“Come il senso, alla fine, torna al nulla./ Come ogni senso fluisce al proprio nulla./ Raccomandava il buon vecchio di Trieste/ Leggi, leggi, leggi e sempre avrai sorprese. Proprio lì, in quello stesso verso. Un solo verso./ Un rigo musicale, un rigo appena./ È nella testa un cerchio che non chiude./ L’anello mai fermo al dito./ Lì dove un mondo/ Penetra e si dissolve, ogni volta./ Su quello stesso verso”.
L’opus incertum è tra le più antiche tecniche edilizie di Roma antica. Con l’“opera incerta” abili operai mettevano in posa pietre di forma diversa – in grandezza e in qualità – per lastricare strade oppure per alzare i paramenti di muri. Di misura e di colori differenti erano pure le tessere che i maestri mosaicisti bizantini assemblavano per le immagini nelle chiese e nei palazzi nobiliari. E di mosaico parla anche Roberto Deidier nella nota di chiusa che accompagna i versi del suo ultimo volume, Quest’anno il lupo fissa negli occhi l’uomo, quinta pubblicazione uscita nella collana “BiancaBlu” dell’editore Molesini.
“Il libro raccoglie poesie scritte negli anni, o dediche d’occasione, che non hanno trovato posto nel disegno dei libri precedenti”. Il titolo è invece stato “rubato” – sempre per esplicita ammissione di Deidier – da Anna Maria Ortese: il furto è da Casa di bambola, prosa narrativa contenuta in Angelici dolori e altri racconti. L’assemblaggio che il poeta – romano di nascita ma ormai palermitano d’adozione, insegnando da molti anni Letteratura italiana nell’ateneo del capoluogo siciliano – mette in opera nel suo libro ricorda, per molti aspetti, l’opus dei muratori latini e l’accurata scelta delle pietruzze colorate dei mosaicisti medievali: uniformità e visione d’insieme si coglievano nel risultato finale delle pavimentazioni, dei muri e delle decorazioni musive; “unitaria” – come correttamente osserva Marco Carmello nell’introduzione – e perfettamente in linea con la poesia raccolta degli altri suoi canzonieri (l’esordio di Una stagione continua e proseguendo, tra il 2002 e 2021, con Il primo orizzonte, Solstizio e All’altro capo) può dirsi l’ultima silloge.
Nel nuovo ‘allestimento’, Deidier non monta i testi poetici seguendo il criterio cronologico della composizione (di cui, però, dà conto nella nota conclusiva, citando le riviste, le antologie e le edizioni d’arte che originariamente li avevano accolti). L’indice s’articola, invece, in tre capitoli– “Tempi di lune e d’intelligenza”, “La tigre, per esempio” e “Dettagli da lontano” – che raccolgono le settantaquattro poesie scelte. Ancora si sbaglierebbe, scorrendo le pagine delle sezioni, se si volesse cercare un “tema” (per dirla con Elisabeth Frenzel), unico e portante; mentre sono riconoscibilissimi e bene amalgamati – in questa veste nuova – tutti i tratti peculiari della cifra poetica di Deidier. È certosino il lavoro di ‘lima’ sulla parola nella costruzione del verso: “Inutile aggredire/Princìpi di realtà./ Si può solo fuggire/ Dalla felicità./ E mentre fuori piove/ Tu provati a schiarire/ Il punto esatto dove/ Il sole va a morire”. La parola è efficace tramite espressivo della ‘voce’ del poeta e del suo sentire polifonico: nella lingua ‘culta’ dei “Tre stadi” d’ispirazione dantesca; nelle “Calascionate nella lingua del padre”, composte in “un napoletano improbabile, appreso (parodiato?) dall’ascolto delle canzoni più antiche di quella tradizione”; nella lingua ‘resa’ dall’inglese per la traduzione della “Tigre” di William Blake, per una lettura performativa al Teatro Garibaldi di Palermo per gli ottant’anni di Letizia Battaglia.
In questa stessa lingua idealmente s’incorniciano i “motivi” (ancora con Frenzel) della composita narrazione in versi di Deidier: il vissuto quotidiano; il tempo – nell’evoluzione della storia (universale e personale), nel rapporto speculare con la natura, nella stratificazione letteraria che segna la sua poesia – gli affetti più intimi. Esempio emblematico è quello del dittico di chiusa, in ricordo dell’amico poeta Maurizio Marotta: “Non solo sua è questa curva di dolore/ Delle finestre affacciate verso il mare./ Il mattino è una parete opaca/ Di viaggi uguali segnati sopra i vetri;/ Non è questa la città dove è nato,/ Se la domenica la pagliuzza corta/ Come l’estate, come l’allegria”.
Roberto Deidier, Quest’anno il lupo guarda negli occhi l’uomo, Venezia, Molesini Editore, 2025