Malattie cardiovascolari, la vera pandemia è questa

Il divario pesante tra Nord e Sud: nel Mezzogiorno politiche sociali pressoché assenti, tanti fattori di rischio e scarsa sensibilità ai temi della prevenzione. Così in Campania ci sono 6mila morti improvvise ogni anno. L'analisi e la denuncia di Carmine Landi, cardiologo ed esperto di politiche sanitarie territoriali

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Prima causa di morte al mondo e in Italia. «Le malattie cardiovascolari sono la vera pandemia» – dice senza mezzi termini Carmine Landi, cardiologo, esperto di politiche sanitarie territoriali, che ha speso gran parte della sua vita professionale per sottolineare l’importanza della prevenzione delle malattie cardiovascolari. Si tratta di un gruppo di patologie di cui fanno parte le malattie ischemiche del cuore, come l’infarto acuto del miocardio e l’angina pectoris, e le malattie cerebrovascolari, come l’ictus ischemico ed emorragico. Parliamo di malattie su cui si può fare prevenzione con uno stile di vita sano, una corretta alimentazione e una regolare attività fisica.

Carmine Landi, cardiologo ed esperto di politiche sanitarie territoriali

Dottore, i dati dicono che le malattie cardiovascolari sono una vera piaga in Italia e nel mondo: è effettivamente così?

Sono uno dei più importanti problemi di salute pubblica, morbosità, invalidità e mortalità. Le malattie cardiovascolari sono la prima causa di decesso al mondo: i dati parlano di 240mila morti ogni anno, un numero superiore anche rispetto ai decessi causati dalle malattie tumorali. E ricordiamo che chi sopravvive, dopo la fase acuta, diventa malato cronico, con ripercussioni sulla spesa pubblica.

Quali sono i principali fattori di rischio?

Ce ne sono alcuni non modificabili, come l’età, la familiarità, tanto per fare due esempi; e poi ci sono i fattori modificabili: l’obesità, l’ipertensione, il fumo, il diabete… Questi ultimi sono fattori modificabili con uno stile di vita sano, con una adeguata e corretta alimentazione, con un’attività fisica moderata, senza dimenticare una massiccia attività di prevenzione. I numeri che riguardano le persone che si ammalano di patologie cardiovascolari sono alti, è vero;  ma nell’ultimo ventennio abbiamo raggiunto ottimi risultati in termini di diagnosi e terapie. Possiamo dire, anzi, che l’Italia, grazie a un buon percorso di prevenzione e di strategia di salute della popolazione abbiamo fatto grandi passi in avanti: in Europa siamo la nazione a più basso rischio cardiovascolare.

Possiamo, dunque, tirare un sospiro di sollievo

Assolutamente no: i dati parlano di ottima prevenzione al Centro-Nord Italia e di percentuali molto basse al Centro-Sud. Ci sono una serie di fattori che possono influenzare questa situazione, in primis lo stile di vita e l’indice di povertà: sono due elementi che pesano e che determinano un divario tra Nord e Sud Italia. Al Nord le politiche sociali prevedono molti più parchi per la salute e molte attività sportive, che sono tenute in considerazione e sono intensificate già durante la scuola. Al Sud siamo, invece, più goderecci e sedentari e abbiamo comunque un indice di povertà alto che si traduce in stili di vita particolari che certo non aiutano la prevenzione.

Ne consegue che la mortalità al Sud è più alta: è così?

Sì, la mortalità è maggiore perché i fattori di rischio sono meno gestiti. Ricordiamo sempre l’interesse all’attività sportiva e l’equilibrio alimentare. Si dovrebbe cominciare a investire seriamente nella salute pubblica e sarebbe necessario educare i bambini fin dall’età scolare ad avere uno stile di vita sano.

E la Campania com’è messa?
Siamo allo stesso livello di Basilicata, Calabria e Sicilia. Il problema sa qual è? Si investe poco in politiche sociali, in salute pubblica, nel costruire parchi, aree di verde attrezzato, prevedere interventi sugli effetti negativi del fumo, del colesterolo, della sedentarietà. Pensi che abbiamo il più alto tasso di obesità infantile… E allora la scarsa informazione associata a un livello socio-economico più basso causa determinati problemi.

Quindi manca la sensibilità che poi dà il via alle attività di prevenzione?

Spesso gli assessori non sono medici né tecnici: l’esempio della Campania è sotto gli occhi di tutti. Servirebbero tavoli tecnici e sarebbe necessario pianificare strategie per risolvere il problema. Non nascondo che, in ambito più locale, vogliamo recuperare sportivi di vecchia data e, con la loro disponibilità, consentire di praticare sport anche ai bambini che sono figli di famiglie disagiate. A piccoli passi,  dobbiamo intraprendere percorsi seri di prevenzione. Anche perché le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte improvvisa; ma sono anche la prima causa di disabilità.

Approfondiamo i dati relativi alle morti improvvise.

È necessario lavorare a progetti di cardioprotezione, cercando di portare all’addestramento anche i cosiddetti laici. I dati sono sconfortanti: parliamo di 60mila morti improvvise in Italia e di queste 6mila sono in Campania. Veramente siamo di fronte a una pandemia di morte improvvisa ogni anno. Oggi i defibrillatori sono più diffusi ma non basta. Sa quante morti improvvise ci sono senza possibilità di interventi diretti? I defibrillatori vanno integrati nella rete di emergenza: il personale del 118 deve essere pienamente a conoscenza della mappa. Invece in Campania siamo fermi alla presenza dei dispositivi senza il loro inserimento in rete  con personale addestrato. Ecco perché sulla prevenzione si dovrebbe lavorare tanto, dalle scuole, continuando nelle sedi politiche e poi nell’ambito delle associazioni.

La prevenzione che diventa “civiltà”: possiamo dirlo?

Esatto. La prevenzione si riflette in maniera positiva sulla salute pubblica e quella economica. Pensiamo solo a quanto risparmierebbe la sanità se riuscisse a prevenire determinate patologie. Di recente a un congresso ho affermato con forza proprio questo: in Campania, stante la situazione attuale, non possiamo parlare di rete dell’infarto.

Perché?

Perché il 118 deve essere addestrato e obbligato a protocolli terapeutici. Invece, determinati protocolli non solo non sono obbligatori, ma non vengono neppure praticati perché non tutto il 118 è addestrato. Noi stiamo parlando di emergenze severe come la dissezione aortica, l’infarto, l’ictus: non sono patologie da poco. Ci vuole la percezione del problema e il dettaglio lo capisce chi ha fatto questo mestiere per anni, senza offesa a chi con tanti sacrifici svolge il proprio lavoro. Sono situazioni delicate per cui c’è bisogno di grande esperienza e grande autorevolezza per la diagnosi e per la risoluzione del problema. E invece i politici si preoccupano dell’evento solo quando capita. Noi medici sappiamo bene che la rete funziona solo se c’è coesione tra tutti gli elementi della catena. A Piacenza e a Siena, per esempio, grazie ai defibrillatori sono state salvate centinaia di persone da “laici” che hanno imparato a usare questo strumento. A Salerno, invece, non funziona così. E io l’ho amaramente constatato in prima persona, trovandomi sul lungomare in occasione del decesso di un runner. Tutte le città e tutti gli ambienti dovrebbero essere forniti di defibrillatori: bisogna dare chance di vita a chi ha un arresto cardiaco. Quando lo capirà chi ci governa?

Cambiando per un attimo argomento, si parla spesso dell’aumento delle patologie cardiovascolari dovute al Covid-19. Che ne dice?

Sono dovute al Covid-19 e ai vaccini che, con incidenze particolarmente basse, hanno portato a miocarditi e trombosi. Ma bisogna dire anche che i pazienti, per paura, si sono controllati meno e che sono stati sottovalutati dei rischi.

Investire nella prevenzione è l’unica soluzione?

Io sono volutamente polemico e ho fatto un’analisi: nell’attuazione di un piano sanitario regionale o nazionale, com’è possibile che non conti niente l’aumento della mortalità del 3/5% nella popolazione? Allora provocatoriamente penso che i piani sanitari vengano realizzati mettendo in preventivo anche un aumento della mortalità. Però, consentitemelo, fare politica in questo modo significa legalizzare i delinquenti; anzi, forse peggio: io non conosco delinquenti che fanno 7mila morti l’anno…

Con il Pnrr potrebbe cambiare qualcosa?

Il Pnrr dovrebbe portare tante risorse: sul profilo sanitario si parla di ospedale di comunità come centro di accoglienza, della telemedicina… Ma queste cose con chi le faranno? C’è penuria di medici, infermieri e amministrativi sanitari. E con chi riempiremo queste strutture? Saranno realizzate senza avere squadre in campo. Insomma, il rischio è che avremo i progetti ma non chi gestisce queste situazioni.

Barbara Ruggiero

Coordinatore del magazine, giornalista professionista, è laureata in Comunicazione. È stata redattrice del Quotidiano del Sud di Salerno e, tra le altre esperienze, ha operato nell’ufficio comunicazione e rapporti con l’informazione dell’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni). Già docente di progetti mirati a portare il giornalismo nelle scuole, è stata anche componente e segretaria del Consiglio di Disciplina dell’Ordine dei giornalisti della Campania.

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