Il canto d’amore di Lanzetta per dodici città

Poesia, prosa poetica, istantanee fulminanti, crudeli e visionarie allo stesso modo per cantare il tempo più triste della nostra storia recente: gli anni della pandemia che ha fermato il mondo.

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Una disperata vitalità. Canto d'amore per dodici città. Ediz. integral

Molte volte amore rima con dolore. Succede, per esempio, nell’ultimo libro di Peppe Lanzetta Una disperata vitalità (Napoli, Langella Edizioni, 2025) che riesce a tenerli ancora insieme in forma di poesia, di prosa poetica, di istantanee fulminanti, crudeli e visionarie allo stesso modo.

Lanzetta sceglie dodici città italiane per cantare, a modo suo, quello che forse è stato il tempo più triste della nostra storia recente: gli anni della pandemia che ha fermato il mondo. Non c’è un ordine (geografico, d’importanza storica o economica) nella sistemazione dei luoghi scelti da Lanzetta. Si parte dal Nord – da Torino Porta Nuova, Porta Palazzo, Porta Susa, Collegno, quella degli Agnelli, dei Subsonica e di Hiroshima mon amour – e si finisce nel profondo settentrione friulano; a Casarsa, la città natale di Pier Paolo Pasolini, a cui il libro è dedicato e che sembra rivolgersi, perplesso, al lettore nella bella foto di copertina (rielaborata da Abdullah Ferdinando Ottaviano Quintavalle, meglio conosciuto come “Mexico”). In mezzo stanno, alla rinfusa, Milano, Napoli, Roma, Palermo, Bologna, Lampedusa, Cagliari, Eboli, Bagnara Calabra e Catania. Il covid le attraversa tutte diventando pretesto per l’azione di personaggi (noti o sconosciuti), di fatti e di luoghi diversi; spazialmente lontani ma che spesso s’incontrano, si sovrappongono e diventano un’unica voce che racconta.

A Palermo piove sulla Vucciria e sui banchi del mercato i tendoni si aprono per ripararsi dalla “Malacqua” (e come non pensare alla Malacqua napoletana di Nicola Pugliese?). A Catania Mastro-don Gesualdo “dovrebbe coniugare i like su Facebook con la sua ‘roba’, magari la dovrebbe vendere su Vinted e telefonare a Chiara Ferragni e parlare magari del Marchese di Roccaverdina”. A Napoli, invece, una festa di piazza gigante, cominciata nella provincia di Caserta e finita a Little Italy, a New York: “Una festa di piazza con venditori di tutto, di palloncini, di panzerotti, pizze fritte, nocciole tostate, spighe di grano, roulette volanti, banchi per le tre carte, fotografi volanti ostricari, fichi d’india con la prova, meloni e mellonari angurie. cantalupi, dolci, graffe, zucchero filato, palle di riso, crocchè”. E a Bologna, dove il “tempo delle osterie sembra finito. Lucio Dalla se ne è andato e Guccini si è ritirato a Pavana”. La musica – antica e moderna, in dialetto o straniera – è la colonna sonora che s’ascolta, dappertutto e ininterrottamente, nelle città sfregiate dalla nuova peste. Pure a Bagnara Calabra, dove nacque “la voce delle voci”, il “talento dei talenti”, Mia Martini. Lei però se n’era andata prima, senza aspettare il coronavirus. “Avrebbe cantato una nenia per la sua amata terra natia e le avrebbe fatto da contrappunto Dalida, altra regina di sangue calabrese, anche se era nata in Egitto”.

La musica, l’opera, il teatro, il cinema, la poesia: nel tempo senza tempo del cimitero di Casarsa, nel dolore senza più lacrime dei morti della pandemia, riposa Pier Paolo Pasolini. Qui, alla fine del suo viaggio, Peppe Lanzetta lo incontra: “Se vengo a Casarsa, ti prego, vienimi incontro. I cimiteri mi fanno tristezza. T’aspetto al bar antistante la piazzetta, mi riconoscerai perché indosso una mascherina e ho una bottiglia d’acqua in mano per colmare la mia sete di verità. La mascherina non è per camuffarmi, ma perché ci hanno inoculato un virus mortale, lo chiamano coronavirus. Pericolosissimo. Quasi come le tue parole per quelli che muovono i fili della giostra. E i giostrai, come tu sai, non si creano scrupoli. Avanti il prossimo, in questo luna park aperto da sempre h 24. Ecco ti vedo, ci sei, sei tu, bello come un Re con una corona. La corona della dignità e del coraggio”.

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