Cronache di un Natale post occidentale

Questo fine 2025 porta una riflessione seria, un po’ cinica, su come le alleanze possono cambiare quando nella politica ci finisce un individuo che varia canovaccio in continuazione.

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C’è qualcosa di profondamente natalizio – se uno ha un debole per la comicità involontaria- nel vedere Donald Trump e Vladimir Putin ritratti come due compari di lunga data; un po’ come i Babbi Natale che si incrociano nei centri commerciali, solo con più testate nucleari e tanta misantropia. E chissà, forse in fondo è proprio questo che ci meritiamo: un presepe geopolitico dove il Bambinello dorme, l’asino raglia e l’Occidente si accorge all’improvviso che uno dei Re Magi, invece dell’oro, ha portato una sega per tagliare 80 anni di pace con un colpo di scena da cinepanettone geopolitico.

Trump – che a quanto pare ha deciso che la nuova magia del Natale è riscrivere la storia con la stessa agilità con cui cambia avvocati e staff – ha abbracciato l’idea che l’Europa non serva più, anzi che sia la reale nemica, una palla al piede, un fastidio, un’antiquata usanza come il presepe: roba da intellettuali liberal che osano leggere i trattati proposti da lui prima di firmarli.

Putin, dal canto suo, osserva tutto con un sorriso da vecchio pervertito che scruta appagato le mosse di un bambino narcisista antisociale mentre distrugge il plastico del trenino degli amichetti di scuola… Per lui è Natale anticipato da mesi: poter vedere la NATO barcollare, non perché lui l’ha colpita, ma perché ci pensa già un misantropo che si fida più dei suoi pagliacci asserviti che delle Istituzioni del suo Paese.

Il tradimento “affettivo”: roba da sociologi e psichiatri

Dal punto di vista sociologico, siamo davanti a un caso da manuale: l’alleanza USA-Europa è stata per decenni una relazione stabile, matrimoniale con tutte le sue stanchezze e litigi: quella lentezza nelle decisioni tutta europea!… Quel capitalismo troppo spinto degli americani!… ma comunque un sodalizio basato su un principio semplice: insieme si regge il mondo, separati ci si arrangia male.

Trump ha deciso di fare il classico gesto di chi – stanco del matrimonio – vuole “ritrovare sé stesso”: mollare la compagna di una vita e tornare con l’ex tossica, quella con la quale anni prima faceva orge di sesso e droga. Un cliché umano, applicato però all’ordine globale.

E qui entra il reparto psichiatrico: perché per scaricare un partner che garantisce stabilità, sviluppo e sicurezza, per tornare a flirtare con un leader che ti ha hackerato le elezioni e messi Trojan un po’ dovunquedevi avere una percezione della realtà degna del miglior film di Tim Burton.

L’atteggiamento di Trump è infatti lo specchio perfetto del narcisismo 2.0: quello che ti dice che sei grande, forte, invincibile, finché non ti accorgi che l’unico ad applaudirti sei tu stesso, con Putin che ti osserva divertito come farebbe un gatto con una lucertola allucinata che si crede un T-Rex.

Europa: l’amica fedele che non ha ancora capito cosa ha fatto di male

Dal lato europeo, invece, il tradimento viene vissuto con l’ingenuità affettiva di chi credeva davvero che gli Stati Uniti fossero “per sempre”. Ottant’anni di NATO, di piani Marshall e di cibo spazzatura al Mc Donald’s: un legame cementato da cultura, politica, economia e da un nemico comune che oggi è più proattivo che mai. Eppure, basta un Trump con il telecomando in mano, e improvvisamente Washington guarda verso Mosca come se ci fosse un nuovo influencer da seguire.

L’Europa reagisce come chi, dopo una storia lunga e travagliata, riceve un SMS con scritto: “Non mi piacete, perché spendete poco in difesa e non spendete da me.” Una frase che detta da Trump suona un po’ come se dicesse “io c’ho la panza, faccio un po’ schifo, ma siete voi a dover fare più palestra”.

Il Natale della geopolitica rovesciata

Di solito a Natale ci si scambia regali, ci si abbraccia, si canta, si brinda. Nel nuovo immaginario trumpiano, invece, il pacco regalo contiene armi (con bandierine incluse nelle canne), la slitta è trainata a gasolio russo, e il messaggio sul biglietto d’auguri potrebbe tranquillamente essere: “Che il vostro 2026 sia pieno di imprevisti, ma senza alleanze funzionali.

Nell’immagine che accompagna questo scritto, Trump è un Babbo Natale alternativo: non porta gioia, porta armi; non distribuisce doni, distribuisce instabilità; non unisce i popoli, li mette in competizione per vedere chi crolla per primo. È un Babbo Natale al contrario, è la versione geopolitica di Alice nel Paese delle Meraviglie, senza Alice e con due Cappellai Matti: uno in USA, l’altro in Russia.

La logica paradossale del “tradimento amichevole”

C’è poi un aspetto sociologico più profondo: Trump non percepisce il concetto di “alleanza” nel senso classico del termine. La sua idea di legame tra Stati è più vicina al concetto di “accordo tra uomini forti”: funziona finché conviene a lui, e se smette di convenire si può cambiare partner senza troppi complimenti… è chiaro che non ha il senso dello Stato, anzi -a dirla tutta- se ne fotte degli USA.

Putin lo ha capito subito -non serve Freud, basta un’ora su Twitter- e infatti lo tratta come si tratta un utile idiota. Sa bene che non è affidabile, ma fin quando semina disordine nella NATO gli va più che bene, e se poi spacca l’UE anche meglio. La sociologia definisce questo comportamento come “disallineamento degli obiettivi”: in pratica, uno vuole l’instabilità dell’Occidente, l’altro vuole sentirsi un protagonista della storia. E quando questi due desideri si incrociano, l’Europa finisce sulla graticola.

Europa: svegliati: il paradosso natalizio

Ed eccoci alla parte migliore: tutto questo succede a Natale. La festa della pace. La ricorrenza dove gli esperti di marketing ti dicono: “Sii buono, sii gentile, sii solidale” e compra i panettoni!

E invece no: Questo Natale potrebbe essere ricordato come il primo in cui un leader occidentale ha fatto gli auguri rovesciando simbolicamente la mappa del continente da cui provengono i suoi alleati storici. È come se in un cenone di famiglia lo zio miliardario mandasse tutti al diavolo e annunciasse che a Santo Stefano pranzerà con il vicino di casa che da anni gli avvelena l’acqua del pozzo.

Alla fine, la domanda vera è: l’Europa si sveglierà? Capirà che non può più contare su una relazione affettiva, che deve iniziare a investire sulla sua autonomia, sulla sua difesa, sulla sua stabilità interna? Capirà che l’America non è più amica dell’Europa? O continuerà a fissare il telefono, aspettando un messaggio ufficiale di Trump che pur arrivando in un inglese imbarazzante, basico nel vocabolario e nella sintassi, conterrà il solito insulto, tanto per essere sicuri provenga proprio da lui?

Qualcosa dovrà cambiare. E in fondo, forse, è un bene: perché l’Europa non può vivere all’infinito sotto l’ombrello di chi continua a far guerra da 80 anni. La geopolitica non è un reality show e la Democrazia ha bisogno di adulti al volante, non di paranoici che fanno sorprese avvelenate.

Buon Natale, comunque

E allora sì, facciamoci gli auguri. Ma con l’ironia amara di chi sa che questo Natale non porta solo lucine e panettoni: porta una riflessione seria, un po’ cinica, su come le alleanze possono cambiare quando nella politica ci finisce un individuo che varia canovaccio in continuazione.

E allora, in attesa che qualcuno rimetta a posto il presepe geopolitico, possiamo solo augurarci un Natale di lucidità collettiva. Magari con un piccolo miracolo: che qualcuno, da qualche parte, si ricordi che l’Europa è stata il regalo più grande che ci siamo fatti da soli. Buon Natale, dunque. Che sia almeno più saggio di chi pretende di guidare il mondo con una slitta carica di rancore e veleno per topi.

È inevitabile, quando le democrazie non sanno più raccontarsi arrivano spesso clown supportati da miliardari, per raccontare favole eccitanti, che non finiscono quasi mai bene… perché – come dice l’adagio- “Quando un clown entra in una Reggia non ne diventa Re, è la Reggia che diventa un circo”.

Carlo De Sio

Laureato in Scienze Politiche ed Economiche, con Master in Psicologia Sociale e Pubbliche Relazioni, quando ancora servivano a qualcosa. Ex pubblicitario pentito, esperto di marketing prima che diventasse una parola senza senso. Giornalista curioso per mestiere, pittore digitale per sopravvivenza emotiva. Ho vissuto i Caroselli veri e ora analizzo quelli truffaldini. Scrivo per chi ha ancora due neuroni e una sana diffidenza per il coro pubblico. Questo è il mio chiringuito mentale: se chi mi legge cerca miracoli, cambi grappa. Qui si serve solo pensiero liscio.

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