà produttive, ha fatto sì che l’offerta formativa degli istituti superiori venisse declinata, in particolare nel triennio, secondo l’esigenze della “Τέχνη”, del progresso tecnico che richiede una cultura della professionalizzazione da instillare negli studenti sin dai primi anni della scuola secondaria di secondo grado. È una concezione che investe non solo i contenuti dell’apprendimento, ma anche la formazione stessa dei docenti, i cui compiti si sono sempre più discostati dal solo insegnamento delle diverse discipline.
Il docente assume il ruolo prioritario di formatore-orientatore, le aule diventano laboratori dove agli alunni viene imposta una concezione tecnocratica, una rappresentazione della realtà fatta di problemi da risolvere, soluzioni da adottare, il tutto in tempo rapidi; conta il saper fare, il saper individuare e riconoscere con pronta abilità, non più il sapere fine a se stesso.
Il sapere ha una sua dimensione estetica che costituisce il vero privilegio irripetibile degli anni della scuola, ovvero il poter dedicarsi esclusivamente alla propria crescita personale; il tempo dello studente è fatto di pura astrazione, d’ideali, concetti e nozioni che alimentano gli stimoli culturali e vanno ad esclusivo beneficio dell’individuo, senza nessun attinenza con le scelte professionali e lavorative che avverranno in seguito.
La tanto enfatizzata “didattica per competenze” si è rivelata un paradigma imposto ai docenti sotto forma di rigide unità d’apprendimento che seguono scansioni temporali predeterminate , come se fossero schede contenenti dati da inserire all’interno dell’“hardware” dello studente a ogni step, in una sorta di percorso degno di un ciclo fordista.
Non è questa la missione della scuola, è la persona ad essere al centro di un percorso d’istruzione, le conoscenze operano nelle profondità di una mente in formazione e ne esaltano attitudini e specificità, ma, soprattutto, favoriscono l’inclinazione al pensiero critico e la formazione di un substrato culturale inteso come minimo comune denominatore di ogni cittadino di domani.
La scuola è uno spazio di libertà e di questo la didattica deve tenerne conto, non può ridimensionarsi a centro di addestramento per il capitale umano da inserire nei processi produttivi.
I dati sulle conoscenze degli studenti giunti all’ultimo anno della scuola superiore di secondo grado sembrano confermare le lacune della didattica incentrata sulla maturazione delle competenze, viste le gravi carenze dimostrate nell’elaborazione dei contenuti disciplinari richiesti agli esami di Stato.
L’istruzione sprigiona le mille possibilità dell’intelligenza, pone lo studente davanti ad un orizzonte di scelte possibili vasto e variegato, secondo l’unica forma di orientamento autentica, ovvero l’autorientamento; anticipare lo sviluppo della forma mentis del futuro lavoratore – professionista, rappresenta uno svilimento della funzione culturale ed educativa della scuola.
In fondo, nei ricordi che il periodo scolastico lascia in eredità ad una persona, il sapere astratto, i versi di una poesia, le date della storia, sono il vero patrimonio immateriale che resta a distanza di anni.

