C’è una domanda che gira da un po’ tra analisti, politologi e psicologi di crisi: “Trump è una caricatura dell’America o è l’America che, a furia di guardarlo, ha finito per riconoscersi in lui?” Bella domanda, quasi antropologica. Un po’ come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina.
Ma oggi, alla luce dell’ennesimo terremoto politico-morale – il ritorno del caso Epstein – Trump sta seduto su un barilotto di TNT potenziato all’Epstein, che colpirà chiunque vi si avvicini. Questa volta il trumpismo non è più solo rumoroso: è traballante. E il Partito Repubblicano, per la prima volta dopo anni di falsa devozione, sta facendo ciò che fanno i topi intelligenti quando il capitano giura che la nave non affonda: iniziano a mollare le scialuppe di salvataggio, sperando che nessuno li noti.
Siamo davanti a una scena quasi shakespeariana, se Shakespeare fosse nato nel New Jersey e avesse scritto tragedie sponsorizzate da Fox News. I fedelissimi che si dileguano, le rivelazioni sugli amici scomodi, le improvvise amnesie selettive, i “non ricordo quella serata” che fanno sembrare la Casa Bianca un dopolavoro ferroviario degli anni ’70.
E poi c’è la geopolitica surreale di Casa Trump, dopo le 7 e più guerre terminate, nel tentativo di distrarre l’opinione pubblica si inventa persino una proposta di esilio dorato per Maduro, tipo pacchetto vacanze: “Destinazione a scelta, tutto pagato, basta che sparisci e mi permetti di far finta di essere un salvatore globale”. Una trovata così pietosa che perfino gli amanti delle telenovelas più inverosimili, hanno inarcato il sopracciglio.
Partiamo dall’inizio: il culto della personalità
Metto le mani avanti: Il trumpismo non è mai stato un movimento politico. Non è MAGA, non è “America First”, non è un nuovo patriottismo. È un culto della personalità così sfacciato che perfino lo schizofrenico Kim Jong-un pare abbia espresso perplessità, non uccidendo però nessuno stavolta.
Trump non ha costruito un’ideologia, ma un palcoscenico. Non ha un progetto politico: ha un copione. Non rappresenta una base sociale: la seduce. E soprattutto, non crede in nulla che non abbia il suo nome sopra. MAGA? Make America Great Again? No. È sempre stato Make Trump Great Again. Vuole essere adorato, perché anche il padre lo valutava un coglionazzo isterico: solo casini.
E mentre il suo mondo crolla -tra processi, rinvii, scandali e consiglieri che ora spariscono come stagisti il venerdì pomeriggio, Trump fa ciò che ha sempre fatto: crea un diversivo più grande del problema. Da qui la brillante idea “Maduro, scegli un posto qualunque sulla mappa e ti ci spediamo noi, con tanto di aperitivo incluso”: sembra uscita da un casting di Narcos 5: The Gringo Election Edition.
Il caso Epstein: il fantasma che torna a batter cassa
E ora arriva l’elefante nella stanza, la matriarca con tutto il branco: Epstein non è un nome: è una profezia. E come tutti i presagi che si rispettino, non viene mai solo. Viene con liste, jet privati, testimonianze, file, foto, isole private, nomi che contano e/o che non vorrebbero più contare.
Stranamente, molti repubblicani, improvvisamente scossi da un impeto di trasparenza mai visto prima, vogliono che i file vengano pubblicati. Trasparenza? Certo, come no, il bene pubblico, la democrazia (questa evanescenza USA!)… ma soprattutto: non affondare con il capitano.
Perché se c’è una cosa che i repubblicani americani fiutano bene, è l’odore della paura. E quando i fedelissimi iniziano a slacciarsi le cinture di sicurezza, vuol dire che non credono più nel pilota.
I repubblicani: vittime o complici?
I Repubblicani non sono stati ipnotizzati da Trump. Hanno partecipato in piena coscienza. Il trumpismo, per loro era un biglietto vincente: tanto supporto da quella strana base popolare yankee che preferisce odiare chi non è come lei piuttosto che risolvere le proprie difficoltà, e poi soldi, audience, un leader che sembra una bomba impazzita che può colpire nemici interni ed esterni senza che il partito ne pagasse il prezzo diretto. Tutto finché conveniva.
Perché quando il gioco smette di essere divertente e comincia a essere pericoloso, anche i più devoti si chiedono: ma vale la pena buttare la carriera per uno che non sa distinguere un’alleanza militare da un meme?
E quindi ora fanno esattamente ciò che hanno sempre rimproverato ai Democratici: si dissociano. Molto lentamente, molto cautamente, molto tardivamente. Ma si dissociano.
Lo staff che molla il colpo. Gli alleati che improvvisamente sono “solo conoscenti”. Le frasi: “Io gliel’avevo detto, eh”. E le battute soffiate ai giornalisti: “Beh, non è che proprio ci ascoltasse…”
La schizofrenia trumpiana sull’immigrazione
E come non citare l’ultima schizofrenia? La perla assoluta: Trump che da una parte urla all’invasione migratoria, dall’altra sussurra che forse servirebbe un po’ di immigrazione per sostituire gli americani troppo stupidi, o troppo pigri, o troppo poco produttivi.
Una cosa che, detta da qualsiasi altro candidato, avrebbe causato un collasso elettorale. Detta da lui, diventa un nuovo titolo di Fox: “Trump vuole rendere di nuovo intelligente l’America.”
Che poi, pensiamoci: come si concilia questo con “America First”? Semplice: non si concilia. Ma il trumpismo non è mai stato coerente. È stato efficace. È stato scenografico. È stato redditizio. E soprattutto è stato utile a Trump: con la débâcle delle borse ha guadagnato più di 1 mld di dollari.
Domanda finale: il laboratorio Trump sta esplodendo?
E allora eccoci qui, nel cuore della questione:
I suoi si sono accorti che non è mai esistito un movimento, un partito, un progetto? Che è sempre esistito sempre e solo Trump, il suo ego, i suoi affari e le sue vendette?
Sì, se ne sono accorti. Solo che finora andava bene così. I consensi crescevano, le tasche si riempivano, le poltrone si consolidavano. Ora che la marea giudiziaria sale, d’improvviso tutti ricordano che esistono i “principi”, i “valori”, la “Costituzione”, la “credibilità internazionale”. E soprattutto la domanda: “Come ne esco senza essere risucchiato con lui?”
Trump non è un’anomalia del sistema: è il prodotto di un sistema che ha smesso di credere in qualcosa che fosse utile a tutti. E lui ha capito il vuoto e ci ha costruito sopra un impero di soldi.
In fondo, Trump è sempre stato un esperimento sociale in diretta. Un test di resistenza per la democrazia americana. Un laboratorio a cielo aperto, pieno di reattivi instabili, combustibili politici ed egocentrismo atomico.
Ora il laboratorio scricchiola, saltano i tappi dei contenitori, le sirene suonano. E i tecnici -i Repubblicani- scappano nei corridoi gridando “Non è stata colpa mia!”
Alla fine resta una sola certezza, amara e comica allo stesso tempo: non è mai esistito un MAGA. Non è mai esistito America First. Non è mai esistito un trumpismo senza TRUMP. E quando costruisci tutto su un solo uomo, si sa come finisce: quando cade lui, cade tutto; successe ad Hitler, a Mussolini, Saddam Hussein, Gheddafi, Milošević, succederà a Maduro…
La vera domanda, adesso, è un’altra: l’America si salverà dal trumpismo o servirà un nuovo Trump, più furbo, più disciplinato e quindi più pericoloso, per far capire a tutti che il problema non era l’uomo, ma il vuoto socio-culturale che hanno nel cuore gli americani?
… e venendo alle nostre faccende, visto che l’Europa ha fatto una figura di cacca seguendo gli orientamenti di Trump, io Vi chiedo: La Meloni si salverà da Trump? Io dico di si, troverà il modo.
Per chi volesse saperne di più:
- Michael Wolff – “Trump, 100 giorni di incompetenza, non ha un piano”: Wolff sostiene che Trump abbia gestito i primi cento giorni (e oltre) nella più totale improvvisazione: “incompetenza evidente, decisioni impulsive, assenza di strategia”.
- Robert Reich su The Guardian: Reich parla di una presidenza segnata da “disfunzione sistemica”, incapacità di gestire le istituzioni e un caos amministrativo che indebolisce lo Stato.
- Partnership for Public Service / AP News: Il gruppo che monitora la solidità delle amministrazioni federali denuncia una transizione “non pianificata e pericolosamente improvvisata”, che mette a rischio la capacità stessa di governare.
- “Fire and Fury” – Michael Wolff: Raccolta di testimonianze interne alla Casa Bianca: secondo molti membri dello staff, Trump “non capisce i dossier”, “si distrae facilmente” ed è “inadatto al ruolo”.

