In un’epoca non troppo lontana, parliamo degli anni ’90 si faceva la guerra ai germi; Luciano Onder (già allora soporifero) conduceva Medicina 33 e TG2 Salute e ci diceva quanto fossero cattivi; sul suo insegnamento le nostre donne spruzzavano Amuchina e Creolina a pioggia, poi il Napisan -killer al 99,9% di germi e batteri- placava tutte le nevrosi delle giovani mamme.
Ma poi in una di quelle inversioni a U, sobillate dal marketing verde delle case farmaceutiche, nel nuovo millennio i germi sono diventati buoni. Non tutti, solo quelli “giusti”. E, proprio in questo periodo – ci avete fatto caso? – siamo martellati dalla pubblicità sui social che ci invita a comprare germi e batteri in farmacia come fossero grani di felicità eterna: si chiamiamo probiotici, capsule piene di minuscoli alleati dell’intestino, vendute come se fossero biglietti per la Lotteria della Salute.
La pubblicità ci spiega che è a causa dello stress delle vacanze che abbiamo bisogno di capsule “ad alto dosaggio” e con “ceppi leader”. Lo consiglia (tra i tanti oscuri testimonial) anche il famoso (🤔?) dott. Martin Gschwender, consulente di Kijimea (guarda caso) in una intervista inventata da un ignoto Sandro De Rosso…
Cosa non si fa con l’I.A.! Il paradosso è che tra la “ricerca scientifica” e le “capsule miracolose da banco” c’è la stessa distanza che c’è tra la Nona in Re min. di Beethoven e un Jingle per una qualsiasi misera pubblicità di questi tempi.
Il mito del microbiota
Per capire come siamo arrivati qui, bisogna tornare al 2001, quando il premio Nobel Joshua Lederberg coniò il termine “microbiota” per indicare l’ambiente di tutti quei microrganismi che vivono in simbiosi con il nostro corpo. Da lì è partita una valanga di studi, progetti e pubblicazioni che hanno mappato migliaia di batteri intestinali, scoprendo connessioni sorprendenti: il 70-80% di queste cellule immunitarie risiede nell’intestino e chiacchierano incessantemente con cervello, pelle, metabolismo e persino con l’umore. Questa relazione è nota come “asse intestino-cervello” ed è per tale motivo che -scherzando, ma mica tanto- si dice che l’intestino sia il nostro 2° cervello.
Il marketing ha preso questi concetti, li ha shakerati e con un po’ di storytelling li ha trasformati in slogan: “I tuoi probiotici si prenderanno cura di te”. Peccato che dalla ricerca di base alla pillola miracolosa, venduta a peso d’oro, ci sia un oceano di euro e/o dollari di differenza.
Dove funzionano davvero
La scienza conferma: i probiotici hanno un ruolo chiaro solo in alcuni contesti, quando si parla di ceppi e dosaggi precisi, prescritti da un medico, testati in studi random e controllati, nei casi di:
- Diarrea da antibiotici: ceppi come Lactobacillus rhamnosus riducono realmente la durata e la gravità della diarrea.
- Enterocolite necrotizzante nei neonati prematuri: uso specifico di ceppi selezionati.
- Sindrome dell’intestino irritabile (IBS): alcuni studi mostrano benefici su dolore e gonfiore, ma non in tutti i pazienti.
In tutti gli altri casi, e precisamente nelle irreali “miscele multi-ceppo” da supermercato, che promettono di “riequilibrare la flora in 7 giorni 7”, non servono a nulla. È un po’ come spruzzare Chanel n.5 sull’immondizia: di certo diventa profumata… ma sempre monnezza da buttare è.
Il microbiota ha una memoria di ferro, si autoregola e torna come prima non appena smetti le capsule. Per mantenerlo in forma, la scienza consiglia cose più terra terra e meno glamour: niente schifezze a pranzo e un po’ di esercizio fisico, magari -orrore!- una camminatella ogni giorno.
Il marketing al suo meglio (dove l’evidenza è debole)
Le etichette sono un capolavoro di creatività pseudoscientifica: “ceppi di germi leader” (in quale parte della Terra c’è stato il campionato mondiale dei batteri?); “formule sinergiche” (me li immagino ‘sti germi che si passano la palla come il Barcellona di Messi); “ad alto dosaggio” (questa è bellissima: alto rispetto a cosa?).
E per chi sta bene? Qui le cose si fanno molto meno glamour. La maggior parte degli studi su soggetti sani mostra benefici minimi o transitori. Come già detto il microbiota tende a tornare al suo assetto originale (il cosiddetto set point) nel giro di poco tempo dall’interruzione delle capsule.
E allora? Forse, per una persona in salute è più sensato puntare su una dieta ricca di fibre, frutta, verdura, legumi e alimenti fermentati naturali come yogurt, kefir, crauti. Questi non solo costano meno, ma portano anche nutrienti e molecole benefiche che una capsula isolata non potrà mai dare.
Il linguaggio scientifico viene preso in ostaggio e usato per nobilitare un prodotto che, nella maggior parte dei casi, non ha studi robusti alle spalle. È l’health washing: lavare il cervello del consumatore con termini salutisti fino a fargli credere che ogni giorno, senza quei batteri in capsule, il suo intestino sia sull’orlo di un baratro. Il linguaggio medico diventa un travestimento elegante per dare un’aura da Oscar a qualcosa che -nella maggior parte dei casi- alle spalle ha meno studi seri di un bel biscotto integrale senza zuccheri aggiunti da inzuppare nel caffè latte di soia.
Rischi e false sicurezze
Vero è che a una persona sana che usa i probiotici a lungo non accade nulla, ma non serve… ma attenzione: nei pazienti immunodepressi o con gravi patologie intestinali, introdurre batteri vivi può essere rischioso. E soprattutto, c’è il rischio più subdolo: diventare ipocondriaci pensando che basti ingoiare un paio di capsule per compensare una dieta piena di cibo spazzatura o, peggio, andando ad ingozzarsi al McDonald, condendo poi il tutto con stress e sedentarietà… ma il mito della “pillola magica” è duro a morire: è consolante, rincuorante e fa vendere un sacco alla Farmaceutica che si guarda bene dal precisare l’uso smisurato; per convincerci le Case fanno tanta pubblicità, un ricarico pubblicitario tosto sui probiotici che va tra il 10 ed il 25% del costo di produzione, fino al 40% per il lancio!… Insomma chi utilizza i probiotici compra soprattutto pubblicità.
Il probiotico della nonna
…Ma tante le attestazioni di medici nutrizionisti e tante ricerche scientifiche sostengono che il miglior probiotico non si trova in farmacia ma a casa, in cucina: zuppa di fagioli, legumi in generale, insalata verde, cavolo cappuccio, cetrioli e cipolle, un vasetto di yogurt fresco fatto in casa, formaggi stagionati, succo di limone…. E magari una camminata: l’intestino ama il moto quanto ama le fibre.
Per il resto, se proprio volete spendere 30-60 euro al mese in probiotici, fatelo pure. Ma se siete sani probabilmente state comprando un’illusione lievitata nel marketing verde farmaceutico.
Se vi sentirete meglio dopo averla presa, potrebbe anche essere merito suo… o del fatto che per un effetto placebo, avete creduto davvero che la salute si potesse curare con una capsula costosa.
Per chi volesse andare oltre il l’ironia e farsi un’idea basata su dati, ecco alcune fonti scientifiche solide. Sono esenti da controindicazioni intestinali e aiutano a fare distinzione tra scienza e pubblicità:
- Allen SJ et al., 2010 – Probiotics for treating acute infectious diarrhoea. Cochrane Database of Systematic Reviews, Issue 11. Alcuni ceppi riducono la durata della diarrea acuta nei bambini.
- Hempel S et al., 2012 – Probiotics for the prevention and treatment of antibiotic-associated diarrhea. JAMA, 307(18):1959-1969. Utili Lactobacillus rhamnosus GG e Saccharomyces boulardii contro la diarrea da antibiotici.
- Ford AC et al., 2014 – Efficacy of probiotics in irritable bowel syndrome. American Journal of Gastroenterology, 109(10):1547–1561. Benefici moderati, ma dipendono da ceppo e paziente.
- Zmora N et al., 2018 – Personalized Gut Mucosal Colonization Resistance to Probiotics. Cell, 174(6):1388-1405.e21. Nei soggetti sani, effetto spesso minimo e temporaneo.
- Suez J et al., 2019 – Post-Antibiotic Gut Mucosal Microbiome Reconstitution Is Impaired by Probiotics. Cell, 174(6):1406-1423.e16. Alcuni probiotici possono rallentare il recupero del microbiota naturale.
- Hill C et al., 2014 – Expert consensus document on probiotics. Nature Reviews Gastroenterology & Hepatology, 11:506–514. Documento di consenso su definizione e uso corretto del termine “probiotico”.