Da Forlì a Senigallia a guardar fotografie (e qualche dipinto)/2

Il complesso conventuale di S. Giacomo Apostolo in S. Domenico è un sublime contenitore dell'immateriale

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Forlì, Complesso di san Domenico, sede della pinacoteca civica, La decorazione pittorica del refettorio

3 gennaio 2019 … Forlì è nella grande pianura. La sua urbanistica è difficilmente decifrabile, presenta una miscela di edifici che partono dall’ XI secolo ed arrivano al contemporaneo. Rispecchia, in estrema sintesi, le continue “lotte” tra le diverse fazioni: Ghibellini forlivesi e Guelfi romagnoli, Signoria locale degli Ordelaffi e Stato della Chiesa di Cesare Borgia, poi la presenza della Francia napoleonica che la pose a capoluogo del dipartimento del Rubicone. Partecipò, la città di Forlì, alle lotte risorgimentali italiane, soprattutto quelle mazziniane, spinta dal suo illustre cittadino Aurelio Saffi. Forlì fu la “città del Duce”, fascistissima piazza sulla quale Mussolini aveva avuto le sue prime esperienze politiche e sindacali.

Fu sventrata e ricostruita in alcuni suoi quartieri storici a partire dagli anni dell’Unità d’Italia mentre le mura furono smembrate dal 1905. La stazione ferroviaria attuale è di epoca fascista, decentrata, semiperiferica e la sua costruzione segnò una cicatrice nel tessuto cittadino che continuò a mutare proseguendo con i bombardamenti del secondo conflitto mondiale, fino agli anni della ricostruzione. Quando arrivi alla stazione ti ritrovi un po’ isolato dal centro. Eppure è lì, lo intuisci e lo respiri con la nebbiolina. Siamo in pianura, dicevo, e tutto sembra ravvicinato. Ci invitano a prendere un tram per spostarci ma non si vedono le rotaie. Il tram è un mezzo di locomozione perfetto per le pianure. Poi scopriamo che il tram è in realtà un autobus. Buona notte Forlì…

4 gennaio … Siamo davanti a ciò che resta del grande complesso conventuale di S. Giacomo Apostolo in S. Domenico, esempio degli sventramenti subiti dalla città. Ciò che resta, a dire il vero, è mirabile esempio di come si possa restituire alla comunità, in dieci anni di lavori, un bene comune pesantemente deturpato dalla storia e dalle cattive intenzioni.

Dal 2006 è sublime contenitore dell’immateriale: idee, progetti, riflessioni, arte. Ospita buona parte delle gallerie comunali: la Pinacoteca, il Museo delle ceramiche, la Gipsoteca, presto il Museo Archeologico e, naturalmente, le mostre temporanee, i concerti, le rappresentazioni. In occasione dei lavori di ripristino, fu scoperto un sorprendente affresco sulle pareti dell’ex-refettorio, oggi transito obbligato per chi accede alle sale interne. Come recita l’opuscolo distribuito ai visitatori «un affresco ripartito in tre scene da elementi architettonici. La scena centrale raffigura la Crocifissione alla presenza della Madonna, di Maria Maddalena, di San Giovanni Evangelista e del committente. Le due scene laterali illustrano due eventi particolarmente significativi della vita di San Domenico: a sinistra, l’apparizione dei santi Pietro e Paolo che consegnano a San Domenico il bastone e il libro dei Vangeli, mentre egli vede i suoi confratelli che vanno ad evangelizzare il mondo; a destra, San Domenico resuscita il giovane Napoleone Orsini caduto da cavallo. Un documento del 1520 ne fa attribuire l’esecuzione a Girolamo Ugolini, figlio di Marco Antonio Argentiere».

La mostra dedicata a Paolo Monti, un grande maestro della fotografia

Nei Musei di San Domenico, fino al 6 gennaio, sono state allestite due grandi mostre fotografiche, relative all’opera dei due maestri italiani, Ferdinando Scianna e Paolo Monti. Così, al piano terra, subito dopo l’ex refettorio, si apre l’esposizione dedicata a La fotografia di Paolo Monti. La mostra si inserisce nel quadro delle celebrazioni europee relative al 2018 anno del Patrimonio Culturale.
Monti, novarese, nato nel 1908, è stato forse l’intellettuale italiano che, con l’uso della tecnica fotografica, ha elaborato un metodo di documentazione dei beni culturali che è anche riflessione critica su di essi e impegno sociale per la loro tutela e promozione. Un metodo che è, allo stesso tempo, etnografia dei beni culturali immateriali e antropologia delle immagini. Come interpretare, altrimenti, quel che scrisse nel 1977: «Per programmare e conservare occorre anzitutto conoscere. Per molte ragioni storiche e culturali (…) in Italia la documentazione è affidata soprattutto alla parola e ai dati statistici e quasi mai alla fotografia, come avviene invece in altri paesi (…). Chiunque in Italia inizi dagli studi storici sa quanto sia difficile reperire delle immagini fotografiche che talvolta sono le uniche fonti di conoscenza diretta di luoghi, monumenti scomparsi, avvenimenti, ambienti e persone (…). Interi centri storici sono stati distrutti senza neppure conservarne il ricordo con un completo censimento fotografico» [La fotografia al servizio della programmazione, 1977, in IBC Emilia Romagna, Paolo Monti fotografo e l’età dei piani regolatori (1960-1980), Bologna 1983].

Paolo Monti, un simbolo altissimo dell’arte fotografica

Così Monti – per alcuni anni docente di Fotografia all’Umanitaria di Milano e presso l’Università di Bologna – impartì precocemente una lezione di umiltà artistica insistendo sulla necessità di documentare e interpretare ogni manufatto umano andando oltre il suo aspetto superficiale. Ogni bene culturale doveva essere documentato e interpretato non solo per ciò che mostrava ma anche per ciò che mascherava ovvero per quelle caratteristiche – avrebbe detto Ernesto de Martino – che determinano in ogni prodotto umano un’origine e una destinazione assolutamente umane. In questo senso i BC “fatti dagli uomini per gli uomini” sono strumenti dell’affermazione dell’umano esserci nel mondo ma anche impronte di quei drammi che costellano la storia e la morale di chi vive.

C’è tutto ciò nelle immagini di Paolo Monti e c’è anche l’orgoglio della sua assoluta consapevolezza, la capacità di adeguare il suo sguardo ai diversi contesti, alle mille situazioni fotografate. La città di Forlì ha scelto di riflettere sulla sue opere proponendo quattro percorsi espositivi che evidenziano il suo complesso percorso artistico, la scoperta e la condivisione pubblica del suo lavoro.
Il primo, dal titolo Paolo Monti – Fotografie 1935-1982, ripropone la mostra monografica tenutasi al Castello Sforzesco di Milano tra 2016 e 2017, composta da circa 200 fotografie originali realizzate tra il 1935 e il 1982, libri e materiali archivistici. La mostra, a cura di Silvia Paoli, è l’esito di un’indagine scientifica condotta sull’intero archivio dell’artista, di proprietà della Fondazione BEIC (Biblioteca Europea di Informazione e Cultura) e depositato presso il Civico Archivio Fotografico del Comune di Milano.

Nel secondo, Paolo Monti e il censimento del centro storico di Forlì (a cura di Roberta Valtorta), sono esposte 80 stampe del centro storico di Forlì, scelte dal Fondo Fotografico della Biblioteca Saffi, relative al censimento del 1971. Le immagini mostrano al pubblico un esempio del metodo di lavoro di Monti e propongono alcuni “percorsi” in importanti aree della città. Non mancano i suoi taccuini e i suoi apparecchi fotografici.

La fotografia di Paolo Monti, un messaggio forte che spinge alla scoperta dell’anima dei luoghi

Il terzo percorso, dal titolo Paolo Monti, dalle campagne di rilevamento al censimento delle vallate forlivesi, espone una prima serie di 30 fotografie originali ed una seconda di 60 riproduzioni (a cura di Andrea Emiliani e Marina Foschi). Le immagini dei rilevamenti effettuati nel 1969 provengono dall’archivio privato di Andrea Emiliani e si affiancano alle fotografie eseguite nelle vallate forlivesi nel 1971 per conto della Provincia di Forlì. Anche questo percorso racconta la metodologia usata nelle campagne di rilevamento che portarono alla costituzione dell’Istituto Beni Culturali della regione Emilia-Romagna il quale, da quel momento, così operò per affrontare la conoscenza e l’interpretazione del patrimonio culturale.

La grande mostra si conclude con: 2018 Muri di Forlì: letture fotografiche di Luca Massari, 50 immagini per una narrazione in chiave contemporanea di uno dei temi cari a Paolo Monti, ovvero quello dei dettagli urbani. Si tratta di fotografie dedicate ai muri della città appositamente scattate da Luca Massari, artista che ha raccolto l’invito e l’eredità del grande maestro, morto a Milano nel 1982.

(to be continued…)

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