Gli archivi sono territori da scoprire, colmi di immagini e confidenze. Occorre dominare gli istinti insospettabili che si moltiplicano quando ci si addentra. La prima emozione trascorre rapida: la confusione poco convinta si trasforma nel cruccio della scelta introspettiva della ricerca e dopo una panegirista indulgenza che diventa devozione. Tracce di insediamenti abitativi di ricercatori nascono sul terreno pratico di scaffali pieni di fogli bianchi e colorate matite, varianti di penne bicolore, rotoli di carta che offrono informazioni sull’identità degli storici entro corridoi che creano agglomerati urbani di una certa dimensione.
Bevilacqua ne Il viaggio misterioso descrive la materia esplorativa che avviene dentro l’anima: “Fissare la realtà, crearsela. Fino a farsene una storia di se stessi”. Io ho un presidio fisso nel rapporto tra ricerca e narrativa e con il passare degli anni il centro dei miei studi ormai ha una certa dimensione. Man mano che interpreto i caratteri della storiografia, il modello di ricerca tende alla creatività e ciò non è casuale. Lo schema di riferimento è bene espresso sulla superficie piana del tavolo da lavoro che comincia a sviluppare antichi santuari e vallate remote, castelli con confini di torri medioevali e persino paesi che furono teatro di tristi combattimenti. Studio gli Ostrogoti del V secolo che hanno la mia devozione e riesco a immaginare amici storici della letteratura partecipare a fianco di Teodorico contro Odoacre. In quell’oscuro silenzio tra gli scaffali, sento le impronte pesanti dei soldati. Invece, è sempre Maria che appare con l’intero cassetto marrone del casellario. I bordi di ferro sono consumati. La data si legge poco, condizionata dalle tante mani che lo sfiorano. Quando mi sorride, colgo l’immagine di una compagnia di Ostrogoti nella giornata memoranda dell’11 agosto 490: la grande battaglia sull’Adda e la vittoria di Teodorico.
Nel meraviglioso volume La civiltà del Medioevo europeo, Paolo Brezzi scrive che nell’etimologia germanica, Ostrogoti significa «Goti risplendenti», laddove i Visigoti vuol dire «Goti saggi». Maria raccoglie informazioni intensamente. Nella nostra fortezza di carta, il frenetico lavoro non sente la fatica dell’assedio di studiare e analizzare nei diversi livelli della produzione culturale o tra la società, la politica, la circolazione delle merci. Le aperture moderne di Maria sono espresse in piccoli gesti femminili che la rendono a me più cara. Una complicità accattivante tra noi donne che appare in uguali prospettive nel corso della giornata: in una traccia di profumo di rosa damascena o nel suono del bracciale che le ho regalato a Natale e che fa rumore quando gira la chiave e apre la porta. Le pietre cremisi dell’oggetto decorativo si accostano beatamente al bianco polso di Maria. Mani di luna che muove intorno ai capelli quando mi saluta. Ogni giorno riprende il faticoso lavoro di ricerca e consegue la dettagliata ricostruzione degli insediamenti ostrogoti, della storia del popolo germanico, la tortuosa rivalità con i bizantini. Maria risplende nel singolare territorio archivisitico, ogni tanto riorganizza le sue forze per fare nuove incursioni tra i piani più alti e aprendosi un varco contro gli schedari più periferici. Dopo il suo passaggio, io ricomincio a costituire il mio regno personale, ma con qualche novità. Scorre sotterranea una gora vicino alle mie gambe e faccio attenzione a non bagnarmi le scarpe con i tacchi. È il passaggio della flotta formata da amanuensi e copisti comandata dal potente maestro Cassiodoro.
La forza di ogni archivio è la fedele trascrizione dei testi degli scrittori antichi, evento che produce effetti assoluti e si trasforma la sostanza dei segnali interconnessi tra loro in momenti risolutivi per la ricerca. Vedo navi veloci cariche di pergamene di pelle. Da una nave all’altra passa il rumore dei bastoncini imbevuti di argento graffiare le pagine, come un ritmo musicale. Tra i corridoi chiudo gli occhi e ingoio la forma melodica della ricerca. Un privilegio che si espande nel luogo dalle pareti di un discorso antico. “Esplorando le pagine, con la lente, anche le crepe di colore cessavano d’essere casuali. Si trasformavano e si moltiplicavano” sono le parole di Alberto Bevilacqua sopra la mia promessa di tornare a frugare sulle coste degli scaffali. È il centro storico di chiunque entri nei tesori archivistici che penetrano la storia e me stessa.