Sul finire della giornata quando studi il VII secolo, nel momento in cui la conquista araba sommerge i possedimenti bizantini d’Africa e minaccia il regno visigoto di Spagna, capita di avere sonno e poggiare la testa sul tavolo pieno di carte e faldoni. Incrocio le braccia per avere un cuscino e cerco di schivare le penne e le matite sparse sul tavolo. Un’arte ingegneristica, completamente estranea all’estetica perché occorre misurare il poco spazio e nella mia intenzione c’è sempre quella di non scompigliare troppo i capelli, rigorosamente spostati da un lato del capo. È un momento di ritiro, ma aperto a tutti i libri poiché è facile venir attratti dal godimento di ricerche che nutrono i miei sentimenti. Sentirsi vicini quasi a creare il collegamento con il crescente furore dei re che amo di più. Chiudere gli occhi perché le fortezze di carta, talvolta, prendono l’aspetto di capitali di grandi Stati che realizzano fusioni diverse: arte bizantina nelle mura esterne, collaborazione di idee nelle pleiade di scrivani, costruzioni pubbliche fatte di lusso inaudito di quel personaggio sacro chiamato Basileus.
Dal saluto ai convitati che già trasudano vino dai pori, individuo il periodo storico del sogno. Molti di loro scoppiano in risate e reclamano a gran voce di effettuare i brindisi di obbligo. Non serve guardarmi intorno, riconosco la cerimonia per onorare la celebrità. Distinguo i marmi policromi e le decorazioni dal gusto perfetto. Poi la scena cambia, in un corteo straordinariamente affollato fino all’araldo che mi spinge a parlare: l’uomo magro con un naso puntuto riempie con impazienza un vasetto d’acqua con un piccolo foro che lascia cadere l’acqua goccia a goccia a mo’ di clessidra e mi indica la durata del discorso. Io sento la consapevolezza dell’importanza del mio ruolo da imperatrice e sono pronta ad attribuire un gran valore (a me stessa) per aver diffuso nuovi sistemi di combattimento a cavallo, per le nuove formazioni politiche naturalmente centralizzate nelle mie mani. Ma prima faccio tagliare la testa all’araldo perché non può esserci una volontà coordinatrice al di sopra della mia immagine. Sono comunque magnanima e non chiedo il «sacrificio del cavallo» detto anche asvamedha richiesto dai sovrani indiani della dinastia Gupta. Questo rito richiedeva un numero enorme di vittime animali molto costose, aveva bisogno di lunghi preparativi, di uno o perfino due anni e durava per un intero mese. Il sovrano vi partecipava personalmente e con questo consacrava la sua gloria di monarca universale. Compiuta ormai l’opera di imperatrice e mentre la folla mi acclama, io decido che è tempo di essere condotta alle terme. Appena varcata la soglia del luogo che preferisco, purtroppo mi sveglio.
Recita la poesia di Pascoli: Nascondi le cose lontane,/ tu nebbia impalpabile e scialba,/ tu fumo che ancora rampolli/ su l’alba,/ da’ lampi notturne e da’ crolli/ d’aeree frane! Ogni tanto, vorrei celare la realtà in archivio, perché la tentazione maggiore è indugiare nel proprio intimo: i segreti straordinari e il potere irresistibile di qualcosa di bello senza badare alla realtà. Eppure lo studio sugli Ostrogoti, pietra angolare di tutta la ricerca, mi spalanca gli occhi nella concezione più sovrumana della vocazione dell’arte. Sono quasi pronta per attaccare un nuovo repertorio di fonti e cataloghi. Invece, vedo che ho ricevuto una risposta a un’email. Mi sono incaponita nel presentare il nuovo libro in una specifica provincia campana. Un luogo importante per il re ostrogoto Totila visto che lo distrusse completamente. Ho cercato di raggiungere varie associazioni sul territorio sperando in un segno umanistico e tentando un approccio commosso dell’ardente storia di Totila. Purtroppo nessuna risposta fino ad ora. Compio un movimento mistico e apro la posta elettronica. Tra le tante associazioni e club a cui ho manifestato il mio interesse, la risposta proviene da un club con un bel nome che mi ha ispirato quando ho mandato la richiesta. Ma nella rapida lettura dell’email, comincio ad arrossire e persino le mie orecchie soffrono il cambiamento. Un club per adulti mi ringrazia per la proposta di presentare il libro nella loro sede, ma non è il loro campo organizzativo. Consigliano di mandare una richiesta alla biblioteca del paese. Spengo il telefono e poggio di nuovo la testa sulla scrivania, ma evito di mettere le braccia come cuscino. La qualità particolare di dormire e svegliarsi in archivio è anche questa. Collaudare il legno dei mobili mentre si scoppia a ridere senza riuscire a fermarsi.

