La vita archivistica non segue le stagioni eppure l’autunno entra a sorpresa nell’archivio. Una zucca è sul bancone dell’ingresso e io scrollo le spalle per la scelta che non sembra in sintonia con l’imponente scrivania di quercia. Solitamente, la visione di una zucca mi ispira profonda antipatia.
A quindici anni, io lessi Lucio Giunio Moderato Columella che nel suo L’arte dell’agricoltura, scrive: «Bisognerà stare attenti di lasciar frequentare pochissimo alle donne i luoghi dove vi sono zucche o cocomeri, perché in generale con il loro contatto fanno languire le piccole piante che crescono; se poi si trovano anche nei loro periodi mestruali, potrebbero uccidere le piccole piante anche solo guardandole». Da allora lancio occhiate severe al limite della malevolenza, al frutto delle Cucurbitacee. Ma questa zucca sul bancone ha qualcosa di diverso. Mi allontano intanto che passo davanti alle sale adiacenti alla biblioteca e riconosco un famoso studioso del secolo barocco assorbito dalla lettura di un volume sottile quanto un piatto da portata. L’uomo non si risparmia nell’osservare con una lente d’ingrandimento: si trattiene a stento dal baciare le pagine e ogni volta che non resiste, appoggia le labbra delicatamente e si alza di scatto arrossendo furiosamente. Di fronte a lui, un giovane ricercatore dagli occhiali neri attende la fine del mio passaggio per continuare a studiare le carte marroni disposte sul tavolo come un assortimento di ventagli dipinti. Arrivo alla mia scrivania, l’unica piena di penne colorate e carta da lettere femminili che colleziono. Con la punta delle dita, compio il gesto fatto un milione di volte di accendere la lampada. Seduta nell’angolo del tavolo in questa mia fortezza di carta, cerco di concentrarmi sulle istituzioni degli Ostrogoti prima della loro discesa in Italia che avviene dopo la mietitura dell’anno 488.
È difficile distrarmi dai miei amati Goti, ma scivolo dalla sedia e mi sposto nel corridoio dei catasti antichi. Una giovane ricercatrice farfuglia un saluto mentre con i guanti accarezza un gigantesco pezzo di documentazione cartacea dandogli piccole pacche sui bordi. Sono affascinata dal suo comportamento, sto per dire qualcosa, ma mi fermo. Annuisco come farebbe una paladina prima della battaglia e sento il dovere di tornare sui miei passi a combattere il drago autunnale.
Ritorno nell’androne e mi metto sulla difensiva: sollevo il mento e inclino la testa da un lato. Con un gesto naturale, prendo l’oggetto arancione. Mi sembra l’unica cosa da fare e rimango sorpresa dalla morbidezza della buccia: un velluto leggermente nervato e dal colore intenso. Il corridoio è vuoto e io mi guardo intorno perché non voglio farmi vedere mentre mi avvicino per sentirne l’odore, ma faccio attenzione a non sfiorare il tessuto con le labbra. Ho il rossetto che mi mette a mio agio e sento il cuore battere forte mentre prendo nota dei dettagli sulla buccia. Le mie dita scivolano tra i tanti segni in una rete ricca di informazioni e imparo a conoscere le forme. Finalmente sorrido della pace raggiunta con l’agronomo romano vissuto nel I secolo d. C. È da tempo che desidero una tregua con Columella. Cerco un modo per avvicinarmi ancora di più. Per fortuna non c’è nessuna sentinella e alzo la testa a osservare i cristalli pendenti del lampadario. Abbraccio la luna gialla in un modo quasi romantico, a farle capire che aspettavo da tanto questo incontro. Canticchio l’incipit delle Ballate degli anni di Alfonso Gatto: «In fila tutti, gli anni dietro gli anni, l’ultimo è il primo, il primo è il più bambino. A parlarvi di me, bando agli inganni, lascio la Storia e sono a voi vicino». Uno strano desiderio mi spinge a qualche passo di danza, ma non sono capace di ballare e sento il bisogno di portare con me la zucca, di averla come alleata. Ripercorro l’ambulacro e a chiunque avesse domandato della mia nuova amica gialla avrei risposto che avevo bisogno del suo aiuto per la ricerca sugli Ostrogoti.
Mentre torno nel corridoio, soltanto il ricercatore con gli occhiali batte le palpebre e sembra sorpreso. Mi accorgo che cammina dietro di me e intreccio le dita sulla pelle della mia amica zucca, a stringerla con più forza. Quando mi siedo, lo trovo che mi fissa davanti alla scrivania e fingo di non essere sorpresa. Gli chiedo se gli serve qualcosa, ma lui non guarda me. Guarda la zucca. Cerco di trovare qualcosa da dire, fino a quando lui mi chiede se ho intenzione di mangiarla. Ho di nuovo le guance arrossate, lo sguardo fiero e con voce determinata, nego con forza. Sono pronta a duellare come una vera paladina, ma il mio nemico dagli occhiali spessi si volta dopo aver annuito e se ne va. La zucca brilla alla luce calda della lampada, l’autunno è arrivato anche nell’archivio, ma ha portato il sole. E nelle Ballate degli anni di Alfonso Gatto: «Un tomo pesa, e lieve come fola è l’avventura che si segna a dito. Inutile spiegarsi ogni perché se l’uomo crede al due e due fa quattro. Io sono il Millenovecentotre E per la rima lascio solo il Gatto. Addio, se non ci fosse qualche matto il mondo resterebbe come gli è».