Luci e ombre dell’ambientalismo di Francesco

L’agenda mondiale condiziona il lessico papale con il rischio della sua omologazione allo spirito dei tempi e di una polarizzazione che distingue i buoni dai cattivi su un terreno molto scivoloso. Le "distanze" con la visione di Paolo VI

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“Laudate Deum” è l’ultimo documento magisteriale di papa Francesco nella forma della “Esortazione Apostolica”. Il documento, pubblicato il 4 ottobre nella festa di S. Francesco di Assisi, a distanza di otto anni si pone nella sequela della “Laudato si’” e affronta il tema del cambiamento climatico. Argomento quanto mai dibattuto a livello globale e che, al di là del mainstream della sua volgarizzazione, non trova concorde neppure la comunità scientifica e ai più alti livelli.

Tuttavia, appare rilevante l’interesse che l’attuale pontificato riserva a tale argomento al punto da costituire un elemento di continuità nei vari pronunciamenti papali, tutti attenti alla “cura della casa comune”. Il rischio, però, è anche rappresentato dal cimentarsi con questioni che solo indirettamente coinvolgono il piano della fede e della morale e che possono apparire a distanza di tempo come il frutto delle sollecitazioni di un certo momento e di un certo tipo di sensibilità. Che il problema del cambiamento climatico esista, è un dato dell’esperienza comune, quale ne sia la causa è questione ancora dibattuta, sempre che se ne possa invocare una sola di causa. Inoltre, come Popper ha insegnato, anche i dati delle scienze sono soggetti a continua verificabilità, sicché la loro verità si impone come provvisoria, mai come assoluta, al contrario del dogma, su cui si articola il “deposito della fede”, che, per sua natura, reclama definitività.

Da quando il magistero papale è entrato nel vivo delle questioni sociali, con un’accelerazione a partire dal Concilio Vaticano II e dalla sua costituzione “Gaudium et Spes” sui rapporti tra chiesa e mondo, la tendenza a sposare alcune istanze prevalenti in un certo momento storico e frutto di quella temperie è diventata evidente. Ne è prova, tra l’altro, l’enciclica di Paolo VI “Populorum progressio”, datata 1967, di cui “Laudate Deum” può rappresentare il controcanto, a dimostrazione che anche alcuni documenti papali sono specchio della visione del mondo di un certo momento con la tendenza ad essere travolti dal mutamento culturale. Contraddizione insanabile per chi incarna un’istituzione bimillenaria con carattere di infallibilità.

Quando Paolo VI scriveva, nella seconda metà del XX secolo, “«Riempite la terra e assoggettatela»: la Bibbia, fin dalla prima pagina, ci insegna che la creazione intera è per l’uomo, cui è demandato il compito d’applicare il suo sforzo intelligente nel metterla in valore e, col suo lavoro, portarla a compimento, per così dire, sottomettendola al suo servizio. Se la terra è fatta per fornire a ciascuno i mezzi della sua sussistenza e gli strumenti del suo progresso, ogni uomo ha dunque il diritto di trovarvi ciò che gli è necessario”, non teneva certo conto delle conseguenze di uno sfruttamento indiscriminato delle risorse a base anche dell’industrializzazione esaltata come “necessaria all’accrescimento economico e allo sviluppo umano”. Affermazioni queste che risentono dell’ingenuo ottimismo degli anni ’60 del secolo scorso, poi contraddetto dalle crisi che si sono susseguite nei decenni successivi, fino a quella climatica che si annuncia come globale. Oltretutto, Montini della “prima pagina della Bibbia” coglieva la lettura più convenzionale, non quella del secondo racconto della creazione dell’uomo, in cui “Dio portò via l’uomo, lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse”. Dunque, con un mandato di custodia, non di assoggettamento.

A distanza di mezzo secolo dal suo predecessore, Francesco scrive: “Le risorse naturali necessarie per la tecnologia, come il litio, il silicio e tante altre, non sono certo illimitate, ma il problema più grande è l’ideologia che sottende un’ossessione: accrescere oltre ogni immaginazione il potere dell’uomo, per il quale la realtà non umana è una mera risorsa al suo servizio. Tutto ciò che esiste cessa di essere un dono da apprezzare, valorizzare e curare, e diventa uno schiavo, una vittima di qualsiasi capriccio della mente umana e delle sue capacità”. Mettendo a confronto i due passi è facile notare un capovolgimento della visione papale di progresso. Se il discorso di Paolo VI era più articolato e faceva perno sull’equa distribuzione delle risorse a livello mondiale, oggi appare pur sempre figlio di quella lettura di Genesi che fa dell’uomo il dominatore e non il custode della creazione. Francesco, oltretutto, entra nel merito di questioni squisitamente tecniche quando parla di concentrazione dei gas serra nell’atmosfera pari “a 423 parti per milione”, dati del giugno 2023, con la conseguenza che “oltre il 42% delle emissioni nette totali dal 1850 è avvenuto dopo il 1990”. A titolo di esempio denunzia anche chiari responsabili dell’inquinamento ambientale quando ricorda che “le emissioni pro capite negli Stati Uniti sono circa il doppio di quelle di un abitante della Cina e circa sette volte maggiori rispetto alla media dei Paesi più poveri”, sottacendo che proprio in paesi come la Cina la competizione per la leadership mondiale ha comportato i maggiori sacrifici ambientali.
Con il magistero di Francesco appare dunque superato quanto il suo predecessore, che pure lui ha voluto santo, sullo scorcio degli anni ’60 e di un concilio pastorale appena concluso, aveva auspicato con un atto di fiducia verso “le magnifiche sorti e progressive” dell’umanità. Oggi l’auspicio è che la Conferenza delle parti (COP28) di Dubai “porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente”. L’agenda mondiale condiziona il lessico papale con il rischio della sua omologazione allo spirito dei tempi e di una polarizzazione che distingue i buoni dai cattivi su un terreno molto scivoloso. Altro discorso è “la custodia e l’interpretazione di tutta la legge morale, non solo evangelica, ma anche naturale” che sempre Paolo VI e nel documento più contestato del suo pontificato, l’enciclica “Humanae Vitae” sul controllo delle nascite, nella sequela della successione apostolica, rivendicava a sé e ai suoi successori. E se oggi appare normale ricondurre anche la questione climatica a morale, una conseguenza può essere l’inflazione dei temi autenticamente morali nella più generale liquidità del lessico papale.

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