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Il Cilento “lucano”: un museo a cielo aperto nel cuore del Mezzogiorno

Viaggio in una realtà mediterranea incontaminata, una specie di museo a cielo aperto, incastonata tra colline e montagne che la difendono dagli sbalzi d’umore dei venti dell’Appennino meridionale

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C’è un lembo di territorio nel cuore del Mezzogiorno che, una volta, si chiamava Lucania, e oggi, dopo il colpo di mano del 1806, per volontà del re francese Giuseppe Bonaparte, si chiama Cilento. È una realtà mediterranea incontaminata, una specie di museo a cielo aperto, incastonata tra colline e montagne che la difendono dagli sbalzi d’umore dei venti dell’Appennino meridionale. Un fazzoletto di territorio lungo un centinaio di chilometri che da Paestum si distende, seguendo coste accidentate, fino alla baia tanto cara alla spigolatrice di Sapri. Nel corso di questo viaggio, si incontra di tutto: i templi dorici, intatti e solenni, di Paestum che vegliano sulla piana del Sele, dove perseverano indisturbate le secolari bufale, tanto care alla dea Proserpina. Incuneandosi verso la strada provinciale si intravede il Castello di Agropoli, noto per aver dato ristoro ai suoi abitanti che, con i moti rivoluzionari, hanno detto alla storia che i meridionali, quando vogliono, sanno uscire dal loro torpore secolare.

Una sosta sul belvedere di Castellabate, un luogo scoperto dalla cinematografia nostrana che ha saputo colorare ancora di più e in modo genuino la bellezza di un paesaggio benedetto dal Signore. A un tiro di schioppo, si scorge Acciaroli con il suo confortevole porto, meta ambita da imbarcazioni di ogni tipo che approdano da ogni dove.

Percorrendo verso sud la litoranea, ecco la patria di Parmenide, Ascea o Elea, un luogo la cui memoria risale nei secoli per aver ospitato la scuola filosofica eleatica: una pietra miliare nella storia della civiltà umana. Il Parco archeologico di Velia, poco valorizzato in verità, conserva le spoglie di Parmenide, ben protette da un bastione di architettura spagnola che si erge nei pressi. In fila indiana, una selva di paesi, a mo’ di rosario francescano, sfila lungo la costa che si dirige verso Palinuro, un luogo mitico che ricorda le gesta e conserva la memoria di un prode troiano sfuggito all’ira dei Greci nella guerra decennale di Troia.

Palinuro è un luogo incantevole e ospitale, com’è l’intero Cilento “lucano”, che ha rapito generazioni di intellettuali che l’hanno decantato ripetutamente. Gli odori e i sapori in questa terra sono unici, al punto di aver generato uno stile di vita detto mediterraneo, che detta i tempi e i modi della sana educazione alimentare nel mondo, grazie all’intuito di Ancel Keys. Una volta superata la grotta di Polifemo, che ci allontana da Palinuro, percorrendo strade contorte e complicate ci affacciamo sulla Cilentana, una strada statale che taglia a metà l’intero territorio cilentano, da dove incrociamo il Monte Bulgheria, un posto venerato dai frati eremiti, stabilitisi qui da diverso tempo. Dalla cima del monte si ammira il Golfo di Policastro, azzurro e trasparente come non mai, che annovera nel suo contesto i comuni di Scario, Villammare, Policastro e, per finire, Sapri, distesa lungo la sua baia, luogo tanto caro alle truppe garibaldine.

Il viaggio che abbiamo fatto raccoglie e racconta fatti ed eventi di personaggi senza tempo che, con le loro testimonianze ed esperienze, hanno fatto la storia nobile e mai dimenticata di quel Mezzogiorno d’Italia da noi tanto amato. In fondo, questo viaggio attraverso il Cilento non è solo un racconto di luoghi e tempi lontani, ma un richiamo profondo a non dimenticare chi siamo e da dove veniamo. In un’epoca che sembra spesso trascurare le radici per inseguire il nuovo a ogni costo, il Cilento ci insegna il valore della memoria, della bellezza autentica e della natura che accoglie e protegge.

Prendersi cura di queste terre significa custodire un’eredità preziosa, fatta di storia, cultura e umanità, e soprattutto un impegno verso il futuro, affinché il cuore del Mezzogiorno continui a battere forte, saldo e orgoglioso.

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